18

«Tieni, l'avevi lasciato a bordo» mormora Axel mentre mi sistema in testa il cappello. È un sollievo essere di nuovo al mio posto, con la divisa intatta e facce amiche intorno. La Starfall ormai è diventata la mia casa: non ho più trovato un pianeta che potessi definire in quel modo – Lemuria è solo una base, oltre al lavoro non c'è niente che mi leghi a quel deserto.

«Grazie».

La sua mano si posa sulla mia spalla. «Sicura di non voler prendere provvedimenti per essere restati su Minerva?» Annuisco con un cenno del capo: mi hanno salvato la vita, non potrei pensare a nessuna punizione. L'intera responsabilità era sulle spalle di Axel, ma ha svolto egregiamente il suo lavoro – se non facesse domande così idiote, sarei quasi propensa a dargli un aumento.

«Ma sicura sicura?»

Lo guardo male. «Fila ai comandi, Darinell, prima che butti pure te in cella a far compagnia a quei tre».

Axel sorride, poi mi abbraccia. «È bello sapere che stai bene». Ricambio la stretta, rimanendo con la faccia nascosta sulla sua divisa.

«Non lascerò che ti facciano di nuovo del male» mormora allontanandomi da sé e stringendo le mani sulle mie braccia.

Non appena la Starfall decolla, guardo il suolo e la costruzione allontanarsi solo per un attimo, poi volto subito lo sguardo verso l'interno della nave, con il suo pavimento sempre tirato a lucido su cui vedo il mio riflesso sfuocato. Non ho tempo per pensare a loro tre ora che la situazione è davvero grave: la Federazione è rimasta con poche navi, un numero troppo esiguo per vincere la guerra, ma con Minerva in funzione, potrebbero bastare. Gli altri sono pronti a rompere gli accordi della resa da quando abbiamo fatto rapporto poche ore fa: stanno aspettando solo noi. Siamo in svantaggio e non avremmo un'altra possibilità: trattare è inutile, restituire loro i comandanti è una follia che ci si ritorcerebbe contro visto che la Perseus è salva sull'Atlantis.

Cammino avanti e indietro sul ponte, oltrepasso le postazioni di controllo che i tecnici tengono d'occhio, analizzando ogni minima parte del codice perché non devono esserci imperfezioni. La Starfall è completamente operativa, Minerva è stabile, ma trovare un piano d'attacco non è stato facile; le altre astronavi della Federazione hanno liberato i satelliti più lontani dell'Atlantis, sfruttando il fatto che i comandanti dell'Alleanza siano in mano nostra e che l'Andromeda non sembri saper cosa fare senza di loro. Così dovremmo avere un posto sicuro per atterrare, ma l'esito è incerto: noi abbiamo la tattica, l'Alleanza il numero di astronavi.

Il comunicatore gracchia e Axel risponde alla chiamata. «Nave 5930. Siamo pronti al salto».

«Procedete». È l'ordine che ci arriva non appena il portale si chiude alle nostre spalle.

«Sistemate la posizione d'attacco ora» urlo all'equipaggio. Mi mancava il suono dei tanti pulsanti premuti, ma non la sensazione del salto, preferisco un pugno nello stomaco.

La battaglia sta già infuriando vicino all'Atlantis: l'Andromeda non ha perso tempo, vuole distruggere quelle poche navi rimaste che minacciano l'integrità del controllo dell'Atlantis.

Ci siamo.

È il momento di vedere se funziona.

«Ditemi che funziona, vi prego. Ne ho fin sopra i capelli di quel pianeta».

Attimi di silenzio. Mi appoggio al parapetto, sento il cuore battere all'impazzata.

«Sistema operativo».

«Caricate le armi. È ora di portare alla fine questa guerra». Stringo le mani sulla sbarra del parapetto, guardando gli altri sistemare tutto.

«Che sta succedendo?»

Mi volto sentendo la voce di Brunnos, osservo le facce sconcertate dei tre prigionieri – l'idea farli di assistere alla battaglia è stata di Zavis, non mi aspettavo che potesse dimostrarsi così cattivo.

«Siete arrivati al capolinea. Per quanto tu possa essere abituato a vincere, arriverà il momento in cui ti ritroverai sul baratro della sconfitta: ci sei appena arrivato. Se lanci una moneta, non cadrà sempre su una faccia».

«Prima carica completata» annuncia il computer di bordo.

«Fate fuoco» dico loro senza voltarmi. Continuo a guardarlo, è la prima volta che lo vedo in catene, mi sembra quasi... strano.

Basta abbassare una leva. Basta un semplice gesto per scatenare l'inferno sotto di noi. L'energia elettromagnetica di Minerva destabilizza le navi, facendole esplodere.

«Seconda carica iniziata. Cinque ked al caricamento completo».

«Ci stanno puntando contro con le navi più leggere, posso farli pentire o devo avere ordini scritti?» urla Axel.

«Hai carta bianca».

