𓆩XXXVI𓆪

«Walter mi dispiace, sono tremendamente mortificato»

Fu tutto ciò che riuscì a dire dopo mezz'oretta di viaggio di silenzio, un supplizio per le orecchie, tale assenza di conversazione avrebbe turbato un cadavere nella bara.

Walter si sfilò la camicia con frustrazione, strappando accidentalmente la sottomanica. Si assaliva i capelli con le unghie, digrignava i denti, scaraventava gli oggetti presenti nella stanza.
Provava caldo e freddo, odio e tristezza, ribrezzo e sconforto. Tutte emozioni che lo soffocavano come un mare in tempesta.
Guardare Giglio gli provocava tanto dolore, tutto ciò che poteva vedere, non erano più i suoi grandi occhi scuri, teneri e innocenti, e le sue piccole labbra carnose e le sue soffici guance rosate.

Ma vedeva solo Vittorio.

Le sue pallide mani sulla pelle del suo amato, lo gratificava laddove egli lo aveva sfiorato per primo, gli invadeva il volto di baci, carezze, lo sollevava tra le sue braccia e lo stordiva di piacere facendolo dolcemente sussultare sul suo membro.

Il suo stomaco si ribaltò, e il suo cuore si ritirò sotto un macigno. Non riusciva a tenere a bada la mente, la sua immaginazione raggiungeva luoghi impudici.

«Sei andato a letto con mio padre! Mio padre!?» strepitò lanciando l'orologio della sveglia contro la parete, mancando Giglio solo di poco.

«Walter ti prego... ti scongiuro» piangeva impaurito, confuso se il compagno lo avesse mancato per non ferirlo o per poca precisione.

«Per questo volevi abortire, volevi solo sollevarti da un errore! Ammazzare due povere creature per coprire una tua cazzata!»

Giglio si sentiva tale un filetto di suino marcio, fetente e deteriorato.

«Walt, amore ti prego io non volevo, è stato un errore!»

Piangeva a dirotto, le sue guance erano abbozzate di rosso e i suoi occhi gonfi e strizzati.

«Tra tutte le persone che ti potevi scopare, proprio mio padre!? Mi hai tradito con lui?»

«Le cose tra noi non erano ancora ufficiali, e io avevo molto bisogno di sentirmi bene e amato in quel momento, lui era semplicemente nel posto giusto al momento giusto! Walter ti scongiuro, ti prego perdonami!»

Tentò di avvicinarsi al compagno per placarlo, ma Walter lo rifiutò, lo distò da sé come il peccato.

«Non mi toccare!» ordinò solennemente.

«Tuo padre non sa che sono i suoi, egli non era presente oggi a pranzo, e poi anche se fossero suoi potremmo fingere che siano i tuoi» suggerì Giglio, trattenendo sul petto la mano che lo aveva respinto.

Ma non c'era chiave che avrebbe potuto aprire la porta giusta di Walter, quella che serbava in sé il perdono.

«Mi hai deluso» disse.
«Io credevo che tu fossi una persona leale...»

«E lo sono, ma è solo che è successo e...»

Rispose Giglio, incapace di finire la frase.
«Quando è successo?» domandò Walter.

«Dopo che i miei mi hanno cacciato di casa, lui mi ha trovato per strada e mi ha invitato a casa sua. Walter non c'è stato niente, era solo del sesso» disse, e Walter rispose soffiando un debole sorriso, fasullo come la piattezza della terra.

«"Era solo del sesso..." Giglio ti senti quando parli? Mio padre, quei bambini potrebbero essere miei fratellastri, te ne rendi conto? Hai idea della grande cazzata che hai fatto? Del dolore che mi hai appena procurato?»

Quelle parole stavano letteralmente scavando la carne di Giglio, sapeva quanto avesse ferito il suo amato e desiderava poter tornare indietro nel tempo e non aver mai compiuto quello che aveva fatto.
Vittorio lo aveva sedotto, e non costretto, il suo fascino, il suo fisico e le sue parole velenosamente dolci lo avevano accecato. Avrebbe potuto rifiutare, ma non lo aveva fatto, avrebbe potuto accettare solo un piccolo bacio sulla guancia, ma invece lo aveva accolto in sé stesso.

