Cap XV

L'esercito di Wu si era accampato a poche miglia dalla porta meridionale. Tende e stendardi bordavano le colline, una piccola foresta sorta nel giro di una notte.

Ad occhio, erano molti più dei cinquemila che ci si attendeva.

La milizia di Braga, assieme a ciò che rimaneva dell'esercito, era salita sugli spalti, in un estremo tentativo di salvare quantomeno la dignità.

Un araldo a cavallo, seguito da quattro soldati con grossi stendardi, era venuto alle porte per ripetere la sfida.

Tutti elementi che avevano tolto il sonno a Jinhe, come se riuscisse a dormire.

Il giorno designato per il duello, una delegazione di maestri era stata scelta per accompagnare Baohai. Ovviamente, il maestro Fu aveva preteso che partecipasse anche lui.

Con un misto di fastidio e aspettative, Jinhe aveva accettato, anche perché non aveva scuse per sottrarsi. Aoren non aveva protestato. Dal canto suo, Feihua aveva fatto recapitare l'ennesima lettera.

Ancora chiuse, facevano bella mostra di loro sulla scrivania di Jinhe, senza che il vecchio Li le togliesse. Immaginando il contenuto, Jinhe si era deciso a non leggerle, ma nemmeno trovava la forza per buttarle.

Se ne sarebbe occupato dopo, quando quella tempesta si fosse placata.

Al momento, il duello aveva la sua piena attenzione, per tutte le conseguenze che si sarebbe tirato dietro.

L'alba ancora non si era affacciata all'orizzonte quando Jinhe si era alzato, era uscito nella bruma mattutina con indosso abiti semplici, un manfu nero lungo fino alla caviglia, il colletto e le maniche bordate di rosso scuro.

Era rimasto piegato in un baule nella sua camera da letto per anni, e Jinhe si sorprese quando gli calzò a pennello.

Chiudendo l'ultimo bottone sulla spalla, per un istante temette che, in realtà, quei tre anni non fossero mai passati.

Baohai era già alle porte, quando Jinhe era arrivato, solo lui e il maestro Gu.

Come sempre, l'anziano qilin sembrava più addormentato che vigile, seduto a terra a gambe incrociate, le braccia strette al corpo e il mento poggiato sul petto.

Le intricate corna scarlatte, così ramificate da essere difficili da seguire, si alzavano e abbassavano al lento ritmo del suo respiro.

Per contro, Baohai camminava avanti e indietro, ruotando le spalle.

Un suo discepolo, un esperto in vesti grigie e bianche, stava lì vicino, reggendo la lunga scimitarra a due mani del suo maestro.

Il maestro aveva le mani avvolte in fasce di lana nera, cosa che accese un certo calore nel petto di Jinhe.

Espirò più forte del voluto, facendo girare Baohai.

«Un buon giorno per un duello» disse il maestro, la bocca atteggiata a una smorfia. Forse un sorriso.

«Non conosco buoni giorni per la morte» rispose Jinhe, avviandosi verso Gu.

«Maestro Fo» la voce di Baohai tremolava.

«Maestro Bai» rispose Jinhe, la lingua che sferzava nel mattino.

L'altro qilin si umettò la labbra un paio di volte, alla ricerca di cosa dire.

«Maestro Fo... non mi dirò dispiaciuto per quanto accadde con suo padre» iniziò, con lentezza. «Quel duello...»

«Maestro Bai» Jinhe non riuscì a mascherare l'irritazione, e il qi gli fluì nel corpo così irruento che Gu aggrottò le palpebre. «Non vi biasimo per cosa avvenne, sfidaste mio padre e vinceste, non credo ci sia altro da dire»

Per un lungo momento, i due si fronteggiarono in silenzio.

«Perché?» Baohai gracchiò, tossicchiando «Perché non mi avete mai sfidato?»

Jinhe cercò di mettere insieme le parole.

