2. Muraglia di mattoncini colorati

Penso sia arrivato il momento di fare chiarezza sulla divisione della mia tribù. Come si sarà potuto notare, non condividevamo tutti le stesse credenze.
No, al contrario, la nostra tribù era squarciata in due metà.

Da un lato c’era la fazione dei “credenti” a cui appartenevano quelli che credevano nell’esistenza del Guardiano del tempo. Egli era una creatura buona che sorvegliava l’equilibrio della vita e della morte, un ente che gestiva l’ordine temporale momento dopo momento, senza il quale il passato si sarebbe fuso col presente e il futuro sarebbe annegato nel caos.
Nella quotidianità i devoti al Guardiano lo omaggiavano e ringraziavano, ad esempio, per aver messo fine alla pioggia quasi diabolica che nelle settimane precedenti si era riversata su di noi e che mi aveva costretto a delle insipide giornate tutte uguali chiuso nella tenda.
Il maltempo, ovviamente, non aveva fermato i credenti, cui tutte le azioni erano guidate dalla fiducia completa nelle scelte che il guardiano avrebbe voluto adoperare su di loro. Così il maestro Kay, di cui si dibatteva la fede, volente o nolente, era stato tenuto a fare lezione soffocando il freddo in pellicce calde.

Dall’altro lato c’era la fazione dei “diffidenti”: costantemente in allerta, a cercare una spiegazione a tutto, come se il male fosse sempre in agguato e il pericolo si nascondesse nell’apparenza di semplici  gesti o nelle persone che da un momento all’altro possono ferire. E’ facile capire, quindi, che mio padre non era molto amato dalla tribù perché lui per primo diffidava di tutti.

La fazione dei diffidenti non era sempre esistita. Il maestro Kay ci aveva detto che si era formata al diffondersi della notizia che una creatura avesse sconfitto l’antico guardiano, appropriandosi dei suoi poteri. Questa creatura era il Mangiatempo.

Dal periodo di caos che segnò la lotta tra il Guardiano e il Mangiatempo, un dubbio iniziò a insediarsi nell’animo di molti: che avesse vinto? che fosse stato vinto? Prima niente aveva mai turbato o messo in dubbio la potenza antica e immortale del Guardiano e nessuno aveva mai nemmeno preso in considerazione che potesse essere affrontato. Fino a quando non lo aveva fatto il Mangiatempo.

Si iniziò a pensare che non fosse di così ineguagliabile forza, che il destino di tutti, nelle sue mani, non fosse così intoccabile e che potesse essere manomesso.
Bisognava guardarsi attorno, evitare i pericoli che il male poteva nascondere per anticipare e modificare i piani giusti del Guardiano.
Fu così che nacque la fazione dei diffidenti.

Da quel momento perdere i propri cari fu considerato per loro non come una legge necessaria a dare più valore alla vita e tenerne saldo l'equilibrio, bensì un assassinio di anime per nutrire il Mangiatempo.
Eppure non si manifestavano reali cambiamenti che attestavano la ferocia del Mangiatempo o la disfatta del Guardiano. Ecco perchè molti avevano conservato la fede che il Guardiano non fosse mai morto.

Questa divisione tra "diffidenti" e "credenti" aveva influenzato intere generazioni plasmandone il carattere e la quotidianità, ed avrebbe destinato me, fino ad allora ne ero stato convinto, alla solitudine.
Eppure mi è difficile allontanare dalla mente quella domanda di Lyvet (il pomeriggio di cui vi ho narrato) e quel suo sguardo di comprensione che, seppur fossero un gesto piccolo e apparentemente poco importante, mi aveva aperto un tassello nella mente.

Certe volte mi viene da pensare che la mente sia una muraglia di mattoncini colorati al cui esterno si trova un grande fascio di luce bianca.
Noi viviamo e pensiamo, senza sapere quanti altri tasselli separano la mente dalla sua luce completa.

Poi qualcosa, una spinta mentale, una verità scontata che ci viene posta nudamente davanti, fa cadere un tassello.

Solo allora ci rendiamo conto di essere un passo più avanti verso "l'apertura mentale" e per un momento la mente gode di quella luce e si alleggerisce del peso di quel mattoncino.

Ecco, la conversazione con Lyvet aveva fatto cadere nella mia mente un mattone. L'aurea che mi portavo dietro poteva essere cambiata.

Tuttavia quando rividi Lyvet nulla sembrò diverso.
Stava parlando con Stiven.

Hugo ed Eleonora certamente la guardavano male e, che dire di me, non sopportavo Ernest ma non ero nella posizione di esprimere giudizi.
Lyvet gli sorrise e, quando si allontanò, io rimasi nascosto a pensare.

