31

«Attaccate prima che ricarichino il colpo. Axel, tieniti pronto ad allontanarti il più possibile appena possiamo».

«Il portale è aperto, è qui vicino» mi dice lui.

«Se riuscissimo a spegnere Minerva dall'interno...»

«Quella nave sarebbe inutile...» conclude Axel..

«È l'unica cosa da fare: da qui ci sarebbe solo una guerra informatica» sbuffo mordendomi un labbro.

«Mi infilo là dentro?» mi chiede Axel.

Non posso abbandonare la flotta.

Non so se riuscirebbero a resistere.

Non voglio lasciarli indietro in un possibile massacro.

E se noi fallissimo su Minerva, sarebbe la fine per tutto ciò per cui abbiamo sempre combattuto.

«Vivi, per favore. Dacci un ordine. Quelli si stanno preparando a farci fuori». Guardo Axel, è preoccupato a morte, glielo leggo in faccia. La mano suda dentro il guanto, mi mordo un labbro, continuo a guardarmi intorno: ho paura anche io, ho paura di fallire di nuovo a un passo dalla meta, di non essere in grado di concludere questa guerra. Ho paura di morire.

«Sì, passa su Minerva. Sperando che ci seguano con la loro ammiraglia» gli sussurro stringendogli la spalla.

Vira, puntando alla massima velocità verso il portale e, come sospettavo, quelli ci inseguono.

Il secondo colpo ci prende il pieno, appena poco oltre il portale. È più forte del precedente, ma non era il massimo della potenza.

Comincio a capire il piano dell'Orlan: vuole costringerci a combattere da terra, in un luogo limitato, forse vuole metterci davanti Aesta per farci vacillare visto che sa benissimo che non riusciremmo a colpire lei, per quanto male ci abbia fatto.

Non sono pochi quelli che vengono sbalzati fuori dalle loro posizioni, qualcuno si riversa sui comandi, privo di sensi. Alzo lo sguardo al soffitto notando una luce traballare: non so se è tutto funzionante, ma quello sfarfallio non mi piace affatto.

Mi rialzo, tenendo una mano sulla spalla che ho sbattuto in terra quando ho perso l'equilibrio. Prendo il datapad, invio un messaggio al resto della flotta: devono fare in modo che il resto della flotta dell'Alleanza non ci segua fino su Minerva, altrimenti saremmo in svantaggio e con possibilità nulla di vittoria.

«Un motore è fuori uso» urla uno dei tecnici dai ponti più bassi tramite l'interfono.

«Ma che? Si divertono a farmi atterrare in situazioni estreme quelli dell'Alleanza?» borbotta Axel stringendo le mani sui comandi, tanto che le nocche sbiancano. «Io li odio, li odio. Mi ripagheranno del caffè, prima o poi».

«Cerca solo di non schiantarti» gli dice qualcuno.

«Ci sto provando. Il cuore del ciclone è troppo distante, dobbiamo attraversare la tempesta ora se non vogliamo rischiare troppo, poi atterreremo direttamente nel cuore. Dovrei riuscirci impostando i comandi su manuale... in automatico e senza un motore credo sia la strada più veloce per schiantarci e finire male».

«Manderà comunque i sistemi in tilt» gli faccio notare.

«Rischiare è l'unica possibilità. Combattere dalla Starfall sarebbe comunque quasi impossibile con un motore fuori uso, c'è troppa poca potenza per mantenere un assetto di volo stabile. Abbiamo già troppa velocità e alcuni comandi non rispondono già... preparatevi a ballare» sbotta prima di spostare con un gesto secco la leva per cambiare le impostazioni dei comandi. «Lasciami fare. E poi me l'hai detto tu di fare il mio dovere, non importa in quale modo».

«Non c'è tempo da perdere e ci sei tu ai comandi... quindi muoviti».

Qualcuno incrocia le dita, qualcuno si abbraccia, certi che quella tempesta sarà l'ultima cosa che vedranno. Adesso è tutto nelle mani di Axel: per l'atterraggio possiamo solo contare sulle sue abilità.

Non passa molto tempo prima che si tocchi terra: l'atterraggio non è dei migliori, speriamo solo di poter decollare nuovamente. Anche se i livelli di energia sono al minimo, l'interfono gracchia ancora – nemmeno con le cannonate si zittisce – con rapporti dai ponti più bassi: la situazione è critica e abbiamo una sola possibilità di decollare di nuovo. Non dobbiamo sprecarla e deve essere per tornare nella nostra galassia, nel nostro mondo.

