𓆩XXXII𓆪
Dormivano beati nel letto, leggermente coperti dal morbido lenzuolo, quando poi però mentre cambiava posizione, la sua mano accarezzò quella che sembrava della soffice erba fresca.
Confuso aprì gli occhi, sicuro che nella stanza di Walter non ci dovesse essere dell'erba.
Ma con sua sorpresa c'era, e ce n'era anche tanta, un campo intero, un'infinita distesa piana di lunghi fili d'erba accarezzati dall'aria che giungeva dal suo fianco.
Il soffitto era scuro, privo di nuvole, scie e stelle.
Udì dei passi giungere alle sue spalle, ovunque, ma guardandosi attorno non c'era nessuno lì con lui.
Improvvisamente poi, egli venne premuto contro il terreno, la sua faccia soffocò nell'erba e tutto ciò che poteva sentire erano delle giovani risate insorgere dagli abissi della sua mente.
«Rimani solo tu, piccolina» pronunciò una voce accanto l'orecchio suo, era una voce purtroppo assai familiare. Elegantemente roca, appuntita di cattiveria come la lama di un coltello.
Non poteva vederli, ma poteva sentire le loro mani farsi via sotto i suoi abiti sottili, scorrere e raggiungerlo nella carne.
«No, no aspettate!» supplicò terrorizzato.
«Sei così docile, brava bambina» disse la stessa voce, che nel frattempo si stava unificando a lui. Giglio poteva sentirlo dentro di sé, assalirlo con il suo lordume, soffocarlo con il suo pesante alito tossico, strozzarlo con le sue viscide mani amanti della violenza e colpevoli di molte morti.
Si calava nella sua carnalità, sottraendogli dignità e candore, e lasciandogli solo doglie e avversione.
Le risate non cessavano, si univano in coro, irrompendo nella testa del giovane, occupandogli tutto quanto il corpo. Tuonavano come grosse campane, come furiosi lampi, come terre in collisione.
Pungeva, bruciava, scottava, irritava.
Voleva potersi grattare, potersi strappare la pelle, sfilarsi di dosso quel marcio in lui. Ma tutto ciò che poteva fare era subire, subire in silenzio come una buona pecorella sull'altare, innanzi al cadavere della compagna che giaceva accanto a lei.
Si svegliò di sopraffatto colto dal caldo e paura, la sua pelle stillava copiosamente scie di sudore, sentiva la schiena fradicia e bollente ma ricoperta di brividi.
Si strofinò il volto completamente sfigurato dal calore, poteva ancora sentire le risate nella sua testa.
Guardò Walter, addormentato alla sua sinistra con un braccio sul viso e l'altro a penzoloni fuori dal letto. Russava leggermente, era chiaramente stanco, e nemmeno un mattone in testa sembrava poterlo svegliare.
Giglio decise di non disturbarlo, sebbene volesse essere consolato con delle coccole, e rassicurato con tanti baci e carezze.
Pensò che un bicchiere di succo freddo lo avrebbe aiutato, così scese dal letto e si recò in cucina.
Aprì il frigorifero, che con sua poca sorpresa si rivelò essere vuoto.
Prese il cartone di succo, svitò il tappo e ne bevve un sorso.
Sospirò sollevato, poteva sentire il proprio corpo rinfrescarsi internamente.
«Uff, ci voleva» disse.
Poi guardò il cartone della bevanda, che oltre che riportare la tabella degli ingredienti, indossava un'etichetta romantica.
"C'è più gusto nel condividere" scriveva.
"Hm, io e Walter siamo fidanzati..." Sorrise allegro.
Avrebbe voluto tanto annunciarlo a sua madre, festeggiare con lei e invitarla a conoscere l'uomo della sua nuova vita.
Ma il fatto che non potesse lo feriva, il loro fidanzamento sarebbe stato sconosciuto ai suoi genitori.
Riprese a bere dalla bottiglia, quando poi il suo occhio scorse un'ombra muoversi tra le tende dalla finestra che portava sul balconcino del soggiorno.
Confuso, si avvicinò alla tenda disturbata dall'aria che soffiava.
"Si è dimenticato di chiudere la finestra" pensò.
Convinto che fosse stato un po' di vento a far sollevare leggermente la tenda, pensò di legarle e poi chiudere la finestra in bilico.
Ma non era affatto il vento.
Quando il giovane annodò la tenda, vide presente sul balcone una figura, un'alta figura dritta.
Era Vittorio, il vampiro maliardo dagli occhi distinguibili.
Quando Giglio lo riconobbe gli sbalzò il cuore, non lo stava di certo attendendo, e vederlo seduto sulla balaustra del balcone era come aver ricevuto visita da un angelo.
«Vittorio? C-cosa ci...» balbettò mettendo piede fuori sul balcone, ma il vampiro erse il dito e gli fece cenno di tacere.
«Inizialmente temevo che non avresti mantenuto la tua parola, così ti ho seguito. Ma non immaginavo che nutrissi tale affetto per mio figlio» dichiarò a voce bassa, consapevole che il figlio si trovasse addormentato nella propria stanza.
Allorché Giglio sospirò sollevato, ma poi rifletté sulle sue parole e le assimilò.
"Ordunque egli ci ha visti nella nostra nudità?" Pensò, e la vergogna lo inghiottì tutto intero come un avanzo.
«Giglio, questo segreto te lo devi portare fino alla tomba, lo comprendi?» disse.