Siamo diventati veramente amici, io e Lyvet, non ricordo nè come nè di preciso quando.
So bene, però, che dovetti pensare a non aspettare sempre che fosse lei ad introdurmi in una conversazione.
Esistono troppe persone affinché una, soprattutto una che vede il buono in tutti, venga a cercare proprio te.

Ricordo quando mi trovai al Grandefaggio prima dell'inizio della lezione e le chiesi a cosa stesse pensando. Quella volta mi parlò dei suoi genitori.
"Domani partono, per poco, solo due giorni e rimarrò da sola a dormire alla tenda"
"Ti lasciano da sola?"
"Si. Certo non è così diverso: quando loro sono alla tenda ed io rientro a un’ora qualsiasi della notte li trovo già a dormire. Però, sai, sapere di tornare e non trovare proprio nessuno mi spaventa un po’"

Mi rabbuiai.
"Ti farei compagnia, come immagino facciano i veri amici, ma per me è il tuo contrario. Non posso uscire, soprattutto la notte"
Le raccontai di mio padre, di quanta influenza si prendesse sulla mia vita.
Lasciai che almeno una persona potesse conoscere la mia vera storia, avevo bisogno di una persona a cui non dover costantemente mentire e quella persona non poteva che essere lei. Finalmente qualcuno mi conosceva: io che non ero un così accanito diffidente, io che, nel limbo, dovevo ancora capire che fossi. Tutto ma non come era mio padre.

Alla fine mi disse "Tranquillo, ai 'veri amici' si può dire tutto, anche se siamo diversi non devi cambiare le tue abitudini per questo, non vergognarti di chi sei"

Imparai in fretta cosa significasse il termine "amicizia". Avere qualcuno con cui condividere i pensieri che prima erano soltanto miei. Ero sempre io, ma adesso qualcuno mi conosceva. Devo ammettere, però, che l'amicizia ti cambia un po': io, ad esempio, stavo diventando meno bugiardo e triste. La mia solitudine stava tramutando in qualcosa di più…leggero, mi pesava di meno il cuore e sono certo che non fosse perché era dimagrito, no, anzi, si era allargato e trasbordava un sentimento nuovo.
Conobbi anche io i suoi demoni ed arrivai al punto di riconoscerli ogni volta che le inveivano contro, prima ancora che fosse lei a dirmelo. Ma prima di identificarli come tali (‘demoni’), sembrava soltanto un gioco, uno scherzo al destino.

Mi diceva "Vieni, ripariamoci qui, sta venendo a piovere" quando il sole era splendente nel cielo e fosse inimmaginabile la pioggia. Tuttavia, messi al riparo, qualche goccia iniziava a scendere dal cielo, sempre più pesante e fitta, fino a diventare un acquazzone. Rimanevo ogni volta stupito di quanto avesse sempre ragione.

Un'altra volta eravamo al Grandefaggio, seduti dietro ai tavoli in legno nell'ultima fila. Il maestro ci aveva dato una ciotola d'acqua a testa per provare a replicare con lui un miscuglio giallo curativo.
"Pronto? Mi senti?" Lyvet stava fissando l'acqua davanti a lei senza sbattere palpebre.
"Stai cercando di trasformare l'acqua con la forza del pensiero? Hey!" La scossi per il braccio. Lei distolse lo sguardo e lo spostò su di me.

"Tu che cosa vedi?" Mi disse indicando il suo riflesso nell'acqua.
"Acqua, che dovrei vedere?"
"No, guarda meglio, vieni"
"Ehm...il riflesso della mia faccia? Caspita, che capelli in disordine!" Cercai di aggiustarmeli con le mani
"No" fece per spostarmi.
"Tu che cosa vedi?" chiesi, incuriosito.
"Era più una sensazione" mi sorrise "Che devi fare oggi?"
"Ma, niente. Finita la lezione me ne torno alla tenda, come al solito"
"No, oggi sarà più interessante. Troverai un'aggiunta preziosa alla tua collezione di sassi"
"Ma magari! Credo di aver già ripulito questo bosco da tutti i sassi degni di nota"
"Stasera ne sarai sorpreso, scommettiamo?"
"Te lo ha detto l'acqua?"
"Te lo dico io" concluse Lyvet.

La giornata passò in fretta e alla fine tutti avevano una boccettina con quel liquido giallo. Quante di queste erano fatte bene e avevano davvero un effetto curativo era tutto da vedere. Immagino, però, che ognuno di noi se ne tornò con una dose di coraggio in più, come se quella fiala fosse il nostro scudo protettivo, la nostra soluzione già pronta ad un'eventuale ferita.