Le speranze sono quasi nulle a questo punto: quando la nave dell'Orlan si sta preparando all'atterraggio, mi volto verso l'equipaggio. Sono quasi tutti in piedi mentre le postazioni di controllo o sono spente o hanno gli schermi che lampeggiano: su molti compare la scritta rossa "Errore di sistema" circondata da un riquadro dello stesso colore. Solo la metà delle luci è funzionante, l'atmosfera è cupa, il morale è ai minimi livelli. In molti hanno già la rassegnazione stampata in volto.

«Prendete le armi e preparatevi a combattere a terra».

«Meglio la morte che cedere loro la vittoria così» sentenzia Zavis.

«È la prima cosa sensata che dici».

«Sta' zitto, Darinell. Ci hai praticamente messo con le spalle al muro, come ci torniamo di là?» gli risponde l'altro schioccandogli un schiaffo sul collo. Axel lo guarda male, massaggiandosi la parte colpita.

«Avrete tempo di litigare, ma ora abbiamo una battaglia da vincere» sibilo loro.

L'altra nave non ha subito danni: avrei dovuto pensarci che prendendo i progetti avrebbe fatto qualcosa per sé, lasciarmelo tutto per me non era un'opzione contemplabile per lei. Era come avere un bambino, mettere una torta su tavolo e fornire anche una sedia per raggiungerla.

Abbiamo sbagliato sia io che Aesta, non posso far altro che cercare di rimediare all'ultimo, anche a costo di spegnere per sempre quest'arma.

Stringo la mano sull'impugnatura della pistola non appena metto piede su Minerva, su quel suolo roccioso. Mi guardo intorno: ci sono alcuni posti dove appostarsi, ma sono piuttosto scoperti e soprattutto siamo in minoranza.

Abbiamo tutti le armi pronte, cerchiamo protezione dietro gli spunzoni di roccia che spuntano dal terreno. Guardo tutti i miei uomini: sono preoccupati, penseranno sicuramente alle loro famiglie, ai loro cari che non vedono da wakin. Sembrava tutto finito, ma siamo precipitati di nuovo nell'inferno.

«Capolinea, Davith». Quell'urlo mi gela sul posto: mi irrigidisco contro la roccia e Axel mi guarda, anche a lui è scomparso il sorriso dalle labbra e non riesco a pensare a qualcosa di più triste.

Mi volto indietro: l'Orlan si sta avvicinando e ha alle spalle un'intera armata: il suo equipaggio è quattro volte il mio come minimo.

Tiro un pugno sulla roccia con la mano metallica. «Non è ancora finita!» le grido.

Si avvicina da sola, ma non mi interessa lei ora: voglio trovare Aesta. La vedo, la riconosco quasi subito dai capelli: è nelle prime file, tiene un fucile in mano e lo sguardo basso e le ha messo mano in ciò che ha colpito la Starfall, ormai ne sono certa.

L'Orlan ride, mi guarda sprezzante. «Guarda i tuoi uomini. Guardati. Siete veramente disperati. Consegnate le armi. Non avrete comunque possibilità di vittoria».

«Vienici a prendere. Ci piegheremo solo da morti» urla qualcuno degli ufficiali.

«Avete fatto la vostra scelta» ringhia lei prima di voltarci le spalle e tornare tra i suoi.

Prendo Axel per un braccio, lo tiro verso di me. «Copritemi le spalle. Io vado a disattivare Minerva».

«Sei impazzita? Io non so dare ordini... sei te il comandante, non io!»

Gli metto una mano sulla spalla. «Abbiamo la stiva piena di bombe, lanciatele tra le loro fila, servirà da diversivo e per togliere di mezzo qualcuno dei suoi uomini. Noi ci rivedremo e non sarà per un funerale».

«Fa' attenzione».

L'ultima volta che me l'ha detto non è che sia andata proprio bene.

Anche se siamo al riparo dietro le rocce e la nave, non sarà facile scappare. I nostri avversari si sono già schierati e sparano a vista, cercando di colpire quanti più uomini possibili tra quelli meno nascosti.

Mi manca il tempo per avere un piano che funzioni, posso solo affidarmi alla sorte mentre corro verso la costruzione senza guardarmi indietro.

Nessuno di loro mi ha seguito. O almeno così sembra.

Mi fermo ansimando, appoggiandomi alla parete non appena arrivo vicino all'ingresso. Lancio un'occhiata all'interno, tengo la pistola sollevata con entrambe le mani. Non ho visto nessuno precedermi, ma devo sbrigarmi.

Casco a terra, colpita in pieno da uno spostamento d'aria improvviso. Mi rialzo, nemmeno scuoto la polvere dai pantaloni, ma mi volto di scatto: sul campo di battaglia c'è una colonna di fumo.