Aesta si morde un labbro. Sa cosa significhi dare carta bianca ad Axel. Guai – per chi ci venga incontro.

«Perché?» Brunnos mi guarda, ha una smorfia dipinta in volto.

«Siamo in guerra, non è politica questa, non sono parole volanti e qui contano i fatti. E adesso i fatti sono che le vostre navi non sono attrezzate per reggere l'energia di Minerva» gli rispondo mentre sorrido e incrocio le braccia dietro la schiena. L'Alleanza crollerà davanti ai suoi occhi.

La nave vira improvvisamente, riesco ad afferrare all'ultimo il corrimano, ma Brunnos e le altre due cadono a terra. Mi precipito al posto di comando, non ho intenzione di volare di sotto per colpa di un pilota troppo propenso alle acrobazie.

«Carica completata».

«Fate fuoco di nuovo. Prima della terza cerica deviate gli attacchi ai cannoni normali. Dobbiamo toglierci di torno quelle navi leggere».

«State compiendo un massacro».

Ma non mi dire, cretino. Abbiamo solo fatto fuori qualche BC con tutti gli uomini a bordo e mediamente ce ne stanno due – tremila.

«Speri di tirarmi fuori i sensi di colpa adesso? Sei mai stato a bordo di una nave prima d'ora nel mezzo di una battaglia?»

«No, se ne teneva ben lontano. Non ha la minima idea di cosa sia una battaglia» risponde l'Orlan storcendo la bocca, mentre guarda i rottami all'esterno: la Perseus è esplosa davanti ai loro occhi, ha segnato la fine della loro era.

«Nave 5930, rispondete. È la terza chiamata questa».

«Qui nave 5930» risponde Axel.

«Sospendete ogni attacco. L'Alleanza si è arresa dopo la distruzione della Perseus».

Ci sono attimi di silenzio in cui ci guardiamo gli uni con gli altri.

«Avete fatto un ottimo lavoro, la vittoria è tutto merito vostro. Potete atterrare sull'Atlantis, guardate di farlo per bene stavolta».

Qualcuno ride alla battuta; Axel no, grugnisce, borbotta qualcosa.

«Perché non esultate? Avete vinto». Guardo Aesta, inginocchiata accanto all'Orlan.

«Perché dovremmo? Abbiamo perso molti uomini, oggi come nei ol scorsi. La battaglia è finita, la guerra no». Aesta annuisce, abbassa lo sguardo.

Attraversiamo una zona piena di detriti: di tanto in tanto si sente il rumore sordo dei pezzi di metallo che sbattono sulla Starfall con poca forza, ma abbastanza per deviare il loro cammino nello spazio. Nessuno li considera: siamo abituati ai relitti, alle carcasse galleggianti – segni di battaglie che ancora solcano lo spazio con il loro carico di morte.

Oltre i detriti, appare l'Atlantis: è circondato da nuvole bianche, ma sprazzi blu scuro si riescono a vedere comunque; è abbracciato dalla striscia di asteroidi che da terra appaiono come anelli luminosi.

«E così siamo a casa... o quel che ne resta...»

Guardo Brunnos di sottecchi, stringendo i pugni. «Avrei voluto vedere un epilogo diverso» gli dico passandogli davanti. «Ma forse è bene che sia così».

«Vivi, aspetta!»

«Cosa c'è, Aesta?» mi fermo, voltando la testa.

«Che ne sarà di noi?»

Li guardo uno per uno. «Non lo so». Lo so, lo so benissimo: finiranno a processo, passerò tutto al Consiglio, voglio togliermi dalle mani questa cosa.

Rimango a sedere per tutta la fase della discesa, con la testa fra le mani e gli occhi fissi sul pavimento: avrei sempre pensato che la fine della guerra mi avrebbe fatto felice e, invece, sento solo un gran disgusto per quello che è successo: sono dodici wakin che la Starfall è operativa; venti ne sono passati dal primo scontro. Non ho nemmeno idea di quale sia stata la causa scatenante: ero troppo piccola per capire i discorsi delle notizie, troppo accecata dalla voglia di vendetta contro l'Atlantis per approfondire la questione.

Noi non siamo nel giusto e loro non sono nel torno. Per quanto possa essere doloroso accettarlo, questa è la verità.

«Nave 5930, fase di atterraggio conclusa. Con successo» fa Axel al microfono. Lo raggiungo, mettendogli una mano sulla spalla.

«Hai fatto un buon atterraggio oggi».

«Credevo di tornare a casa per un po', credo che a Rafael possa far piacere rivedermi dopo dodici wakin di lontananza».

«Va' pure, non ho nulla in contrario. E lo stesso vale per il resto dell'equipaggio. È bene che le vostre famiglie sappiano che stiate bene».

«Ci pensi da sola alla burocrazia?»

«Me la saprò cavare» alzo le spalle. Ora inizieranno le trattative, la parte più noiosa che possa esistere.