«Certo, tanto la mia vita è breve, barcollo sul ciglio della morte» rispose, quasi incitando l'uomo a porgere delle scuse per quanto detto. Ma Vittorio non lo fece, al contrario annuì grato della sua promessa di parola.
«Come siete giunti fino alla finestra?» domandò guardando la notevole altezza che c'era tra il balcone e il marciapiede.
«Volando» rispose Vittorio, rivelando allora le proprie ali.
Quando Giglio le vide i suoi occhi scintillarono di meraviglia, non aveva mai visto così tanta bellezza in vita sua. Le ali di Vittorio erano prive di piume ma lisce come la pelle, scure come perle e grandi quasi per poter abbracciare la luna.
Maestose era poco, Giglio restò incantato.
«Wow, ma sono meravigliose...»
Si ricordò che anche Walter, ora che si era legato alla luna, poteva volare.
"Chissà come saranno le sue!".
«Anche Walter le ha?» chiese.
«Ora che ha il suo legame lunare sì, e non vedo l'ora di istruirlo nel volo» rispose Vittorio, che aveva insegnato a tutti i suoi figli come spiegare le ali e domanre il cielo notturno. La legge umana aveva proibito ai vampiri il volo nelle ore di luce, provocando a molti giovani l'inabilità di poter imparare a volare in fretta.
«Mi dispiace, io non volevo suonare minaccioso. Ero solo contrario all'idea di diventare un vampiro. E vi chiedo scusa se vi ho dato del mostro, non lo siete affatto. Grazie a Walter, voi e la vostra famiglia, ho capito che umani e vampiri sono uguali. Il male non conosce volto» disse Giglio.
«Ora non esagerare» disse Vittorio, riconoscendo che avesse ragione solo riguardo la malvagità. Ma non riteneva vampiri e umani simili.
Giglio ridette, egli sembrava un vecchio signore scorbutico, ancora legato alle moralità antiche e razziali di un tempo.
«Chiedo scusa» disse portandosi il ciuffo dietro l'orecchio.
Poi schiarì la voce, non c'era altro che avrebbe voluto dire o aggiungere, se poteva sarebbe rimasto a fissare con incanto le ali del vampiro, chiedendosi se fossero forti abbastanza da potergli concedere un giretto in volo sulla città.
Fu allora che, senza nemmeno accorgersene, i loro occhi, notte profonda e luce del deserto cocente, si unirono e si riconobbero subito, e non poterono ignorare i momenti trascorsi quando si trovavano molto più vicini, davvero tanto vicini.
Vicini al punto che le loro carni si erano conosciute, nutrite e assaggiate, toccate e lambite. Il corpo di uno conosceva quello dell'altro, era come essere risorti insieme nello stesso terreno dopo anni di riposo.
Il cuore dell'umano si sottrasse dalla legge della sua mente, e i suoi piedi avanzarono pian piano verso l'estremità del balcone, dove sedeva il vampiro. Si pose tra le sue gambe, presso la sua ombra, investito dal suo delicato profumo di sangue e fiori.
Vittorio percepì la stessa sensazione, accolse il giovane tra le sue braccia con incertezza, lo sfiorò come un fiore delicato.
Le loro labbra si sfiorarono, si accarezzarono, ma non si unirono mai.
Giglio pensò a Walter e Vittorio a suo figlio...
Così la magia del momento scomparve e ciò che sarebbe accaduto si ridusse in un sogno irrealizzabile, la mente riprese dominio sul cuore di Giglio, e Vittorio si ricompose.
«Bene, posso dunque fidarmi di te, vero?» chiese passandosi la mano tra i capelli.
«Io tengo molto a Walter, e lui tiene a me» rispose Giglio, la cui bocca ora che aveva accarezzato quella di Vittorio, aveva gran fame.
«Allora dobbiamo preservare questo segreto come l'acqua, non ne deve uscire una sola goccia. Ho già perso troppi bambini per colpa vostra, non sopporterei di perderne un altro»
Il vampiro spiegò per bene le sue ali, fremettero, e quando fu pronto per spiccare il volo le iniziò a sbattere.
«Bada Giglio» avvertì sollevandosi dal suolo.
«Non uscirà una sola sillaba dalla mia bocca» disse Giglio guardandolo elevarsi verso il cielo, il fruscio delle sue ali era simile alle foglie, forse per questo egli non lo aveva udito quando lo stava seguendo.
Lo guardò confondersi nella notte, diventare tutt'uno con essa senza lasciare più traccia di sé.
Si sfiorò le labbra, i baci di Vittorio erano come il fuoco, ardevano assai ma era un dolore quasi piacevole.
Rientrò in casa e chiuse la finestra per bene, era stato fortunato che fosse entrato Vittorio e non un malintenzionato.
Raggiunse Walter in camera, egli dormiva ancora.
Si accomodò al suo fianco, con delicatezza, gli sollevò il braccio dalla faccia, scoprendo il suo meraviglioso volto.
Lo baciò, ma egli non si svegliò, e il bacio non venne ricambiato.
Gli sollevò il labbro superiore, scoprendo i suoi lunghi canini chiari.
Giglio immaginò di essere un vampiro, un assetato bevitore di sangue.
Si calò verso il collo del compagno, lo lambì, lo succhiò per inciderci la firma della sua lingua, e infine lo addentò.
Walter mugugnò infastidito, ma nemmeno questo lo svegliò.
Giglio nel frattempo affondò ancora un po' di più i denti, finché non sentì di aver premuto abbastanza.
"Ecco, ora sei tutto mio" ghignò innamorato, e si appisolò proprio sopra di lui.
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