Capitolo 28
Un freddo improvviso inizia a prendere possesso del mio corpo e un odore nauseante invade le mie narici.
Mi alzo di scatto e noto di essermi addormentata nel suo ufficio, ancora una volta.
Tolgo per qualche secondo gli occhiali e stropiccio i miei occhi, sbadiglio leggermente e poi li rimetto.
Guardo attentamente la sua scrivania e una smorfia di disgusto si forma sul mio viso.
Davanti a me ho ancora il computer acceso, con mille fatture ancora da visualizzare.
Alla mia destra mille scartoffie da firmare e controllare e alla mia sinistra, la "cena" che mi é rimasta ancora da finire.
Odio passare le ore rinchiusa in questo dannato posto, ma devo farlo, la sua officina deve andare avanti in un modo o nell'altro.
Guardo l'ora sullo schermo del computer e sono le due del mattino.
Beh, direi che per oggi é già abbastanza!
Fra qualche ora dovrò "svegliarmi" per andare a scuola.
Porto le mani sulla scrivania e spingo con tutta la mia forza la sedia, provocando un rumore assordante, a causa delle rotelle ormai vecchie e arrugginite.
Mi alzo e mi stiracchio leggermente, poi con espressione annoiata mi dirigo verso il computer per spegnerlo.
Sistemo le scartoffie sulla scrivania e poi prendo il sacchetto del Mc Donald's, con la mia "cena" al suo interno, e mi dirigo verso la porta.
Uscita dal suo ufficio, alla mia destra ho la porta che dirige all'interno della sua officina, mentre a sinistra, un grande corridoio quadrato con varie sedie appoggiate a destra e a sinistra.
É tipo una sorta di sala d'attesa per i clienti, ma ormai ne arrivano pochi, anzi non arriva più nessuno.
La sua brutta reputazione gira per il quartiere e le persone si ribellano e decidono di cambiare il meccanico di fiducia.
Anni e anni di esperienza, buttati nella spazzatura a causa di alcune voci, ma soprattutto a causa del suo comportamento.
Sbuffo sonoramente e decido di uscire da questo posto infernale, prendo il telefono dalla mia tasca e inizio a digitare un messaggio per Nate.
Appena premo invio, sbatto contro qualcuno.
Come sempre la "fortuna" é dalla mia parte.
Alzo il viso e noto uno, fra i suoi tanti, ormai amici.
"Ma ciao, splendore", mi sorride.
Questo suo movimento mi fa rivoltare lo stomaco e il naso.
I suoi denti gialli mi fanno abbassare il viso e la puzza di fumo ed alcool, mi fa arricciare il naso.
É un uomo alto e slanciato, ha intorno ai quarant'anni, infatti già si nota qualche capello bianco e le rughe intorno agli occhi, di certo non mancano.
I suoi grandi occhi neri mi fissano e iniziano a mettermi in soggezione.
"Spostati, Jack", lo supero.
Ma lui afferra il mio braccio e mi riporta davanti a lui.
"Perché devi essere sempre così fredda e distaccata?", accarezza la mia guancia.
Una smorfia si crea sul mio volto e brividi di paura si formano sulla mia schiena.
"Dai, andiamo a divertirci un po' ", sorride nuovamente.
Mostrando il suo orrore da voltastomaco.
"Non voglio", lo guardo male.
"Andiamo lo stesso", inizia a trascinarmi accanto a lui.
Io cerco di dimenarmi, ma ovviamente, non riesco a lasciare la presa.
Si avvicina a quella porta e la paura inizia a pervadere il mio corpo.
La apre ed entriamo dentro.
Questa officina, una volta, era il sogno di tutti.
Grande, stupenda e ben attrezzata.
Invece, ora, é uno schifo.
A destra e a sinistra ci sono tutti gli attrezzi possibili ed inimmaginabili, per sistemare una macchina, mentre al centro, beh al centro si trova l'orrore.
