𓆩XXVI𓆪

Girovagava smarrito, trainando a fatica la valigia, reggendo la borsa e sopportando il peso dello zaino.

Il sole stava calando, la temperatura pure, nonostante ciò il ragazzo poteva sentire scie di sudore farsi via sotto la sua maglietta.

"Ho le mutande incastrare nel culo"
Pensava, ma per poterle sistemare avrebbe dovuto scomodarsi e sposare la borsa.

"Sono esausto, dove diamine vado? Non posso tornare da Walter, ci sarà sicuramente un suo parente a casa. Non ho nemmeno un telefono, come faccio?"

Disperato e arreso, il ragazzo pianse.

"Che merda di vita!"
Fece per crollare a terra, quando poi udì quel nome proibito.
Per un secondo pensò che il Signore lo stesse per guidare verso la salvezza, ma poi si ricredette, non poteva essere lui.
Riconobbe la voce e venne colpito da una scarica di potenza, sufficente per riprendere la marcia e andarsene.

«Gigliola! Aspetta stella, dove vai?» era Ben, tornato come il malanno.

«Vattene, lasciami stare Ben!» ribatté procedendo a passo lesto.
Non aveva idea della zona in cui si trovava, era l'effetto negativo di starsene sempre chiuso a casa piuttosto che conoscere la città in cui era nato.
Nomi di vicoli ignoti, abitazioni nuove, strade e marciapiedi sconosciuti.

I suoi passi erano spaesati e il suo senso di orientamento ridicolo.
Ma Ben conosceva bene quelle vie, ci viveva, era presso l'ombra degli angoli degli edifici e i cartelli che egli invitava le prostitute presso la sua umile automobile.

Seguì Giglio come un infante su quattro arti, ignorando il fatto che non fosse affatto desiderato.
Riuscì a raggiungerlo, e allungò la mano al manico della sua valigia.
«Dammi, ti aiuto» disse.
«No» rispose Giglio.
«Dove vai tutta sola e stanca? Vestita in quel modo? Pensi che vestendoti da maschietto, nessun uomo potrà  disturbarti?» Giglio lo ignorò.
«Vieni ti dò un passaggio io» disse, cercando di sollevarlo di peso.

«No!» Giglio si dimenò e lo colpì con la borsa.

«Oh, dunque è così adesso? Quando avevi bisogno dei miei soldi ti strusciavi sul mio cazzo come una troia, ma ora sua maestà è troppo in alto per potersi abbassare a uno come me?»
Giglio ne aveva abbastanza, cercò di evitare l'individuo e proseguire per la sua rotta incerta.
Ma l'uomo lo trattenne per i capelli piegandolo e cercando di indebolirlo.
«Devo forse ricordarti la tua posizione? Suvvia, ti piaceva così tanto stare sotto» disse, accarezzando con la mente quei lontani ricordi.
«A proposito, non mi hai ancora restituito il favore»

«Lasciami! Ben lasciami!»

Affaticato dalla lunga camminata, il ragazzo cercò di opporsi con tutte le briciole di forza che possedeva ancora. Ma ogni sforzo veniva ripagato con un frutto secco, Benjamin sebbene poco allenato, possedeva la forza di tre uomini e sottrarsi dalla sua presa era come svincolare il polso dal morso di un cavallo.

«Stai ferma!»
Sollevò il ragazzo e cercò di portarlo alla sua auto, parcheggiata davanti un negozio di accessori poco distante da loro.
Ma Giglio seppure non avesse  possibilità di battere l'uomo, cercò di rendergli l'impresa impossibile.
Si dimenò agitatamente, scalciando e sferrando pugni e schiaffi.

«Mettimi giù! Ben smettila! Mettimi giù cazzo!»
Non avendo un telefono, poteva usare solo la sua voce per chiamare aiuto.
L'uomo giunse a finire la pazienza, scaraventò il ragazzo a terra, cercando di stordirlo colpendolo con violenza alla testa.
Ma Giglio non cedette, continuò a opporsi, sapendo che se avesse perso conoscenza, l'uomo lo avrebbe portato presso il suo alveolo.

Ben, irritato che il ragazzo non gli stesse rendendo nulla semplice, cercò di raggiungere la tasca posteriore, dove teneva il suo coltello da caccia.
Ma prima che potesse usarlo, una voce interruppe il tentato rapimento.