«Mi dispiace, veramente Walt, mi dispiace un sacco me ne pento tantissimo, giuro»

Provò a baciarlo ma Walter rifiutò il bacio. Baciare le stesse labbra che suo padre aveva baciato era quasi nauseante.
Giglio lo comprese, e accettò il rifiuto, come poter biasimare l'amato? Bere dal bicchiere di un altro uomo, perlopiù non uno qualsiasi ma colui che lo aveva generato.

Mentre annegava nella vergogna, Giglio udì il telefono vibrare nella tasca.

«Mia mamma è qui...» disse, era giunta per accompagnarlo all'appuntamento.
«Vengo anche io» disse Walter, e accompagnò Giglio alla porta.
Sebbene arrabbiato, desiderava con tutto il cuore poter vedere i suoi presunti bambini. Non rivolse né sguardo né parola al compagno, condannandolo al silenzio.


Nel frattempo, nella dimora dove abitava la seconda moglie di Vittorio, suo nipote Davis giunse non solo per potersi vantare della casa alla sua nuova scorta, ma per poter far visita allo zio.

Quando lo trovò in compagnia dei suoi figli più giovani, con una finta tosse gli chiese se potessero parlare privatamente.

«Ciao Davis»
Salutò la bambina, che sedeva sul ginocchio dello genitore.
«Ciao piccola, allora, avete tempo? Giusto pochi minuti e poi tolgo il disturbo»

Vittorio lo guardò, non gli piaceva Davis, anche se suo nipote, nutriva verso di lui molto astio. Ricordava come da bambino lo rimproverava spesso e volentieri, poteva calare su di lui moltitudine di sberle ma sembravano non fare alcun effetto.
Era nato e cresciuto fermamente testardo, brillante ma macchiato da un carattere altezzoso e meschino.

Proprio come suo fratello defunto, non si assomigliavano di aspetto, ma Davis sembrava esserne la reincarnazione.

«Amore mio, papà torna subito» disse sollevando dolcemente la bambina dal suo ginocchio, e dopo una carezza e un bacio, le chiese di giocare con le altre sorelle.

Allorché Davis Invitò la giovane che lo aveva accompagnato ad attenderlo nella lussuosa auto parcheggiata nel cortile, quest'ultima rispose con un allegro sorriso e senza lamento se ne andò.

Zio e nipote si recarono presso una stanza più appartata, una delle camerette dei bambini.
Davis si sedette sul letto, colse un orsacchiotto e lo strizzò.

«Mettilo giù, è il preferito di Eleonora»
Disse, ricordando come quel pomeriggio ella lo avesse perso, e l'intera casa si era ribaltata sotto le sue terribili strilla.

Davis tuttavia non appoggiò il giocattolo, lo guardò quasi con fastidio.

«E così mio cugino diventerà padre di due presunti umani...» disse con voce acida, guardando gli occhi a bottone dell'orsacchiotto.

«Già, ho udito. Vedrò quando potrò presentarmi a loro di persona per congratularmi» rispose Vittorio, la cui gioia però era legata da un sentimento nascosto e quasi sul ciglio di morte.

«Tuttavia se uno dei bambini dovesse nascere umano lo farò diventare un vampiro, egli sarà pur grande abbastanza da decidere cosa fare, ma non permetterò che la mia discendenza deperisca» aggiunse.

«Giusto, comunque...non si sa bene a chi appartengono i figli» disse Davis.

«Cosa?» aizzò le orecchie il vampiro.

«Ho udito ciò che non avrei dovuto udire, difatti avrei dovuto custodire tale segreto, ma sarebbe oltraggioso nei confronti vostri e del mio caro cugino» la sua finta voce tenera irritò Vittorio.

«Arriva al punto» ringhiò.

«Voi avete fatto sesso con un umano, perlopiù trans o come diavolo si fanno chiamare questi individui bipolari»

«Ora i corvi ti parlano, Davis?»

«Non sono arrivato ancora a quel punto per fortuna...» rispose, poi issò gli occhi al soffitto e con il dito sotto il mento rifletté come un bambino che meditava sul gioco da fare con gli amici.

«Hmm, cosa penseranno le vostre mogli? Oh povera Odette...»

Vittorio bruciò di furia, i suoi occhi si incupirono e i suoi artigli fremettero dalla voglia di strappare la pelle dalla faccia del ragazzo.

«Come osi parlare così a tuo zio?» pronunciò pronto a percuotere il nipote.

«Anziché ringraziarmi per l'informazione, siete qui a rimproverarmi e minacciarmi con la vostra mano, mano che dovreste serbare per quel fastidioso umano unto» ribatté Davis, salvandosi da un bollente schiaffo.