Dopo la morte di Eveline, la mia famiglia si é spezzata.
Io un'altra persona, Ariel si é chiusa in se stessa, Nate sembra uno zombie, cerca di risolvere i problemi di tutti, mia mamma si sta impegnando, ma il dolore la divora da dentro e mio padre, beh questo essere, ha completamente mandato in rovina la nostra famiglia.
Siamo pieni di debiti e di fatture non pagate, la gente non fa altro che parlare e gli insulti non mancano.
Osservo con disprezzo questa scena che si presenta davanti ai miei occhi.
Al centro della sala, hanno posizionato un grande tavolo rettangolare.
Ogni sera, lui ospita sempre gente cattiva con una brutta reputazione.
Giocano a poker o giochi d'azzardo, fumano e bevono fino all'alba.
Mio padre non é mai arrivato ubriaco a casa, lui non beve mai, ma il suo cambiamento e la puzza di fumo mi inorridisce.
Ci avviciniamo al tavolo e Jack si siede su una sedia, accanto a mio padre.
Poi tira il mio braccio e mi posa sulle sue gambe.
"Guarda chi ho trovato, Mike! La piccolina non voleva entrare qui dentro", mi abbraccia fortemente.
"Levati, brutto ammasso di impertinenza!", mi dimeno.
"Lasciala andare, Jack", mio padre é freddo e distaccato.
"Eddai, Mike! Un po' di divertimento", lo sento sbuffare.
"Ora, Jack! Lascia stare mia figlia!", mio padre tira un pugno sul tavolo.
Sobbalzo a questa , ormai frequente manifestazione, e con me, tutti i presenti si ammutoliscono e si pietrificano.
In questa stanza, hanno tutti paura di mio padre, nessuno escluso.
I suoi nervi e la sua rabbia scattano all'improvviso, senza un motivo valido e le risse, ormai, sono all'ordine del giorno.
Jack lascia la presa e io mi alzo velocemente dalle sue gambe.
Mi giro verso di lui e gli tiro un pugno sullo stomaco.
"Non toccarmi mai più!", lo guardo male.
"Vai a casa, Gil", questa sua abbreviazione mi fa venire il nervoso.
Prima la amavo, ora la odio, perché solo lui mi chiama in questo modo.
Da piccola non riuscivo a pronunciare il mio nome, nemmeno le abbreviazioni Abby o Gail, per me ero solo ed esclusivamente Gil.
E da allora, per lui sono rimasta la sua piccola Gil.
"É quello che voglio fare!", sono acida.
Appena mi giro, lui afferra la mia mano e mi porta davanti al suo viso.
Inizia a stringere la presa e il suo sguardo inizia a bruciare la mia pelle.
La carne e le ossa iniziano a tremare e la mente a sciogliersi.
I suoi grandi occhi marroni mi incutono terrore, all'inizio erano il mio posto sicuro, la mia ancora di salvezza.
Avevo questo pensiero, perché anche io ho gli occhi marroni.
In famiglia solo noi due abbiamo questo colore e mi sentivo speciale, perché avevo qualcosa in comune con lui.
Ma ora, ogni volta che mi guardo allo specchio, vedo il suo riflesso, il suo sguardo puntato su di me e questo mi fa ribrezzo, mi incute paura.
"Vedi di abbassare la crestolina Gil! Sono tuo padre e devi portarmi rispetto!", mi fulmina con lo sguardo.
"Esatto, sei mio padre! E dovresti comportarti da tale!", sbotto.
Lui si alza, ma continua a tenere la presa salda.
La sua altezza mi fa sentire piccola, piccola, una formica.
Il suo petto mi arriva davanti al viso e inizia a fare su e giù ad una velocità elevata.
Ho oltrepassato il limite, finirà male, lo so.
"Io faccio quello che mi pare! Ora fila subito a casa, prima che cambi idea!", le mie orecchie vengono invase dalla sua voce roca e potente.