«Perché era, ed è, inutile» rispose. «Con voi vivo o con voi morto, mio padre rimarrà sempre nella tomba»

«E la sua memoria? Insomma, rimane invendicato, mentre voi...» il qilin si morde la lingua, prima che potesse continuare.

«Mentre gioco al mercante, capisco il vostro punto di vista» proseguì per lui Jinhe «lo capisco, ma lo trovo inutile; cosa mi porterebbe la vendetta?»

«Vi toglierebbe il biasimo!» disse Bai «Non fingete che tutti approvino questa vostra condotta, sono in molti a pensare che voi, in realtà, abbiate solo paura di sfidarmi, non solo perché temete la morte, ma perché si rivelerebbe che il vostro apprendistato è stato infruttuoso»

Jinhe annuì, per nulla interessato a dare credito a quelle insinuazioni.

Bai attese per un momento che lui rispondesse. Poi, di fronte al suo silenzio, riprese.

«Dormite sereno, sapendo che la memoria di vostro padre giace invendicata? Come potete portare quei colori, come fate a fregiarvi di quel rango?»

Venne avanti, a testa bassa, le loro corna si toccarono per un istante. Jinhe sentì la pressione sul collo, e prima ancora che se ne rendesse conto stava spingendo col capo, le ossa che sfregavano tra loro.

Dovette farsi forza, per tenere i suoi meridiani a bada.

Fu in quel momento che se ne accorse, perché aveva sempre ignorato quel dettaglio.

Bai indossava un manfu nero, il monogramma della sua scuola ricamato in candido fili sul petto, il colletto alto e i polsini delle maniche erano immacolati come la neve.

La tenuta di un maestro.

Jinhe non girò il capo, sapeva benissimo che Gu indossava gli stessi colori. Cambiava solo il monogramma. Per contro, i suoi abiti terminavano con pieghe sanguigne.

Quando il maestro Fu arrivò, e li trovò a fronteggiarsi, battè a terra un piede pregno di qi.

Graffiandosi le corna l'un l'altro, Jinhe e Bai si separarono. L'anziano passò in mezzo a loro, il suo abito, corto al ginocchio, terminava in eleganti svolazzi color oro.

Sbuffando, Bai dovette cedere il passo.

Gu aprì gli occhi in quel momento, mettendosi in piedi in un solo movimento fluido.

«Quando volete» disse il maestro del Drago.

Bai si prese un momento ancora, per sciogliere le spalle e scaldare i muscoli.

Il maestro Fu venne a sedersi vicino a Jinhe, l'espressione seria.

«Qualsiasi cosa accada, è il suo duello». Disse l'anziano qilin.

«Lo so» rispose Jinhe, le parole che grattavano nella gola. «E lo odio».

«La legge non si deve amare, ma rispettare» ribatté Fu.

Infine, tutti e tre seguirono Bai fuori dalle porte cittadine. Soldati ammiravano la scena, ma nessuno disse una parola.

Procedettero fino al luogo designato, poco lontano dalle mura. A distanza di sicurezza da archi e balestre, ma abbastanza vicino perché ci fossero degli spettatori.

I soldati di Wu avevano realizzato un piccolo spiazzo di terra battuta, grande quanto una pedana tradizionale. Bandiere erano ai quattro angoli, tutte recanti il sigillo del loro regno.

Jinhe vide Bai annuire soddisfatto, mentre invece Gu fece una smorfia irritata.

Mentre scacciava dalla mente il commento che avrebbe fatto il suo maestro, atteggiò il volto alla faccia più neutra possibile.

Leng'hao, il genere Han dell'esercito di Wu, attendeva seduto sotto un padiglione colorato; indossava l'armatura lucidata a specchio, le sottili lamelle smaltate d'un verde brillante.

Quando si alzò, il sole mattutino brillò sul pettorale candido, e sulle corna purpuree. Jinhe era più interessato agli accompagnatori del generale.

Dietro Leng'hao stavano in piedi due attendenti militari, con le armature uguali al generale, anche se meno decorate. Un quarto qilin stava seduto in terra fuori dal padiglione, a gambe incrociate e mani giunte dietro la schiena.

