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«Allora?»
Axel e Aesta mi si avvicinano non appena la porta della cella viene chiusa alle mie spalle.
«Ho... ho un accordo con Brunnos» ammetto abbassando lo sguardo. Aesta appoggia le mani su entrambe le mie spalle, scuotendomi con forza.
«Ma ti hanno drogato in cella? Sicura di stare bene?» aggiunge mettendomi una mano sulla fronte. «Non è che hai sbattuto il capo?»
«O non è che ti sbattuta il capo dell'Alleanza?»
«Giuro che ti picchio finché non implori di avere lo stipendio dimezzato» gli sibilo allontanando Aesta. «No, sì, no e ovviamente no – per rispondere alla vostre domande. La Federazione non ha risposto all'ultimatum dell'Alleanza: vogliono proseguire la guerra, con o senza Starfall. Ci toccherà collaborare, se vogliamo che la guerra continui: andremo con loro su Minerva, il resto dell'equipaggio rimarrà sull'At5 a sistemare la Starfall. Ci lasceranno liberi di andarcene... a patto che si esploda nella prima battaglia».
«Okay, un accordo così stupido lo potevi fare solo tu».
«Per una volta non vi accanite su di me, per lo meno» ridacchia Axel. Aesta si volta, poi gli tira uno schiaffo. Mi porto istintivamente la mano alla guancia: dal rumore non sembra esserci andata piano.
«Uno, non sappiamo dove siamo».
«Sì, Aesta».
«Tecnicamente siamo atterrati sull'At5 e adesso siamo nelle prigioni di Nova, il centro amministrativo dell'Alleanza di Mu nonché capitale dell'impero più grande che la galassia LK-216 abbia mai conosciuto» le faccio notare, ma lei non sembra darmi ascolto.
«Due, siamo prigionieri».
«Esatto».
«Tre, non sappiamo cosa ci faranno».
«Vero».
«E tutto questo per colpa tua, Axel».
«Volete ascoltarmi o no? Sedetevi» urlo loro dopo poco. Aesta e Axel si guardano, poi si siedono in terra. Stringo la parte alta del naso tra due dita, facendo un respiro profondo: mi faranno uscire pazza questi due.
«L'accordo l'ha proposto Brunnos, l'ho accettato solo perché in questo modo abbiamo una possibilità di salvezza leggermente più alta. Se avessimo sistemato Minerva e fossimo tornati qui, né io né la Starfall avremmo fatto ritorno su Lemuria».
«Da quando in qua siete separate?»
Axel si becca una gomitata sul fianco. «Ma vuoi finire il lavoro di quella pazza e spaccarmi le costole?» chiede guardando male Aesta.
«Fossi in te ci penserei due volte prima di dare della pazza alla figlia del re, ma è vero che sei il pilota più stupido della galassia» gli dico sedendomi a gambe incrociate davanti a loro; Axel sbuffa, borbotta qualcosa sul fatto che lui è il più abile, non il più stupido.
«Tu hai un piano, vero?»
«Sì, ma figurati se te lo dico qui. Cerchiamo di dormire: partiremo domani mattina».
«Sai chi verrà?» mi chiede Aesta, mentre Axel si distende su un fianco su una delle sporgenze di metallo delle pareti, cercando di coprirsi con la coperta.
«Brunnos e alcuni tecnici dell'Alleanza. Ho recuperato i nostri bagagli dalla Starfall... comincio quasi a pensare che la divisa sia diventata una seconda pelle».
«Non so cosa darei per una doccia: se sciolgo la treccia, i miei capelli manterranno quella forma».
***
Per quanto scomoda, la notte è passata. Fino a che non siamo saliti a bordo di una LWSS, ci hanno tenuto con le manette ai polsi: hanno davvero così tanta paura di noi, della nostra fuga?