Mio padre lascia subito la presa e a causa di tutto questo stress, cado per terra come una pera cotta.
Gli occhi iniziano a pizzicare, ma cerco di scacciare via le lacrime, non devo piangere, non qui, non davanti a lui.
Mi alzo in piedi e inizio a camminare con la testa china.
"Non aspettarmi sveglia, Gil. Vai subito a dormire", freddo e distaccato.
Metto la mano sulla maniglia e una rabbia improvvisa, inizia a scorrere nelle mie vene.
Stringo questo piccolo oggetto e decido di buttare tutto fuori.
"Non era mia intenzione! Non sei più così importante per me!", apro la porta e la sbatto con tutta la forza che ho nel mio corpo.
Esco furiosa dalla sua officina e inizio a fare avanti e indietro davanti ad essa.
Il mio respiro accelera e il mio cuore rischia di uscire dalla gabbia toracica.
Le mie vene escono in evidenza sulle mie mani e sento pulsare i nervi all'interno della mia testa.
La pelle inizia a bruciare e la rabbia continua a salire sempre di più.
Ormai, la stanchezza e la debolezza di prima, sono svanite.
Tutto questo mi ha risvegliata.
Caccio un urlo e tiro un pugno contro il muro.
Non provo niente, nemmeno il dolore, ho solo sentito un crack provenire dal mio cuore e basta.
Odio non sentire niente, odio non essere più una normale ragazza, odio il fatto di come questa vicenda mi abbia trasformata.
Frustrata e arrabbiata, decido di colpire ancora una volta il muro.
Una, due, tre volte, niente, sono senza anima, ormai.
Guardo la mia mano e noto le nocche ormai sbucciate, il sangue che fuoriesce dalla ferita, ma io non sento niente.
Sono solo uno zombie che cammina, non ho più niente, sono senza uno scopo.
"Odio tutto questo!", alzo la voce e colpisco ancora il muro.
"Abby! Che stai facendo?!", afferra le mie spalle e mi gira verso di lui.
Indossa solamente il pigiama.
Il suo sguardo é preoccupato, il suo viso pallido é scavato dallo stress e dal dolore, delle occhiaie comprendono i suoi bellissimi occhi azzurri, ormai spenti dalla disperazione e piccole ciocche di capelli neri ricadono sulla sua fronte, ma anche essi sono senza vitalità.
"Niente", lascio la presa.
Lui abbassa la testa e anche io faccio la stessa cosa.
Poi noto piccole goccioline di sangue per terra e porto subito la mano all'interno della mia giacca.
Alzo la testa e noto l'espressione di Nate cambiare.
Si avvicina e io indietreggio.
So cosa vuole fare, ma io non voglio e non ho la forza di controbattere ora.
"Abby", mi guarda male.
"Lasciami in pace", scatto in avanti.
Ma lui mi afferra il braccio e mi mette contro il muro.
Toglie la mia mano dalla giacca e inizia a fissarla.
"Vuoi smetterla di farti del male?!", mi fulmina con lo sguardo.
"No, non voglio!", sbotto.
"Prima o poi ti romperai qualcosa! Smettila di sfogarti in questo modo! Non é la prima volta, Abby!", la sua voce é seria.
"Ben venga! Magari sentirò qualcosa, magari proverò un po' di dolore!", alzo la voce.
E nel pronunciare questa frase, sento calore sulle mie guance e un sapore salato sulle mie labbra.
Non sono riuscita a trattenere le lacrime, sono crollata un'altra volta.
Sono proprio pessima.
"Vieni qui", Nate mi tira verso di lui.
Mi stringe in un caloroso abbraccio e il suo profumo e il suo calore, mi tranquillizzano.
Lui ora é il nucleo della nostra famiglia, il nostro collante, lui é la mia salvezza.
