21

Ho passato ore a fissare il muro, ad aspettare che l'ora maledetta arrivi. Non mi sarei mai alzata se non fosse stato per l'arrivo di Axel che adesso continua a camminare avanti e indietro, imprecando contro di lui sotto voce.

«Dovresti andare» mi dice fermandosi all'improvviso. Guardo le mani abbandonate sulle cosce, annuendo piano con la testa. «È normale se hai paura: non sappiamo le sue intenzioni, non dovresti... devi fidarti di lui di nuovo. Ti ha distrutto più lui che tutta la guerra, te ne sei resa conto, vero?»

Annuisco di nuovo, alzandomi poi con un sospiro; afferro il cappotto, indossandolo sopra il vestito. «Ti farò sapere, ho il comunicatore con me».

«Avvertimi quando torni».

«Promesso».

Esco fuori con un nodo alla gola: non riesco a stare tranquilla, non riesco a pensare che tutto possa andare bene. Ho paura, stavolta per davvero. Vorrei non aver dato retta a Reesha e Axel, vorrei aver preso, di nuovo, la strada che intendevo, senza deviare.

«Vivi».

Mi fermo: brucia sulla pelle sentire la sua voce chiamare il mio nome, riapre tutte quelle ferite che secondo i medici sono cicatrizzate.

«Non farti illusioni» gli sibilo quando lo sento arrivare vicino, quando mi decido ad alzare lo sguardo.

«Non ho intenzione di farti del male, credimi. Mi odi, non è vero?»

«Sì». Non lo so.

«Immaginavo. Voglio solo chiederti scusa».

«Puoi farlo anche adesso, così evito di perdere tempo che non ti meriteresti».

«Credo che quello che ho intenzione di mostrarti non sia tempo che non mi meriterei» risponde avviandosi lungo il vialetto con le mani nelle tasche dei pantaloni. «Allora, vieni?»

«Dove?»

«A cena?»

«Se è solo un ristorante quel che devi mostrarmi, puoi anche evitare».

«Te lo farò vedere solo se ti smuovi da lì e vieni a cena con me». Abbasso lo sguardo, raggiungendolo con passi svelti: ancora una volta, la curiosità sarà la mia rovina.

Come abbiamo trascorso in silenzio la cena, così avviene durante la passeggiata in cui mi ha trascinato – voglio solo sperare che non sia solo una sua trovata per costringermi a passare del tempo insieme. Sento i suoi fissi su di me; non reagisco quando appoggia una mano sul fianco, avvicinandomi a lui.

Ricaccio indietro le lacrime a forza, non voglio ricordarmi quanto mi ha illuso negli wakin, ma è difficile non pensare alle sue parole su Minerva, a quanto mi abbiano ferita quando mi stringe a sé. Non ho la forza di inventarmi una scusa, fuggire lontano da Erix e rintanarmi, di nuovo, in camera: non mi sento rassicurata dalla stretta, mi sento in trappola.

«Cos'è che cercavi dopo la battaglia?» esordisce dal nulla, prendendomi alla sprovvista. Sussulto: non volevo che lo sapesse, mi bastava che Axel avesse scoprire le mie insicurezze venute nuovamente a galla su questo pianeta.

«Come lo sai?» gli chiedo con un filo di voce, trattenendo il fiato. Non so cosa aspettarmi come risposta, ma qualsiasi essa sia so già che non mi piacerà.

«Mia madre» risponde abbassando lo sguardo. «Abbiamo parlato tanto... ha capito più cose lei vedendoti per pochi istanti che io in dodici wakin».

«Perché dovrei fidarmi di te dopo tutto quello che mi hai fatto?»

«Sappiamo entrambi che non è l'odio ad unirci. Ho ascoltato i discordi di Axel e Aesta: tu sei confusa su di me, l'Orlan mi ha tirato più di uno schiaffo da quanto ti ho tradito su Minerva dicendomi che era meglio se mettevo ordine a quel che penso di te. Non sono stato in grado di ucciderti come mi aveva detto di fare, ha capito che io provassi qualcosa per te».

«Ma perché dovrei dirtelo? Perché dovrei fidarmi di nuovo di te? In fondo, non me lo vuoi dire nemmeno tu cos'è che vuoi davvero. Mi sembra solo che io sia stata un'inutile pedina nelle tue mani... che tu mi abbia sfruttato».

«Dimmelo e io ti rispondo».