Le sue corna erano di un rosso sanguigno, e il suo manfu terminava in risvolti bianchi. Accanto a Jinhe, Fu e Gu avevano interesse solo per lui.

«Nobili maestri» il generale giunse le mani e si inchinò.

Loro quattro fecero lo stesso.

«Sono Shizuo Han, Leng'hao per il Murin» di nuovo, Jinhe vide Fu storcere la bocca. «Lieto di prendere parte a questo scambio di opinioni».

Bai salutò, limitandosi ad inclinare il capo.

Gli attendenti aiutarono il generale a spogliarsi dell'armatura, così Jinhe poté osservarlo con comodo. Era abile, lo si vedeva al primo sguardo.

Le gambe toniche erano la parte più allenata del corpo, quindi era chiaro che la sua scuola si basasse sui calci.

Le braccia erano muscolose quasi in egual misura, mentre le infilava nel manfu tradizionale.

«Sembra forte» borbottò Fu, accanto a lui.

«Speriamo lo sembri solo» ribatté Jinhe.

Leng'hao si fece passare un lungo falcione, sei piedi abbondanti di bastone e un ultimo piede di curvo acciaio.

Il qilin la fece danzare nell'aria, con complesse rotazioni a lato e intorno al corpo, nel mentre che muoveva qualche passo verso di loro.

La lama venne accolta da sottili fiamme scure, al pari degli stivali del generale.

L'unica reazione di Jinhe fu alzare un sopracciglio. Non capiva il senso di quell'esibizione da festa della fondazione, tanto più che stava per combattere in duello.

Rivelare le proprie competenze era stupido, senza appello. Era un modo per farsi ammazzare, nel peggiore dei casi.

O per ricevere una sonora lavata di capo, con tanto di addestramento supplementare e pranzi saltati, nel caso del suo maestro.

«Spero non ci siano problemi, la mia scuola fa uso del falcione».

Gu strinse le labbra, abbassando il capo. Fu storse la bocca, irritato.

Anche Jinhe faticò a mantenersi composto. Quella era una palese mancanza di considerazione per l'avversario, non proprio il miglior modo di iniziare un duello.

Diede uno sguardo rapido al maestro del generale, che stava nascondendo in malo modo un sospiro esasperato.

Dal canto suo, Bai non si fece problemi, si limitò a farsi passare la sciabola e ad assumere la sua posizione.

I due qilin si posero l'uno davanti all'altro, pronti al duello.

Jinhe aveva assistito a molti duelli, durante il suo apprendistato. Capire chi avrebbe vinto, secondo il suo maestro, era una dote essenziale per un praticante della loro Scuola.

Mentre guardava Bai e Leng'hao far roteare le loro armi, Jinhe provò a immaginare l'esito.

Non importava come provava a visualizzare lo scontro, finiva sempre allo stesso modo.

I due maestri si studiarono con calma.

Bai fece un passo in avanti, Leng'hao provò un affondo.

Nel tempo in cui le loro armi si toccarono, i qilin erano già in movimento.

Deviato il falcione avversario verso il basso, Bai avanzò in un allungo, la lama della sua lunga spada che falciava l'aria.

Leng'hao non rimase fermo. Fece continuare il movimento del falcione verso il basso, puntò l'arma a terra e la usò per alzarsi in aria.

Per un istante, Jinhe guardò il generale in bilico, le gambe tese verso il cielo come un equilibrista.

Mentre i piedi del qilin salivano verso l'alto, iniziarono a riempirsi di fiamme, e quando Leng'hao si lasciò ricadere in avanti, Bai evito per poco di essere colpito dai talloni infuocati.

Il generale non si fermò, riguadagnò in fretta l'equilibrio e sferzò l'aria col falcione. Bai parò di riflesso, ma quando riuscì a rispondere l'altro era già lontano.