"Smettila di farti del male! Mi distruggi così, Abby", la sua voce inizia a tremare.
"Ho bisogno di te, non voglio perderti...", alzo il viso e noto le sue lacrime.
Inizio ad asciugarle e porto le mie labbra sulla sua guancia.
"Scusa", la bacio.
"Non farlo mai più", mi riabbraccia.
"Ci proverò", mi accoccolo.
"Abby", mi richiama.
"D'accordo! Promesso", alzo la mano.
Lui mi guarda divertito e stringiamo i nostri mignoli per suggellare la nostra promessa.
Abbiamo sempre fatto così e continueremo a farlo, é una nostra tradizione, questi siamo noi.
"Ora andiamo a casa, devo medicarti", mi scompiglia i capelli.
Arriviamo nella nostra dimora e andiamo, delicatamente, verso le scale.
Appena iniziamo a salire su uno scalino, esso scricchiola ed entrambi ci blocchiamo.
"Fai piano, Nate!", lo rimprovero sussurrando.
"Non é mica colpa mia se lo scalino é vecchio!", ribatte anche lui in silenzio.
Quando stiamo per avanzare, una luce improvvisa si accende e come per protezione, portiamo entrambi le mani sul viso.
"Dove vi siete cacciati? Perché non mi avete avvisata? E smettetela di coprirvi la faccia, vi vedo", é nostra mamma.
Togliamo le mani dal nostro viso e iniziamo ad osservarla.
Anche lei é devastata dal dolore.
Indossa un pigiama nero a quadri rossi, i suoi capelli biondo cenere sono raccolti in uno chignon disordinato, le occhiaie sotto agli occhi ormai fanno parte di lei, i suoi grandi occhioni azzurri ora sono spenti, senza luce e la sua carnagione chiara, ormai sembra ancora più chiara del solito, sembra un vampiro.
"Fammi spiegare...", Nate inizia a balbettare.
Mia mamma inizia a fissarci, ma poi si ferma su una cosa in particolare.
Porto la mano dietro la schiena, ma ormai é troppo tardi.
"Lo hai fatto di nuovo?", domanda preoccupata.
"No, hai visto male", inizio a sudare freddo.
"Mostrami la mano, Abby, ora", avanza verso di me.
Io mi blocco, non so cosa dire o fare.
"Avanti, signorina", mi fissa attentamente.
Nate mi tira una leggera spallata e io decido di mostrargli la mano.
La poso sulla sua e mia mamma inizia ad avere gli occhi lucidi.
Vederla così mi spezza il cuore e sapere che la causa di tutto questo sono io, beh mi uccide dentro.
"Andiamo in bagno", si gira.
Rimane ferma per qualche secondo e porta le sue mani sul suo viso, sicuramente si sarà asciugata qualche lacrima.
Poi inizia a camminare e io la seguo.
"Nate, tu vai a dormire", gira il volto verso mio fratello.
"Okay", risponde.
Io rimango in silenzio.
Superiamo il soggiorno e svoltiamo subito a destra ed entriamo nel bagno.
Non é grande, comprende solo il gabinetto e il lavandino, é un bagno di sevizio.
Mia mamma apre le ante dell'armadietto, che si trova sopra al lavandino, e prende il kit.
Lo afferra e inizia a preparare il necessario.
Dopo qualche minuto posa il batuffolo con l'acqua ossigenata, e una smorfia di dolore si forma sul mio viso.
"Smettila di farti del male", rompe il silenzio.
"Okay", sussurro.
"Sono seria, Abby! Basta così", mi supplica con lo sguardo.
"Promesso", alzo il mignolino.
Lei sorride e porta il suo verso il mio, li stringiamo e poi lei riprende la sua "opera".
Dopo aver disinfettato e fasciato la mia mano, ci alziamo entrambe ed usciamo dal bagno.
"Notte mamma", mi giro per guardarla.
"Vieni qui, signorina", mi tira verso di lei.