Brunnos è stato l'ultimo a salire: è rimasto a confabulare con l'Orlan, ma non ho sentito una parola. Mi squadra, mentre fa scattare le manette degli altri due. «Sicura che questa sia la scelta giusta? Entrare in un buco nero è praticamente impossibile».
Annuisco. «Non è un buco nero...»
«Sfruttando certe correnti non lo è. Ovviamente serve una nave di classe LWSS, non una BC o BS... credo sia possibile anche con una di quelle categorie, ma è più facile con una piccola e agile, insomma» dice Axel interrompendomi.
«Ha ragione, per una volta. E se c'è una possibilità di uscire vivi da quel buco, l'unico pilota di cui ci possiamo fidare è Axel».
L'interno è così diverso dalle LWSS della Federazione: le nostre sono molto più piccole, spesso pilotate da un uomo solo, mentre loro hanno navi che imbarcano equipaggi fino a un centinaio di uomini. Questa credo ne possa portare al massimo dieci – o almeno ho contato tante cabine nel ponte sottostante a questo dove si trovano i comandi di pilotaggio e un tavolo con quattro sedie fermate al pavimento.
Axel, Aesta e i due tecnici stanno discutendo delle ultime cose prima di partire; io mi sono seduta al tavolo, tirando subito fuori il tablet recuperato dalla Starfall.
Mordicchio lo stilo, cercando di capire dove sia l'errore: il progetto Minerva è sotto i miei occhi, ma i calcoli rifatti per la quinta volta danno cinque risultati diversi.
Brunnos è davanti a me da quando siamo decollati, continua a guardarmi di sottecchi: vuole controllare ogni mia mossa?
Scuoto la testa, tornando a guardare lo schermo. Gli occhi mi bruciano nonostante le lenti a contatto che, in teoria, dovrebbero limitare il fastidio. Sospiro, spostando la mano sulla calcolatrice e digitando numeri a caso per esprimere il mio disappunto.
«Coordinate inserite, arrivo previsto tra un bakif e venti ked» annuncia Aesta.
«Perché non sfruttiamo il salto a velocità luce?» chiede Brunnos alzandosi.
«Perché l'area è abbastanza vicina, non conviene sprecare così il carburante» gli risponde Axel e Brunnos scrolla le spalle, tornando a sedersi dall'altra parte del tavolo, occupato da fogli e disperazione – la mia.
«Ne vuoi un po'?» mi chiede versandosi una tazza di caffè appena fatto da Aesta.
«Non ne bevo».
«Davith» mi chiede dopo qualche attimo di silenzio.
«Cosa vuoi, Brunnos?»
«Perché avete progettato una cosa così pericolosa?»
Appoggio la penna, poi lo guardo negli occhi. «Perché me lo chiedi? Lo sai benissimo quale sia la verità. La storia più conosciuta è che il re costrinse mio padre con la minaccia che avrebbe ucciso sua moglie; pretendeva un'arma capace di assicurargli la vittoria, ma mio padre voleva vendetta e non lo lasciò impunito e inserì volontariamente un errore, lo sapeva solo lui dove fosse. Io ancora non lo riesco a trovare. Comunque, fui io ad avvertire il re: avevo paura che se fosse stato scoperto, avrebbe ucciso mia madre come ritorsione, ma non sapevo il punto preciso, non fu trovato niente e quindi passai per bugiarda. Ma è inutile che te la dica un'altra volta. Ho portato praticamente alla rovina la mia famiglia, puoi pure dirmi che sono stata scema».
Annuisce, appoggiando la tazza su un angolo del tavolo.
«Io volevo sentire la storia vera, non quella che viene raccontata».
«La dovresti sapere» gli sibilo in risposta, tornando a scarabocchiare sullo schermo.
«Io la voglio sapere comunque da te. Vieni» mi dice alzandosi. Abbasso lo sguardo per un attimo, fissando il pavimento ricoperto da pellicola nera; blocco lo schermo del tablet, poi sgancio la cintura e mi alzo. Lo seguo, scendendo le scalette tenendo la mano stretta al corrimano.