Sospiro. «Cercavo casa... o quel che ne potrebbe essere rimasto o qualsiasi cosa che mi potesse ricordare l'infanzia. Volevo trovare qualcosa che mi calmasse l'animo».

«Io voglio il trono».

Tutto torna con quel che ho saputo: a lui di me non interessa, ma avrei potuto immaginarlo, sono stata una cretina.

«E il problema è che il re è il padre dell'Orlan, quindi vincere la guerra ti avrebbe messo in una posizione migliore rispetto a lei, visto che il tuo grado era superiore al suo. Avete messo in piedi un piano che doveva portarvi a ingannare la Federazione, arrivare a Minerva e usarla contro di noi, infine avresti iniziato una guerra fra di voi, fra cugini, pur di arrivare al trono. Ho fatto fare le mie ricerche».

«Sei in gamba, credo che domattina arriveremo a un buon patto».

Non mi interessa del patto, a me serve un altro tipo di risposte. Non posso più aspettare. Mi blocco sul posto, lui continua a camminare lentamente, è solo qualche passo avanti a me. Ad avere una pistola, potrei farlo fuori, ma so che non ne sarei in grado.

«Erix... io... insomma, perché mi hai ingannato in quel modo? Ti sei solo servito di me per cercare di arrivare al potere. Io mi fidavo di te, ti ho messo come nell'equipaggio della Starfall, lo vuoi capire che io mi ero seriamente innamorata di te o no?»

Non avrei mai pensato di sputargli in faccia in questo modo i miei sentimenti, non avrei mai voluto farlo – non doveva esserci niente fra noi.

Si ferma, spegnendo la sigaretta che si era acceso sotto i piedi. «Era l'unico modo che avessi per salvarti la vita».

«Cosa vuoi dire?»

Si volta, mi squadra da capo a piedi, non mi sono mai sentita così indifesa di fronte lui come ora. «Se non ti avessi costretto io a fermare il programma, l'avrebbe fatto lei con un solo colpo al petto. Gli altri due aguzzini erano ai suoi diretti ordini, le obbedivano cecamente e se non li avessi minacciati di morte ti avrebbero violentato senza troppi problemi. Lei aveva paura che mi servissi della Federazione per prendere il trono, io che si servisse dell'Alleanza per togliermi di mezzo. Eravamo d'accordo io e lei, una volta, ma io ho perso la testa per te, mi ha messo con le spalle al muro – per cercare di salvare te e il trono ho preferito tradire la Federazione. Mi ha detto che sono stato stupido perché in quel modo non avrei salvato nulla».

«Non ti credo...» Stringo i pugni, sentendo gli occhi pungere. «Tu non sei stato più gentile degli altri».

«Ho sbagliato, lo so. Credevo... credevo fosse la cosa giusta... ho capito troppo tardi che non lo era. Sono stato un cretino a farti soffrire in quel modo, a cercare di recitare il ruolo dello stronzo su Minerva».

«Cercare? L'hai fatto bene, mi hai solo spezzato il cuore».

«Hai idea di quante notti abbia passato a piangere solo per sapere di dover alzare di nuovo le mani su di te? Hai idea di quanto mi facesse male vederti piena di ferite, abbandonata a ogni tipo di violenza?» Copre la distanza fra noi con pochi passi, tremo appena, odio il fatto che mi sovrasti. Mi sento inutile, indifesa. Abbasso lo sguardo pur di non incrociare i suoi occhi, brucia sentire il suo sguardo sulla mia pelle.

«Tu non ti sei risparmiato niente, non hai fatto niente per aiutarmi e io mi fidavo di te».

«Posso capirti se non vuoi avere più a che fare con me. Concedimi solo questa serata, non voglio avere solo i ricordi di te schiava o nemica. Dammi almeno un ricordo di Vivi». Mi accarezza con riluttanza una guancia, alzo lo sguardo, lui ha gli occhi lucidi e io li sento pizzicare, mi sembra di avere un'oppressione sul petto. È una situazione paradossale. Vorrei vederlo morto, avrei voluto che fosse stato condannato, non dovrei essere qui, a dieci centimetri da lui, non sapendo cosa pensare, cosa significa tutto quello che sta succedendo. Ho cercato di convincermi in tutti i modi che questa cosa fosse sbagliata fin dall'inizio, che non sarebbe dovuto succedere niente. Ho fallito. Sbaglierò a dargli fiducia un'altra volta, me ne pentirò, ma a quanto pare non riesco a star lontana dallo stesso fuoco con cui mi sono scottata.

«Oh, fanculo a tutto. A te soprattutto, alla vita, a tutta sta guerra di merda».