Spaventato che fosse una guardia, o un poliziotto in servizio, si affrettò a sollevarsi da terra. Tutto quel movimento gli aveva accorciato il fiato e non aveva più forza per reggersi in piedi. Giglio si alzò, e fece per colpirlo con il peso di tutta quanta la valigia.

Ma a giudicare dallo sguardo di Ben, si accorse che qualcosa doveva trovarsi alle sue spalle, qualcosa di alto, qualcosa di spaventoso.
Si voltò lentamente con la schiena infestata di brividi, e il manico della valigia scivolò dalla sua mano sudata.

Entrambi indietreggiarono intimoriti come due lepri al cospetto di una volpe emersa dalla scura vegetazione, la grande figura davanti a loro avanzava tale a un fantasma, i cui piedi non toccavano suolo. Cullato dall'oscurità della notte, preservato nel mistero. La sua identità venne svelata dal cono di luce di un lampione.

«Alas, ma che maniere ardue per piegare un fiore così fragile» disse sfilandosi un fazzoletto chiaro dalla manica della camicia, e passandosi con la punta di esso il contorno sporco delle labbra. Sfoggiando così la sua particolare dentatura, bianca e affilata, pungente solo allo sguardo.

I suoi occhi rosso rubino esaltavano sotto il chiarore della luna e gelavano il sangue di chi ne intrecciava lo sguardo. Ma a Giglio non raffreddava affatto, al contrario, quello sguardo quasi lo eccitava. Così rosso intenso come il sangue colante sulla pelle delle vittime, rosso pulsante come la sua intimità, che alla vista del fascino dell'uomo sbocciava come una rosa.

La sua sola presenza spronava Giglio a scoprire la sua essenzialità, esalava un dovizioso desiderio carnale.
Con le sue spalle larghe e salde, rinvigorite dal peso delle responsabilità familiari e magistrali, a Giglio sfiorò un pensiero così vergognoso che si sentì sverginato.

"Chissà se riesce a sollevarmi su quelle sue spalle, e annegare la lingua tra i miei sensibili petali".

Vittorio, ignaro di trovarsi nel margine erotico della mente di Giglio, avanzò verso i due e si fermò in loro presenza.

«Non è così che si ossequia una fanciulla» disse rivolgendosi a Ben.
«Chi diavolo sei?» chiese irritato, ora che aveva capito che non si trattava di una guardia, voleva riprendere da dove interrotto.

«Dovrebbe addottrinarsi un po' più alla deferenza e al garbo. Il cuore della sposa non si ottiene con una sola rosa, doveva presentarsi con l'intero giardino» disse il vampiro, poi guardò Giglio e gli chiese se conoscesse l'uomo.

«No, non l'ho mai visto» rispose indignato, e avvicinandosi presso l'ombra di Vittorio.
Ben osservò per bene la situazione, Vittorio sembrava molto più giovane e forte di lui, per nulla un uomo con cui valeva la pena rischiare.

«Bene, io me ne vado» disse, e dopo aver soffiato un bacio al ragazzo, se ne andò facendo sparire le proprie tracce.

Il vampiro e il ragazzo restarono uno in compagnia dell'altro, me nessuna sillaba pese dalle loro labbra.
Vittorio restò a custodire il giovane con i suoi penetranti occhi roventi, scottato da essi, Giglio inalò un profondo respiro e riprese il suo cammino.

Con sua sorpresa però, Vittorio cominciò a seguirlo.
"Ma perché cazzo mi segue questo?" Pensò, e accelerò leggermente il passo.
Piede destro, piede sinistro, poi quello destro e ancora quello sinistro. A cuore saldo e passo deciso, ciononostante, la sua ombra veniva consumata dalla pesante presenza del vampiro.

"Mi sta attaccato al culo, vattene!"

Non aveva idea della ragione per cui lo stesse seguendo, pensò che forse lo volesse attaccare.

"Ma insomma, che cosa vuole da me? Vuole anche lui un servizio per avermi salvato ? Questi uomini sono tutti uguali"

Trovò una fermata dell'autobus, decise di porsi sotto la tettoia e pretendere di aspettare il veicolo.