***

Appoggio una mano e la fronte sulla colonna, la pietra è fredda, coperta da uno spesso strato di sporcizia che nasconde il colore originario delle striature – azzurro, forse.

Sono wakin che non tornavo qui ed essere a terra, su un pianeta diverso da Minerva o da Lemuria è strano, poi, il fatto che sia l'Atlantis mi fa stringere lo stomaco.

«Ce l'abbiamo fatta» mormoro alla pietra, mi asciugo con la mano le lacrime che stanno scendendo. «È tutto finito».

Mi inginocchio accanto alla lapide, accarezzo la foto. È del giorno del loro matrimonio, ho passato ore intere a scorrere l'album di quel giorno mentre mia madre era via a lavorare su Kalea e mio padre continuava a sistemare Minerva: erano poche foto, ma mi bastavano – so che i miei genitori non le amavano e che si tenevano lontani da qualsiasi obbiettivo. Ma adesso... vorrei averle. Sarebbe un conforto, dato che non ho idea di cosa possa essere rimasto: immagino abbiano distrutto tutto, o quasi. Di loro, adesso, non ho altro che due tombe così distanti – una su Lemuria, l'altra sull'Atlantis.

Abbiamo tradito noi per primi: forse è per questo che non riesco a prendere una decisione su Aesta... lasciare tutti e tre i casi al Consiglio significherebbe una condanna certa, una condanna che non potrei evitare in alcun modo, come quella che subì mia madre, per colpa mia.

Non posso permettere che succeda di nuovo, non posso perdere anche lei, ma ha tradito, ci ha messo in pericolo e io pur di salvarla ho consegnato loro i progetti, peggiorando la situazione.

Non posso sfuggire alle mie colpe, magari sarà dura vedere qualcun altro al posto di comando della Starfall, ma sarà necessario, lo so.

Mi siedo a terra, la schiena appoggiata alla colonna e le gambe strette fra le braccia; il silenzio che mi circonda è surreale, considerando che pochi ol fa eravamo in mezzo alla battaglia, in mezzo a grida ed esplosioni. Guardo il cielo: sembra tutto così calmo, come se la tempesta fosse passata, lasciando solo desolazione dietro di sé.

Abbiamo vinto. Saremo in grado di mantenerci ciò che abbiamo ottenuto?

Non abbiamo molte risorse: i territori dell'Alleanza potrebbero non accettare la resa, in fondo abbiamo vinto solo in una piccola zona, sì, è pur sempre il centro di controllo, ma in confronto alla vastità che coprivano è molto piccola.

Il terreno scricchiola in lontananza, mi volto verso quella direzione: ci sono Axel e, poco lontano da lui, Brunnos – probabilmente l'unico a sapere dove mi avrebbero potuto trovare, considerando che ho volutamente lasciato ogni cosa a bordo della Starfall.

Rimaniamo a fissarci, sposta il peso da un piede all'altro, non ci vuole molto a capire che voglia chiedermi qualcosa.

«Be'?»

«Il Consiglio ha deciso. Vogliono che parli anche tu domani al processo».

«Me l'aspettavo. Riguardo a chi?»

«Tutti».

«Tutti è un po' generico. Sai com'è, potrei anche parlare di come non abbiate eseguito gli ordini».

«L'ordine trentadue è decollo immediato e io quello l'ho fatto. Non hai detto niente sulla destinazione, in qualche modo ci siamo decisi a rimanere lì. Quindi tecnicamente ho eseguito gli ordini».

«In effetti hai ragione. Allora sarà meglio che vada a preparare il discorso. Si prospetta una bella notte insonne».

«Almeno ci fai l'onore di venire a cena per festeggiare?»

«Non credo. Non sono dell'umore giusto. Vi divertirete anche senza di me».

«Ma perché? Credevo ti avrebbe fatto piacere, insomma sei tu quella che ci ha portato alla vittoria».

«Non verrò, Axel. Lasciami in pace. Non ti dice niente il fatto che mi sia rintanata in un cimitero deserto e dimenticato?»

«Non avevi mai dato ordine di compiere un tale massacro in battaglia... speravo fossi, be', un po' sconvolta da quel che è successo, ma non immaginavo che tu potessi essere davvero cambiata così tanto».

«Cosa ti aspettavi?» Mi alzo, scuotendo la polvere dalla gonna.

«Io so che questa non è la vera Vivi... lo so che la persona che conosco sepolta da qualche parte in te». Axel mi accarezza una guancia, ma scosto la sua mano: non avrò pace finché non vedrò Brunnos condannato. Sarà l'unico modo in cui potrò tornare a sorridere, non riuscirei a perdonarlo.

«Quella persona è morta. Uccisa. E non puoi riportare indietro una cosa morta».



L'angolino buio e misterioso

Sì, mi piace torturare Vivi e portarla al limite. Mi servirebbe il prequel per ampliare questa parte, se riesco a vincere l'odio e la voglia di farci battute trash ci metterei pure mano.

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