Mi stringe in un caloroso abbraccio, solo come lei sa fare e il suo dolce profumo di zucchero filato invade le mie narici.
La stringo forte e scannerizzo questa sensazione dentro di me.
"Ti voglio un bene dell'anima, piccola mia", lascia un bacio fra i miei capelli.
"Anche io, mamma, tanto", la stringo.
Dopo qualche minuto lascia la presa e inizia ad accarezzarmi la guancia.
"Vai a dormire", sorride.
"Certo", la guardo.
Le lascio un bacio sulla guancia e poi mi giro.
"A dormire, signorina", mi riprende.
"Si, mamma", sbuffo.
"Brava", mi spettina i capelli e poi va via.
Mi conosce troppo bene, lei sa che non andrò a dormire, in realtà non riesco a farlo.
Troppi pensieri, troppi ricordi invadono la mia testa.
Vado in camera mia e mi metto sotto le coperte e stranamente mi addormento subito.
Bam bam bam
"Ora basta! Mi sono stufata!", delle urla e dei rumori mi svegliano.
Apro gli occhi e afferro il telefono.
Sono le cinque del mattino, che starà succedendo a quest'ora?
Mi metto gli occhiali e mi dirigo verso la porta della mia stanza.
Al primo piano ci sono quattro stanze e un bagno, ognuno di noi ha la propria "area" personale.
Davanti alla mia, si trova la camera di Ariel, mentre alla mia destra, quella di Nate e davanti a quella di Nate, beh, si trova la stanza di Eveline...
Tutti e tre apriamo la porta nello stesso momento, ci guardiamo con aria confusa ed usciamo fuori.
Nate ci supera e si mette davanti a noi.
"Restate qui, vado per primo", si gira verso di noi.
"State ferme", ci punta il dito contro.
"Sisi, abbiamo capito! Vai", lo spintono.
Lui sbuffa e si dirige verso le scale.
Io mi avvicino verso Ariel, metto il mio braccio intorno alle sue spalle e noto il suo tremolio.
É cambiata un sacco, ormai la sua vita é guidata dalla paura e dall'ansia.
Non é più la Ariel di una volta, beh insomma, nessuno di noi lo é.
Le urla si placano, ma un rumore assordante mi fa scattare in avanti.
"Non andare", Ariel afferra la mia mano.
"Andrà tutto bene, ci sono io", le bacio la guancia e poi le sorrido.
Lei annuisce e io vado verso le scale.
Scendo e noto il soggiorno vuoto.
A destra di esso, abbiamo il bagno di servizio e accanto, la stanza dei miei genitori, mentre davanti a me ho il soggiorno e poi una porta, che rappresenta la cucina.
É chiusa e mi dirigo verso di essa con estrema cautela.
Avvicino il mio orecchio e sento dei rumori strani.
La apro di scatto e noto mia mamma accanto al lavandino, mentre Nate sta litigando con mio padre.
E quest'ultimo ha in mano vari piatti.
Abbasso lo sguardo e noto piccoli pezzettini bianchi per terra e in quel momento capisco il rumore precedente.
"Ora é arrivata la paladina della giustizia", mio padre mi guarda male.
"Non rivolgerti così a mia figlia!", sbotta mia mamma.
"É anche mia!", mio padre la guarda male.
Nate si mette davanti a mia madre, facendole da scudo.
"Abby, vai via", mio fratello mi guarda.
"Giusto, Gil, vai in camera tua! Questa é una questione per sole persone adulte", la sua freddezza mi colpisce il cuore.
"E io cosa sono?", lo sfido.
"Una bambina", avanza verso di me.
"Non ti azzardare, Michael!", mia mamma cerca di venire verso di me.
Ma Nate la blocca, le dice qualcosa e poi si dirige lui verso di me.
"Allontanati", Nate lo minaccia.
Mio padre lo guarda e scoppia a ridere.