Ma chi prendeva per folle? Giglio erse lo sguardo verso l'orologio sospeso sopra la tabella delle corse, e lesse che era troppo tardi per poter prendere il mezzo pubblico per quella via isolata.

Vittorio ruppe la tensione e posò la propria mano sulla spalla del giovane.
Giglio deglutì, pensò di sollevargli via la mano dalla spalla, ma temeva che tale azione sarebbe stata ricompensata con la violenza.
Vittorio lo guardò dai suoi un metro e novanta di altezza, Giglio con il suo scarso un metro e sessantaquattro, appariva piccolo e indifeso come un topo sotto l'artiglio di un felino.

«Giglio» pronunciò Vittorio, con un piacere tale da fare pensare che quel nome fosse una caramella.

Giglio non lo guardò, ma si presentò disposto ad ascoltare.

«Ero inizialmente convinto che tu fossi un vampiro...»

Quelle parole consumarono l'intero corpo del ragazzo, lo fecero crollare come sabbia. La sia anima si incenerì, la sua ombra si filò sotto una pietra e la sua pelle si scolorì.
Allora guardò Vittorio, il cui sguardo si era incupito, i suoi occhi rosso liquore lo punsero.

Strozzò il manico della borsa a tracolla, il suo cuore scoppiò di terrore e le ginocchia presero a vacillare impetuosamente come fragili ramoscelli.

«Emerge che sei solo un accumulo di carne avariata...» il vampiro condusse l'artiglio del proprio dito sotto il mento del giovane, per poi circondarlo con l'intera mano, e cominciando ad esercitare una leggera pressione.

Giglio si sentì impedito, indifeso e senza speranza.
Se aveva faticato a opporsi a Ben, con Vittorio avrebbe fatto prima ad arrendersi.

«...che pende sul giaciglio della morte improvvisa, come un condannato che teme l'alba»

Ogni lettera delle sue parole erano inoculate di odio, un odio consumato dall'odio.

«Piccolo e insignificante come un insetto sotto lo stivale. Lurido umano, esattamente l'immagine di Dio. Voi non siete nessuno per me»

Sebbene stesse fervendo come una foglia, Giglio trovò il coraggio dal fatto che Vittorio non stesse esercitando maggiore pressione attorno il suo collo. Se voleva ucciderlo lo avrebbe già fatto, dunque c'era qualcosa che glielo stava impedendo.

«Parlate così come se la vostra razza fosse più vicina al cielo, più degna di chiunque altro!» ribatté, divincolandosi dalla presa del vampiro e guardandolo da una breve distanza. Sufficente per poter girare i tacchi e fuggire qualcosa la situazione sarebbe degradata.

Vittorio non si offese per la reazione del ragazzo, piuttosto, ne fu quasi colpito romanticamente.
"La preda che si oppone nonostante abbia l'ala spezzata, devo riconoscere il suo fegato" pensò ammaliato.

«Ebbene anche voi allora siete più in basso degli insetti! Siete delle schifose serpi che strisciano sui ventri e che si nutrono solo di polvere e sangue! E poi vi credete potenti!» sebbene non lo avesse pianificato, il ragazzo riuscì a dire più di quello che avrebbe voluto, scoppiando nuovamente a piangere.
«Io ho perso Dalia per colpa vostra! Ho perso tutto quanto! Vi odio! Odio tutti quanti! Sia gli esseri umani che voi vampiri! Vi odio! Odio!»

Vittorio lo guardò e lo ascoltò come un attore la cui maschera era ceduta a terra, scoprendo lacrime nere, e colanti scie di rosa cipria sulle gote truccate.
Non era affatto curante di chi fosse questa Dalia, ciò che a lui interessava in quel momento era solo Giglio.

Era talmente rapito da lui, che metà dello straziante discorso andò perduto nell'aria.
Quando però pensò che avesse finito il discorso, prese a parlare.

«Io ho visto ere nascere sotto l'ombra di un germoglio, per poi crollare su sé stesse come pula sottomessa al vento. Ho visto re scontrarsi sui campi di battaglia, uomini dare la propria vita per vittorie vane.
Ho sempre provato odio verso voi umani, per mano vostra ho perso tanto. Ho perso troppo...»