Lo afferro per la giacca, costringendolo a piegarsi. Non voglio pensare, non voglio avere a che fare con altro che non siano le nostre labbra premute insieme.

Ci separiamo solo per un momento, una lacrima gli riga la guancia, gliela asciugo, per poi ritrovarmelo subito addosso, le mani che si stringono sul mio viso.

«Perdonami, Vivi, sono solo un cretino» mormora interrompendo il bacio più volte, per poi tornare sempre a togliermi l'aria, a stringermi a sé come se avesse paura di perdermi.

«Sì, sei un cretino. Un dannato cretino, ma non provare a tradirmi di nuovo». Lo stringo il più forte che posso.

Scuote la testa, scendendo a baciarmi il collo. Rabbrividisco, la barba mi fa il solletico. Scivoliamo lentamente a terra, in ginocchio. Stringo una mano sulla sua giacca e una sui suoi capelli, lo sento piangere, con la faccia appoggiata sulla mia spalla e io non faccio nulla per fermare le mie lacrime. Mi allontano un attimo, il tempo di prendere un pacchetto di fazzoletti dalla tasca. Gliene passo uno, prendendone uno anche per me.

«Grazie...»

«L'unica volta che mi sistemo un po' e tu devi rovinare tutto». Guardo il fazzoletto, rigato di nero, alla luce del lampione sopra le nostre teste. «Sei un cretino».

Appoggia la fronte sulla mia, sospirando appena. «Vieni, voglio davvero farti vedere una cosa. Avevo solo bisogno che tu capissi che non volevo farti del male».

«Dove vuoi andare? Questa è la strada che porta alla pista di decollo».

«Ho bisogno di una nave».

«Credevo volessi fare una passeggiata».

«E una passeggiata nello spazio non ti va bene?»

«Rubare una LWSS non è che sia una buona idea per un appuntamento... nemmeno se sei un principe».

«Se vuoi prendiamo quella» sorride indicando la Starfall.

«No. Uno, senza equipaggio è impossibile mandarla. Due, se tocchi i comandi Axel ti ammazza. Tre, se ti avvicini alla nave ti faccio fuori io. Quattro, ci vuole troppo per mettere in moto tutto».

«Cinque, è una BS. Sarebbe troppo pericoloso. Meglio una LWSS per dove voglio portarti».

«Vuoi andare in mezzo alla fascia di asteroidi?» È l'unico posto che mi viene in mente per cui c'è bisogno di una nave di dimensioni più piccole.

«In un certo senso. Voglio oltrepassarla».

Sospiro, tirando fuori il datapad dalla tasca. Lo sblocco e la luce blu illumina entrambi.

«Che stai facendo?»

«Ti procuro una nave. Non hai bisogno di rubarla, ho accesso a ogni nave della flotta, o almeno, a ciò che ne è rimasto. Dimmi solo un motivo sensato per cui la sto prendendo».

«Farci sesso?»

«Sei un cretino».

Metto la spunta sulla voce altro.

Spero di non dover dare spiegazioni, né domani né mai. Siamo gli unici sulla pista, non c'è la solita fila interminabile del giorno, il decollo è rapido, in poco tempo siamo già in volo, nel vuoto dello spazio. Guardo fuori, ho il gomito appoggiato sul bracciolo, la testa sorretta dalla mano. È quasi imbarazzante il silenzio, con solo il rumore dei motori in sottofondo e il radar che manda segnali intermittenti. Ci stiamo avvicinando alla fascia di asteroidi.

«Guarda di non schiantarti, non voglio diventare una frittella».

«Conosco la strada, tranquilla».

Stringo le mani sui braccioli quando Erix accelera e sembra che gli asteroidi ci vengano addosso. Chiudo gli occhi, non ci tengo a vedere il momento in cui morirò per mano di un cretino.

«Te l'ho detto, non dovevi preoccuparti».

«Ne siamo fuori?» Apro un occhio, poi l'altro: davanti la visuale è sgombra.

«Sì, se non hai fretta posso anche evitare il salto, non è distante il posto in cui dobbiamo andare».

«Fai quel che credi sia meglio».

Sbadiglio, ho un sonno tremendo: ultimamente non sono mai riuscita a dormire per bene – dubito che lo farò sul sedile, ma non riesco a tenere gli occhi aperti ora che le luci della LWSS me li fanno bruciare. Appoggio la testa sulla spalliera, cercando una posizione il meno scomodo possibile.




Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top