Di nuovo con lui.
Da sola.
«Ciò che raccontano, per una volta, è davvero la verità» ammetto non appena arrivo sull'ultimo gradino. «Il re voleva l'arma, tuo padre... tuo padre lo odiava, si era convinto che stesse tradendo l'Atlantis e il re ha dato ascolto a lui».
«È per questo che l'hai ucciso?»
«Eravamo in battaglia» gli sibilo. «Nessuno sopravvive a Minerva. Nessuno».
«È per questo che l'hai ucciso?»
«Non solo: lui ha fatto sì che la mia famiglia venisse distrutta, ha fatto passare per traditori tutti. Cosa c'entrava mia madre con Minerva? Lei lavorava su Kalea».
«Lei è stata condannata per il fallimento dell'Operatio Mortis. È ora che tu accetti che la tua famiglia è composta da incapaci... faresti prima a consegnarmi il tuo equipaggio».
«Finché avrò respiro, finché la Starfall solcherà lo spazio, io non mi arrenderò».
«Quante altre volte farai la scelta sbagliata? Avresti potuto essere libera, avremmo potuto essere insieme al comando dell'Andromeda e invece... hai scelto di scappare, di rapirmi dopo avermi ferito alla gamba e ora hai ben tre condanne a morte».
«Probabilmente finché avrò vita continuerò a sbagliare. Ma sappi che il comando della flotta dell'Alleanza con te io non lo dividerò mai».
Lo oltrepasso, risalendo quasi a corsa le scalette: non voglio rimanere lì, mi sembra che il peso del passato mi stia schiacciando.
«Vivi, c'è una cosa che dovresti vedere» mi dice Aesta non appena arrivo sul ponte.
«Cosa?»
«Le alterazioni del campo magnetico: siamo ancora a parecchia distanza dal portale, eppure i sistemi l'hanno già rilevata».
Mi appoggio con i gomiti sullo schienale della sua posizione, guardando i grafici sullo schermo.
«Intensità?»
«Quarantasette Fanot. Due in più rispetto a quelli rilevati dall'Atlantis».
«Potrebbe essere dovuto all'avvicinarsi alla sorgente: ho paura che su Minerva abbia raggiunto picchi di un centinaio di Fanot. Dobbiamo controllare».
«Non ci riesco da qui, non è la Starfall».
«Infatti il caffè fa schifo qui» si intromette Axel. Batto una mano sulla fronte: prima o poi lo lancio nello spazio.
«Aesta, vieni qui». Lei annuisce, si toglie gli auricolari e si avvicina al proiettore di ologrammi al centro del ponte. «Allora: il picco di intensità è registrato in questa zona». Indico un punto sul pianeta. «Che, a giudicare dai rilievi, penso si tratti del cuore».
«Cosa sono queste macchia viola sparse su tutto il pianeta?»
«Sono le tempeste elettromagnetiche generate dal cuore: Minerva è fuori controllo, le produce di continuo e quando non riusciranno a scaricarsi sul pianeta, usciranno dal portale e invaderanno la galassia».
«Come facciamo per fermarlo?»
«Dobbiamo arrivare al cuore e lì fare quello che ho cercato di fare dalla Starfall: far funzionare il codice. E sperare che poi non si sia così sballato da essere inutilizzabile».
«Okay, credo di aver capito... ma questa nave reggerà?»
«Lo spero: l'unica è passare dall'occhio del ciclone. Possiamo tenere d'occhio l'andamento delle tempeste e, forse, prevedere la loro formazione». Mi volto verso Axel. «Tu riuscirai a tenere la nave con qualche contraccolpo?»
«Definisci "qualche contraccolpo". È molto leggera, agile sì, ma non credo possa sostenere molto. Gli scudi hanno un livello minimo».
«È come se... fossimo colpiti da Minerva in modo molto blando» gli dico grattandomi un orecchio.
«Moriremo tutti» risponde Axel.