Questa me la paga.

Stringo i pugni, ignorando il groppo in gola. Prendo la torcia dalla cintura, avviandomi all'interno.

Il fascio di luce scaturito dai led illumina appena lo spazio davanti a me, ma la mappa è chiara, non è troppo complicato il labirinto se uno lo conosce. Prima di partire avevo studiato la mappa per andare a colpo sicuro: svolto l'angolo girando a destra fino a trovarmi davanti a una rampa di scale che scendo a corsa, rischiando più volte di inciampare nei miei stessi piedi.

Salto gli ultimi tre scalini, appena atterro sul pavimento liscio inizio a correre tenendo la luce davanti a me. Ho il fiatone, ma non posso fermarmi.

Non è possibile che non ci sia nessuno, sarebbe troppo facile così.

Sotto l'unico neon funzionante c'è l'Orlan, con quel solito sorriso bastardo stampato in volto. Tale e quale suo cugino, ma sono sicuri di non essere fratelli?

Aesta le è poco distante – due contro uno, in caso di scontro la cosa non pende certo a mio favore. Tiene lo sguardo a terra, è cambiata tanto da come la ricordavo.

«Quante altre vite vuoi perdere?»

Non le rispondo, portando la mano sulla pistola che avevo rimesso nella fondina.

«Lo vuoi capire che questo problema non ha soluzione?» mormora Aesta. «Vivi, per favore...»

«È finita per voi» aggiunge l'Orlan.

«Io non mi arrendo prima di arrivare a tale soluzione e dimostrarla».

«Quali altre dimostrazioni ti servono? Hai la nave quasi in avaria, il tuo equipaggio è sul punto di essere annientato. Ammirevole il vostro coraggio, ma inutile» sogghigna l'Orlan.

La dimostrazione è banale – sono ancora viva.

Prendo la pistola, sparando d'istinto, l'Orlan fa in tempo a spostarsi, finendo con solo un graffietto sul braccio. Troppo poco per toglierla di mezzo, ma abbastanza per far scatenare la sua ira.

«Adesso basta giocare. Ho aspettato fin troppo. Dovevo togliervi di mezzo quando ne avevo la possibilità, a te e quell'altro cretino» ringhia lei alzando la propria pistola. «Alza le mani e potrei risparmiarti la vita».

«L'unica erbaccia da estirpare sei te» le sibilo tenendola sotto tiro. Aesta ci guarda preoccupata, ma rimane immobile sul posto.

«Ma almeno io stanotte continuerò a godere della compagnia. Un morto quale calore porta alla notte?» mi chiede l'Orlan senza smettere di ghignare.

Se l'altra volta su Minerva mi ha colpito al braccio intenzionalmente, adesso non mancherà l'obbiettivo.

È una cosa che non avrei mai voluto fare, ma a questo punto i dadi sono stati tirarti, le scelte sono state fatte e io non ho altre possibilità: le parole di Nayla mi hanno fatto realizzare una cosa che non avrei mai voluto fare. Sposto velocemente la pistola, miro al braccio di Aesta e sparo senza pensarci due volte: quella è presa di sorpresa, lascia cadere la sua arma a terra, accasciandosi al muro con una mano sulla ferita.

Scatto in avanti, ci guardiamo per un attimo mente raccolgo la sua arma: ha lo sguardo confuso, non capisce perché abbia fatto una cosa del genere.

Mi dispiace vorrei urlarle, ma non c'è tempo. Ci conosciamo da wakin, abbiamo diviso il comando per tanto tempo, anche se adesso sta con l'Alleanza, non riesco ad odiarla.

Le supero a corsa, l'Orlan si è precipitata da lei. Non avrà la minima pietà, ne sono più che certa.

Mi precipito all'interno del centro di Minerva, non ho nessuno a guardarmi le spalle, ogni tre secondi mi volto a controllare. Mi sembra di sentire dei passi oppure è solo il cuore che batte all'impazzata?

C'è silenzio: i miei passi rimbombano nel corridoio e si perdono nel vuoto sottostante. Mi avvicino alla console come se fossi ipnotizzata, la luce chiara che si sprigiona dallo schermo in cui le righe di codice vengono continuamente analizzate mi illumina, proiettando un'ombra allungata dietro di me. Mi fermo davanti a quella, clicco un tasto sulla tastiera, il codice si blocca, poi compare una casella con un cursore che lampeggia: manca solo un passo, una sola combinazione di simboli da inserire lì dentro e concludere ogni cosa.

F69Z.