"Minacciato dal proprio figlio, divertente!", continua a ridere.
Un senso di nausea inizia a farsi sentire e la rabbia riprende a scorrere nelle mie vene.
Stringo i pugni, fino a conficcare le unghie nella carne, ma come sempre, io non sento niente.
"Andate in camera a dormire, io e vostra madre abbiamo una discussione da finire", si dirige verso di lei.
Nate mi lascia e scatta verso mia madre.
Poverino, vuole proteggere tutte quante.
"Mi hai stancato, figliolo", mio padre alza la mano.
Io vado verso di loro e mi metto davanti a mio fratello.
Chiudo gli occhi, ma non sento niente.
Dopo qualche secondo li apro e noto la mano di mio padre vicina alla mia guancia.
Sospiro sollevata e inchiodo i miei occhi nei suoi.
"Devi smetterla di metterti davanti alle persone! Prima o poi ti farai male", indietreggia.
"Non la smetterò mai! Io proteggerò sempre le persone che amo", lo guardo male.
"Non puoi farlo, Gil", la sua voce si spezza.
"Nessuno può farlo! Lo avete visto, no? Nessuno é riuscito a proteggere Eveline!", afferra un piatto.
"La mia bambina é andata via! E io non sono riuscito a proteggerla!", inizia a buttare i piatti per terra.
Da quando Eveline é svanita, mio padre vive con un senso di colpa.
Pensa di essere lui la causa della sua morte, doveva proteggerla, questa é la sua frase.
Ogni giorno si sveglia con questo mostro dentro di lui, si fa comandare da questa cosa e, a causa, di questo, é svanito.
Con la sua morte, mia sorella ha portato con se anche mio padre.
Insieme a lei, é morto anche il suo cuore.
"Mike, smettila!", mia mamma lo riprende.
Ma niente, lui continua a spaccare le cose.
Ormai la cucina é diventata una discarica, questi piccoli pezzettini per terra, rappresentano i pezzi del nostro cuore.
Siamo esattamente come loro, rotti dalla disperazione, mangiati dal dolore.
"Anche io ho perso una figlia!", sbotta mia mamma.
Mio padre si ferma e si gira verso di lei.
La guarda con gli occhi lucidi e le labbra serrate.
Non ho mai visto piangere mio padre, non lo ha mai fatto, nemmeno al suo funerale.
Il massimo che sono riuscita a vedere, sono stati i suoi occhi lucidi.
"Non sei l'unico a stare male! Tutti stiamo soffrendo", mia mamma avanza verso di lui.
"Devi darti una calmata Michael, ora, fallo per me, per i ragazzi", la voce di mia mamma é forte e decisa.
"Io sono morto con lei, Jane", la guarda.
"Tutti abbiamo perso il nostro cuore insieme a lei", questa frase mi spezza in due.
"Non accetto questa situazione", stringe i pugni.
Nate avanza verso mia mamma e la mette dietro la sua schiena.
Mio padre non ha mai alzato un dito verso di lei o verso di noi, ma Nate preferisce prevenire.
"Allora vattene via", mio fratello lo guarda male.
"Come osi, ragazzino?!", mio padre si mette davanti a lui.
Ormai Nate é alto quanto lui, i loro occhi si inchiodano e i loro respiri si fondono.
"Nathaniel, ha ragione. Devi andare via, Mike", mia mamma si mette accanto a mio fratello.
"Mi stai cacciando di casa?", alza la voce.
"Questa non é più casa tua. Ci hai distrutti, Mike, ci hai portato negli abissi più profondi insieme a te! Dobbiamo andare avanti, dobbiamo riprendere in mano le nostre vite, ma senza di te", continua mia mamma.
"Certo, dovete riprendere in mano le vostre vite! Beh, non riuscirete mai a farlo! Nessuno può riprendersi dopo una tragedia del genere!", sbotta.