«Quattro colpi, due scambi» il maestro Gu scosse la testa, sconsolato.

Dall'altro lato, Fu fece lo stesso.

Lui trattenne il fiato, le unghie che graffiavano le mani nelle maniche. Erano ottimisti.

Jinhe prevedeva quattro colpi, e un solo scambio.

Bai era veloce, ma mancava di allungo. E Leng'hao sfruttava il suo falcione per colpire da angoli imprevedibili, molto diversi dal solito scontro frontale a cui era abituato il maestro della Tigre.

Compreso il problema, Bai decise di mirare al bastone. Abboccò all'esca come un apprendista.

Menò un fendente a due mani, che il generale defletté col lungo manico dell'arma.

La lama guizzò dall'alto al basso, tirandosi dietro uno spesso nastro di sangue.

Bai non urlò, usò la mano sinistra, non ferita, per invertire il senso del suo fendente.

Leng'hao non era più lì. Facendo leva sul falcione conficcato a terra, si era innalzato di nuovo, ricadendo con un tallone infuocato sulla spalla dell'altro qilin.

Una mano gli afferrò la tunica, prima che Jinhe potesse fare qualcosa. Qi fluiva rabbioso nelle dita, una rabbia non rivolta a lui.

«No» disse Gu, i denti che stridevano mentre azzannava la parola.

«Ma..» Jinhe diede uno sguardo a Bai, impegnato a mettere distanza tra sé e l'avversario.

Il braccio destro gli pendeva floscio e insanguinato al fianco, un corno gli si era spezzato di netto, e giaceva nell'erba tra loro. Le ultime fiammelle sulla sua spalla andavano spegnendosi.

«È il suo duello» ringhiò il maestro del Drago.

«L'onore non vale la vita» disse lui, trattenendosi dal far fluire il qi nella veste.

«Sua la vita, suo l'onore, sua la morte» fece Fu, la voce conciliante. Fu come olio su un braciere.

Aprì la bocca per parlare, ma Gu fu più veloce.

«Wanwan, non hai nessun diritto di togliere la dignità a Bai! Nemmeno un erede può calpestare il nome di un altro maestro!»

Bai si girò verso di loro un momento, incrociando lo sguardo con lui.

Jinhe vi vide determinazione, consapevolezza, e preghiera. Supplica di star fermo.

Lui incrociò le braccia, sangue scorse mentre si conficcava le unghie nella carne.

Abbozzando un sorriso, Bai si girò di nuovo verso il generale.

«Vuole interrompere?» fece lui. Tutti gli altri qilin sussultarono; Fu e Gu quasi esplosero in insulti, mentre il maestro del generale diede un lunghissimo sospiro di rabbia.

Un conto era che qualcuno interrompesse un duello, un conto era offrire la resa. Voleva dire sentiersi superiori, trattare l'altro maestro dall'alto in basso. Un modo non molto velato di offendere, nel Murim.

«Non ti vedo morto» riuscì a dire Bai, ma nonostante lo sforzo eroico non riuscì a sollevare il braccio destro.

Leng'hao sbuffò, attaccando di nuovo. Aveva ancora in mano il falcione.

Tracciò un ampio cerchio con l'arma, ruotando su sé stesso per dar maggior slancio.

Bai non riuscì a schivare. La lama gli tranciò di netto il braccio destro, penetrando nel costato con un assordante rumore di ossa infrante.

Il qilin sputò sangue, abbozzò un pugno al generale, ma poi crollò a terra.

Jinhe guardò il corpo del maestro accasciarsi sull'erba.

Pietà e tristezza si rincorsero nel suo petto. Per un attimo, per un minuscolo battito di ciglia, pensò che aveva ottenuto vendetta. L'assassino di suo padre giaceva morto davanti a lui. Una gioia folle gli si accese negli occhi.

La fiamma si spense più veloce di una candela gettata nel mare.

Recuperato il corpo, i tre maestri tornarono verso Braga, per annunciare la conquista della loro città.

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