«Non c'è male» mormora Aesta. «Questa sua positività mi commuove».
***
«Il portale è davanti a noi. Com'è l'intensità?»
«Quarantotto. Sembra stabile, per ora» mi risponde Aesta.
«Non perdiamo tempo, allora» sbotta Brunnos. È la prima cosa che dice da dopo la nostra piccola discussione: è rimasto a fissarci, mentre discutevamo sull'ologramma, spostando lo sguardo su tutti componenti della spedizione.
«D'accordo. Però sedetevi: potrebbe essere rischioso» risponde Axel spostando in avanti la leva dei comandi. L'astronave avanza a bassa velocità, ma è comunque all'improvviso che le stelle scompaiono, che i nostri occhi vengono risucchiati dall'oscurità. Dura un attimo, il buio.
Poi l'universo di Minerva è di nuovo davanti a noi, illuminato dalla luce della copia della Thion 078L, la stella intorno a cui orbitano l'Atlantis e i suoi satelliti.
I raggi illuminano le nubi dalle striature viola che si espandono sotto di noi, assomigliando all'oceano che avvolge l'intera superficie dell'Atlantis. Sposto lo sguardo sull'ologramma che ancora continua a girare in mezzo al ponte, mostrando Minerva così com'è: un puntino rosso indica la posizione dell'astronave, abbastanza vicina al cuore, ma troppo distante dal cuore dell'ultima tempesta generata. Non possiamo aspettare in volo.
«Dovremmo virare: è troppo rischioso attraversare la tempesta, i sensori stanno già impazzendo».
«Cerco di inviare le coordinate dell'occhio del ciclone all'IA di bordo» rispondo ad Axel sedendomi in terra e prendendo il tablet». Basta poco a far comparire la mappa sullo schermo, ancora meno a individuare il punto. «Devi virare di quaranta gradi verso Whir, la mappa lo segna per almeno trentasette Befan».
«È parecchio distante».
«Lo so, Aesta: ma è l'unica possibilità. Attraversare una tempesta del genere con questa nave significa precipitare: gli strumenti impazzirebbero, si basa tutto sull'elettronica ormai» le rispondo incrociando le gambe e appoggiando il tablet sopra di quelle.
«Una nave di dimensioni più grandi può passarci regolarmente?»
Mi volto verso Brunnos, non è da lui fare domande del genere.
«Non ne ho idea: è la prima volta che vengo su Minerva. A pelle, direi di sì: dei buoni scudi reggeranno sicuramente. Il problema non riguarda tanto chi sta all'interno – le cariche si distribuirebbero sulla superficie dell'astronave –, quanto i sistemi di comando: l'elettromagnetismo può far impazzire i comandi, rendendoli incontrollabili».
«Dovremmo proseguire a piedi?» chiede uno dei tecnici.
«No, per carità!» risponde Aesta urlando. «Avete idea della temperatura di Minerva?»
«Cosa intendi?»
«Aesta vuole dire che la situazione climatica è difficile: non è la vera Thion che illumina il pianeta, è... è difficile da spiegare, ma vedetela come una stella artificiale. Qui tutto è regolato da un codice informatico e per non ci possono essere vie di mezzo: il periodo diurno è molto caldo, quello notturno porta anche alla formazione di ghiaccio sulla superficie dal momento che l'umidità raggiunge picchi dell'ottanta, novanta per cento». Annuiscono tutti, più o meno convinti. «Non è fatto per vivere, Minerva. È progettato per distruggere».
L'angolino buio e misterioso
Non so cosa mi è passato in mente per creare Minerva e il suo sistema, non so che droghe assumo. Secondo me è tutta colpa dell'aria fiorentina visto che l'Arno è pieno di droghe *stares at the void*
Comunque, no Minerva non è la cosa più ospitale del mondo e loro ci finiranno tutti quanti. Quanto mi diverto.
Anyway, fatemi pure sapere che ne pensate!
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