"Hai ragione, ma si impara a convivere con il dolore! Ho ancora tre figli da crescere e da amare, e non ho intenzione di perdere anche loro! Prendi le tue cose ed esci da questa casa", indica la porta.
"Questa situazione mi ha stancata", lo guarda.
"D'accordo! Esaudirò il tuo desiderio, Jane", la supera.
Esce dalla cucina e se ne va.
Ci dirigiamo tutti in soggiorno e ci sediamo sul divano.
Rimaniamo in silenzio e aspettiamo.
Dopo un po' di tempo, arriva mio padre con due valige e un borsone.
"Io vado", ci guarda male.
"Ne sei sicuro?", giro il mio viso verso di lei.
Ariel é sulle scale, avvolta dalla sua coperta preferita.
Stringe fortemente il tessuto, fino a far diventare le nocche bianche.
I suoi occhi sono fissi su nostro padre e la sua bocca semichiusa.
"Sì, sono sicuro, Ari", la guarda.
Anche mia sorella non riusciva a pronunciare il suo nome, aveva il mio stesso problema.
E lei, per mio padre, é rimasta Ari.
Va verso la porta di ingresso e poi si gira a guardare tutti.
"Non sono stato abbastanza per voi, ho perso tutto e non riesco ad andare avanti", parla.
"Tutti abbiamo perso Eveline, non solo tu!", sbotto.
"Evie era mia figlia, Gil! La mia creatura, frutto di un'amore!", mi guarda male.
"Era anche la mia creatura, Mike. Ora smettila di ferire i nostri ragazzi! La porta é proprio dietro di te, vai", mia mamma interviene.
"Okay! Addio Jane! Addio ragazzi", apre la porta ed esce dalle nostre vite.
Mia mamma va subito in camera sua e Nate la segue.
Io rimango ferma a guardare per qualche secondo la porta e poi decido di andare verso le scale.
Ariel é pietrificata, allora metto la mano sulla sua spalla e lei sobbalza.
"Non é giusto", inizia a piangere.
"Lo so Ariel, lo so", la abbraccio.
Lei inizia a stringermi e si lascia andare in un pianto disperato.
Afferra il tessuto della mia maglia e inizia a bagnare la mia spalla con le sue lacrime.
Piccoli singhiozzi escono dalla sua bocca e io mi chiedo come facciano ad uscire così tante lacrime dai suoi occhi.
Io, invece, continuo a tenere tutto dentro, non riesco a tirare fuori i miei sentimenti, o forse non voglio.
Non so per quanto tempo riuscirò a resistere, ma prima o poi crollerò e non so se avrò la forza di rialzarmi.
Ma spero che quel giorno non arrivi, o al massimo, spero di avere qualcuno accanto a me, in grado di raccogliere tutti i pezzetti del mio cuore.
Chissà se esiste davvero una persona del genere...
{Prendimi per mano e portami lontano,nel nostro quotidiano}
Ciao amici lettori❤️
Scusate, ma questo capitolo é solo di passaggio, mi é servito da introduzione, ma soprattutto ho voluto presentarvi una piccola parte della vita di Abigail😘
Ma sarà anche una parte importante per i prossimi capitoli.
Chissà magari succederà qualcosa🤭
Ora, finalmente, abbiamo capito a chi si riferisce sempre Abigail, quando fa certi ragionamenti❤️
Questo "lui" alla fine é suo padre😔
Cosa ne pensate?🤧
Anche se é un capitolo di passaggio, vi é piaciuto?😘
Riuscirà la nostra Abigail ad aprirsi?🤔
Crollerà da sola o avrà qualcuno al suo fianco a sorreggere il suo dolore?🤷♀️
Il prossimo capitolo si baserà nuovamente sui nostri protagonisti e succederanno diverse cose🤭
Siete curiose/i?😍
Grazie per tutto❤️aspetto i vostri commenti😘
Alla prossima❤️
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