Non avrei mai pensato di dover inserire quella combinazione. Il cuore mi batte all'impazzata mentre premo invio. Stringo i pugni, qualcuno si sta avvicinando, sento i passi e purtroppo so a chi appartengono...

«Non avrai altro modo di rimettere piede qui».

La guardo voltando appena la testa, senza smettere di tenere d'occhio il programma. Mi tiene sotto tiro, ma non capisco che stia aspettando a spararmi.

«Neanche te» le dico sorridendo appena. «Il programma ha appena finito di elaborare i quattro caratteri, la tua nave è completamente inutile adesso. L'unica soddisfazione se proprio devo morire è che condivideremo lo stesso destino».

La terra trema, probabilmente avrei dovuto pensare a un qualche piano di fuga. È come se Minerva riuscisse a capire che la sua fine si avvicina, che qualcuno lo voglia far morire, ma io lo voglio solo spegnere per poter ricominciare da capo – non voglio che muoia l'unica cosa che non mi è stata strappata della mia infanzia, l'unica cosa che mio padre mi ha lasciato.

Le scosse di terremoto sono troppo forti: alcuni calcinacci cominciano già a staccarsi dal soffitto, il ponte non reggerà a molto altro.

«Via di qua» urla Aesta rimasta fuori dalla porta.

È un inferno mentre continuiamo a correre: non so cosa succederà, se moriremo qui, se prima o poi Minerva si stabilizzerà o collasserà su sé stesso.

Le crepe cominciano anche a formarsi sul pavimento, è una lotta contro il tempo. Il comunicatore mi vibra in tasca, attivo il vivavoce.

«Che cazzo hai combinato?» urla Zavis e Aesta sorride appena – ha capito che niente è cambiato dopo la sua partenza sulla nave. «La Starfall potrebbe reggere un altro salto, ma dobbiamo muoverci».

«Sto arrivando. Non sarà un problema morire qui, se la situazione dovesse degenerare troppo decollate immediatamente».

«Con quale pilota?» mi chiede lui con un tono abbastanza preoccupato.

«Come sarebbe a dire con quale pilota?»

Ho un brutto presentimento, Aesta mi stappa il comunicatore dalla cintura, risponde lei. «Arriviamo. Preparate i sistemi al decollo».

Ha fermato in qualche modo il sangue, la ferita non era poi così profonda. Non avrei mai potuto ucciderla, non me lo sarei mai perdonato.

Non sono mai stata così felice di rivedere la luce: la terra ha smesso di tremare, ma dobbiamo comunque andarcene: sono stati i due ked di corsa peggiori della mia vita.

C'è metà equipaggio a terra, senza vita. Non avrei mai voluto un tale epilogo. Ho un groppo in gola mentre salgo sulla Starfall, vorrei piangere mentre sento la scala chiudersi con uno sbuffo sordo. Però... siamo a bordo, in qualche modo potremmo tornare sull'Atlantis.

Mi volto di scatto, sentendo il rumore familiare della pistola.

L'Orlan me la sta puntando contro un'altra volta, ignora forse che è a bordo dell'ammiraglia nemica e che se dovesse uccidermi qui non vedrebbe una nuova alba?

«Non credevo di arrivare a questo punto». Aesta sospira, si frappone fra me e lei. «Ora basta».

«Stai... stai ancora dalla loro parte?» le chiede l'Orlan con uno sguardo a metà fra il disprezzo e la delusione.

«Non hai altre possibilità, hai tirato troppo la corda, nessuno nell'Alleanza riconosce più il tuo comando, la tua autorità. Ti faranno fuori volentieri pur di mettere fine alla guerra. Io non voglio perderti, lo capisci questo?»

L'Orlan abbassa la pistola con riluttanza e ci guarda con la fronte aggrottata. Alcuni degli ufficiali si sono avvicinati, le hanno preso la pistola e l'hanno ammanettata. Aesta mi sorride appena, fa un cenno con il capo e poi si allontana, sedendosi al posto di Axel.

Axel.

Mi sento un groppo in gola, sono corsa da Axel appena ho potuto: l'hanno sistemato nella sua cabina, ma ha bisogno di cure urgenti. Gli stringo una mano, il braccio gli cadeva abbandonato a lato. Non posso perderlo, ho bisogno di lui come primo ufficiale e come amico.

Respira appena, ha il petto fasciato: deve essersi trovato nel mezzo di un'esplosione. Gli accarezzo i capelli e le lacrime mi rigano le guance mentre socchiude appena gli occhi, schiude le labbra e cerca di sorridere.

«Siamo... siamo morti?» sussurra.

«No... ce l'abbiamo fatta. Siamo in volo».