«Non ti devo ringraziare di nulla, sei solo un ficcanaso, una delusione. Sei tale e quale a tuo padre, la tua stessa bocca sarà la lama che ti falcerà» avvertì, come se gli stesse leggendo il domani.

Davis erse gli occhi, non temeva la rovina, e nemmeno la morte.

«Se i gemelli dovessero essere vostri, che cosa farete?» chiese genuinamente curioso, cominciando a fare saltare il giocattolo da una mano all'altra.

«Che cosa dovrei fare? E perché te ne importa?» rispose Vittorio.

«Non saprei, come avete detto, la vostra stirpe non va macchiata. Quell'umano dovrà diventare un vampiro, anzi, mi chiedo perché Walter non l'abbia ancora morso... Non è da voi...»

Fumarono le ultime gocce di pazienza, Vittorio non poteva più tollerare la presenza del nipote.

«Esci fuori, ora»

Ma Davis si trattenne, non era giunto per farsi cacciare via, aveva con sé dubbi da risolvere.

«Vostro figlio frequenta un umano senza morderlo, lo feconda e voi non dite nulla?»

«Vattene da qui Davis!» ribatté Vittorio.

«Zio, le tue mogli non lo sapranno, non sono così orribile. Ma ve lo confesso, tutto ciò mi è davvero ambiguo e prima o poi dimostrerò a tutti che non siete poi così retto come volete fare credere. Mio padre a quest'ora avrebbe già crocifisso quel pezzo di carne sporca, siete stato sempre l'anello debole»

Quelle parole penetrarono nel suo cuore del vampiro, avvelenandolo di doglia e tedio. Gli occhi di Davis erano gli stessi del fratello defunto, e il suo dito accusatorio quello del padre perduto.
Quella frase lo fece sentire un giovane fanciullo piegato dalla prodiga del figlio favorito, debole e solo, nessun baluardo sopra cui sentirsi protetto.

«Non osare mai più a rivolgerti così a me, piuttosto sii riconoscente che sei ancora vivo. Odiavo mio fratello, e tutto ciò che veniva da lui. Avrei potuto e voluto spremere la tua piccola testa sotto il mio stivale alla tua nascita, eri il suo unico e solo figlio. Ma è stata per grazia delle mie mogli se tu oggi, Davis, sei qui a mancarmi di rispetto»

Il cambio di atteggiamento allertò Davis, che sapeva non essere affatto saggio spingere Vittorio contro i suoi limiti.

«Se dovessimo giocare a rinfacciare gli errori, tu ora saresti seppellito sotto pesanti cumuli di accuse. Ora sparisci, la tua faccia mi ribalta lo stomaco e così come la tua puzza di perique, ti consiglio di stordirti con qualcosa di più leggero, tanto anche se ti fumassi l'intera piantagione non riuscirai mai a dimenticare la tua infanzia difficile»

Davis si trattenne, deglutì un singhiozzo e calò pesantemente lo sguardo a terra.
Sentiva la schiena bruciare di iracondia,  bramava solo poter strappare la lingua di suo zio e darla a fuoco, spaccargli i denti e cucirgli le labbra.
Le sue parole tagliavano le ossa e la carne, ne sentiva il peso e il bruciore.

«C'è un motivo se dopo di te i tuoi genitori non hanno avuto altri figli, te lo sei mai chiesto? Hanno subito imparato dal loro errore, ciò ti ferisce ogni sera, ed è per questo che sei qui. Vuoi cercare di farmi sentire nel torto, vedere quei bambini come errori»

«Andate all'inferno» fremette il nipote con un groppo alla gola, augurando in cuor suo allo zio le peggiori disgrazie.
Peste, malori, afflizioni insopportabili.

«E farti compagnia? Giammai Davis» ridette Vittorio sfregando la mano sulla testa del biondo.
«Sei mio nipote, ma figlio di mio fratello, già questo doveva renderci accerrimi nemici»

Davis abbandonò la cameretta, corse furiosamente giù dalle scale, seguito dallo sguardo di Vittorio.
Sebbene fosse riuscito a scuoterlo, sapeva che la situazione era ancora tutta da sistemare, e Davis non era mai stato un ragazzo di parola. La menzogna era il catino dove si lavava, la violenza il suo piedistallo e l'imbroglio la sua coppa.


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