Prima di rientrare alle tende, Lyvet mi stava parlando di come fosse riuscita a far crescere una piantina di mirtilli avendone trovato uno per caso a terra. Da qualche parte aveva imparato che bastava schiacciarlo e coprirlo di terra e fare in modo di conservarlo all'umidità.
Non si aspettava che avrebbe funzionato ma evidente il posto che aveva scelto era umido abbastanza da darle questa piccola soddisfazione che ora, entusiasta, voleva farmi vedere.

Mi disse che non ci avremmo messo molto e che prima che anche i perditempo dei nostri coetanei, persi in chiacchiere e gossip, fossero rientrati, sarei stato di ritorno anche io. A mio padre sarebbe potuto sembrare che avessi semplicemente rallentato il passo.
Invece accellerammo.
Mi portò in un sentiero secondario tanto stretto che l'ingresso era quasi nascosto. Quando vi accessi, mi resi conto che fosse decisamente un posto umido.  Sull'erba si aprivano chiazze di fango e la sera che iniziava ad imbrunire stava mascherano la vista tra i rami con un bizzarro e inquietante gioco di ombre.  
"Eccola! Guarda, si vede già da qui"
Accostata al bordo del sentiero erboso, mi indicò una piantina appena cresciuta, facilmente scambiabile per erbaccia.
Ci saremmo avvicinati, l'avremmo osservata un minuto, come per invogliarla a crescere, e saremmo tornati indietro. Le cose, però, presero una piega diversa.

"Ma guarda un po' chi si vede da queste parti" ci girammo di scatto verso Ernest, il suo ciuffo giallo leggermente bagnato stava risalendo una folta discesa di alberi venendo dritto verso di noi. "La bambina e l'asociale" ci guardò dalla testa ai piedi con uno sguardo di ripugnanza.

"Ernest, che ci fai qui?" disse Lyvet
Lui si avvicinò lentamente e le si piazzò davanti per poi scandire una ad una quattro sillabe "Gu-Gu-Ga-Ga"
Lo destai più di quanto non avessi mai fatto.

"Il Canarino, sai, ti chiamano così" dissi io, cercando di mostrarmi il più divertito possibile "che ne pensi, Canarino, di andare per la tua strada e noi per la nostra?"

Non gli avevo mai risposto così, non so cosa mi prese ma volli giocare le sue stesse carte.
"Ma non mi dire" Ernest sgranò gli occhi mostrandosi teatralmente sorpreso "il muto sa parlare. Da quando ti è uscita tutta questa voce?"

"Ragazzi, per favore, l'idea di Okiro mi sembrava ottima" disse Lyvet, poi si rivolse al biondo "Mi dispiace che tu debba essere sempre arrabbiato" si rivolse al canarino.

"Che?" Alzò il sopracciglio
Intanto io vidi con la coda dell'occhio una luce rossastra. Veniva da dove era salito Ernest, solo molto più in basso.

"Si, insomma, così non vedi il bello della vita. Lo capisco, ormai sei entrato in un vortice di rabbia, ma se ne uscirai ti renderai conto che ho ragione" continuò Lyvet

"Ah si! Ho visto un unicorno, e aveva in bocca una caramella! Se vuoi ti dico da che parte è andato" la derise Ernest.
Quel rosso sembrava lampeggiare e danzare con le ombre.
"Sembri una bambina che si sforza di dare consiglio ai grandi" continuò Ernest

"Lyvet andiamo" dissi io ma ma lei continuò il suo discorso.

"Non ti prendere il peso di definirti 'grande'. Siamo a metà strada, puoi ancora costruirti ricordi felici"

"Ora dobbiamo andare" lanciai uno sguardo ad Ernest e trascinai Lyvet per un braccio, facendo attenzione a non farla male.
Poi lei si fermò e solo allora mi resi conto del suo sguardo confuso e di rimprovero. Stava per ritornare indietro, ma la bloccai di nuovo.
"Dobbiamo correre, presto!" Mi affrettai a dire ma lei di fermò semplicemente.

"Cos'è questa puzza?" Strizzammo i nasi, sapevo bene cosa fosse.

"Dobbiamo avvertire gli altri, chiamiamo i tuoi genitori, forse sanno che fare. O il maestro. Vieni!"

"Ma che dici?"

"Lyvet" dissi esasperato per pregarla di correre "penso che stiano appiccando un incendio!"
Lyvet sgranò gli occhi e in quel momento sentimmo un grido.

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