«Ma... chi è ai comandi?»

È quasi morto e si preoccupa di chi sta guidando la nave. Ovvio.

«Aesta».

Sgrana gli occhi, non riesce a crederci. Rimango con lui finché non siamo fuori dal sistema di Minerva, in silenzio mentre gli continuo a stringere una mano.

«Comandante, c'è un messaggio dalla base». Prendo il comunicatore dalla tasca, tolgo il vivavoce.

«Arrivo» rispondo continuando a guardare Axel.

«Tu guarda di non morire» lo ammonisco prima di alzarmi. Mi asciugo le lacrime mentre percorro il corridoio per tornare sul ponte di comando. L'Orlan è in ginocchio, due soldati le puntano le pistole alla testa, Aesta è ai comandi e ci sono metà posti vuoti. Minerva è fuori uso, ma torneremo a riprendere i nostri morti, non possiamo togliere quel pianeta di mezzo lasciandoli lì.

Non lo accetto.

«Che c'è?» rispondo alla chiamata della base lasciando da parte ogni formalità, non è il momento.

«L'Andromeda si è arresa poco dopo il vostro ingresso nel sistema Minerva». È il loro annuncio. «Abbiamo vinto».

Qualcuno esulta, qualcuno alza le braccia al cielo.

Abbiamo perso parecchi uomini, ma ce l'abbiamo fatta.

Abbiamo vinto.

Sono già atterrate tutte le navi superstiti quando entriamo nell'orbita dell'Atlantis: la nostra velocità è bassa, ma non possiamo fare altro visto che un motore è fuori uso, ma la Starfall è messa male, prima di poter chiudere Minerva dovremmo ripararla per bene.

Abbiamo vinto, sì, ma la fine è ancora distante.

«Nave 5930, potete atterrare» gracchia l'interfono. Mi avvicino ad Aesta e le metto una mano sulla spalla non appena la Starfall tocca terra. Lei si passa una mano sulla fronte, io tiro un sospiro di sollievo.

«Ottimo atterraggio, Rayegan».

Mi volto, sentendo la voce di Axel: ho la prova che il primo ufficiale sia un completo idiota. Aesta si alza, si mette le mani sui fianchi, guardando Axel che, sorretto da Zavis, si regge a mala pena in piedi; non ha voluto perdersi l'atterraggio a quanto pare.

«Be'? Ti aspettavi qualcosa di diverso da me?» gli chiede lei mentre io mi lascio scivolare su un sedile. Sono un bagno di sudore, non mi reggo più in piedi ora che l'adrenalina della battaglia se n'è andata, lasciando posto a estrema spossatezza.

«Vivi!»

Erix arriva a corsa, mi alzo dal sedile, ma non ho neanche il tempo di dirgli qualcosa che mi sta stringendo a sé. Ricambio l'abbraccio, non ci ho pensato due volte a gettargli le braccia al collo.

«Ho avuto paura, non rispondevate a nessun messaggio» mormora senza lasciarmi andare, non avevo idea di quanto potesse essere preoccupato.

«Non avevamo tempo da perdere, avevamo da combattere» gli rispondo sorridendo appena, continuando a tenere la fronte appoggiata sul suo petto, a respirare il suo profumo. Non ho pensato nemmeno per un attimo che non potessi vederlo più... ho pensato solo a mettere la parola fine a Minerva.

«È tutto finito, è tutto finito».

«No. Non ancora».

Si allontana appena dall'abbraccio, mi guarda confuso. Gli indico con un cenno del capo sua cugina.

«Ah, ma non potevi esplodere con la tua nave?» si lamenta lui gettando la testa all'indietro. Nayla abbassa lo sguardo, Aesta le tiene una mano sulla spalla senza dire niente; Erix le si avvicina e iniziano a parlare fra loro sottovoce, non appena la seconda si allontana di qualche passo. Non ho mai visto l'Orlan in queste condizioni, con i capelli che le ricadono scomposti sulla faccia e una smorfia stampata in volto. Si vede quanto la sconfitta stia bruciando sulla sua pelle.


L'angolino buio e misterioso

E si lascia da parte il fluff e si va nell'azione per i prossimi capitoli.

eheheh.

Spero che la battaglia, well, una parte, vi sia piaciuta, sono scene che ogni tanto mi danno problemi quindi spero davvero che tutto stia tornando >.>

ringraziate una lezione di fisica 2 per il discorso di Vivi, ho avuto la folgorazione mentre la prof spiegava il potenziale elettrico :') E sì, i discorsi non mi riescono affatto (cosa ho imparato dalle versioni di latino e greco? riconoscere... robe, non fare politica.

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