Giglio stava cercando di riprendersi dallo sfogo, mentre boccheggiava con affanno, guardò gli occhi di Vittorio calarsi verso terra come se alla ricerca di ciò che aveva perduto nel passato.

«Ciononostante, sebbene il mio odio per voi sia così immenso da non riuscire nemmeno a colmare il cielo, o i granelli di sabbia nei deserto, io ho trovato il posto poter far accomodare quei pochi che io considero più che umani»

"Chi?" Pensava Giglio.
«Angeli» rispose Vittorio, e con enorme amore e fierezza, nominò i suoi cari angioli.

«Cassandra, Sabrina e Odette. Le mie mogli erano tutte umane» dichiarò.
«Umane che odiavano gli umani, gli uomini. Così ho dato a loro una possibilità, un'occasione per non essere più sottomesse a loro. Mentirei se ti dicessi che quando ti ho visto, i miei occhi hanno goduto»

Giglio fece per sollevare gli occhi, oramai li considerava tutti uguali. Lusinghe sdolcinate allo scopo di giungere tra le sue gambe, facile come bere un bicchiere d'acqua.

«Tu mi ricordi molto l'unica donna che ha rifiutato di diventare vampira. Odiava la sua fragilità, la sua debolezza umana. Eppure non riusciva a rinunciarci, così io ho rispettato la sua scelta. E poiché già morsa da un vampiro che non aveva un legame lunare, ho dovuto portarla alla corte e farla giustiziare»

Quel giorno Vittorio ricordava di aver pianto sulle vesti delle sue altre moglie, anche loro aveva versato lacrime. Era un giorno di condanna e lutto, uno di quelli impossibili da dimenticare.

Giglio intento, apprese che Vittorio non aveva compreso che egli fosse un umano già morso, lo credeva solamente umano.
Meglio così, pensava, Walter ne sarebbe rimasto fuori.

«Gli esseri umani sono creature perfide, eppure vivono meno di cent'anni, forse anche meno. Non hanno il tempo per la redenzione, per fare uscire il bene dai loro corpi. Vivendo in eterno invece, non devi preoccuparti delle vie del tuo cuore»

«Posso sapere perché siete qui? Mi volete uccidere?» titubò. Non temeva la morte, piuttosto la maniera in cui sarebbe stato ucciso.
Strangolato? Infilzato? Sbudellato? Spellato e dato in fiamme?
Vittorio dava l'aria di un uomo con moltitudini di fantasie, e chissà quali tra queste avrebbe trionfato.

«Tu piuttosto?» rispose.
«Io nulla, tanto non ho un cazzo da fare e dove andare!» ribatté frustrato.
«Che tristezza» disse Vittorio.
«Dunque che cosa state aspettando? Uccidetemi, tanto sono solo un accumulo di carne avariata!»

«No, lo farai tu» rispose Vittorio, sfilando dai fianchi una pistola a luminello, la fece benedire dal brio della luna, dopodiché la porse a Giglio.

Il ragazzo guardò l'arma e sussultò.
Era una pistola vera, pesantemente carica.
Colto da terribili ricordi, cominciò a singhiozzare affranto.

Così fredda, liscia, ridotta dalla pietra focaia. Canna a due ordini punzonata alla culatta, fornimenti in ferro incisi, cassa in noce e firmata sulla batteria con il nome del proprietario.

Senza nemmeno aver premuto il grilletto, il ragazzo udì lo sparo falciare l'aria.

«Dalia?» singhiozzò.

Pensava di aver udito la sua voce nelle vicinanze, forse dietro di lui, sotto i suoi piedi, alle spalle di Vittorio.

«Ti vergogni? Vuoi che ti dia le spalle?» chiese il vampiro.

Ma Giglio non lo badò, poiché in annegamento tra impetuose onde furiose.
L'incertezza era scritta nei suoi grandi occhi neri, l'assenza di coraggio non era sazia e Vittorio scoprì la portata sul vassoio.
«No, no io.... Dalia. No, non è così che...» balbettava confuso.

«Accetta la mia offerta, non vedo perché tu non debba» disse Vittorio.

Giglio soffocò nel proprio pianto, cedette a terra con l'arma che gli penzolava tra le mani.
Ma non c'era tempo per disperarsi, Vittorio non amava temporeggiare e infrangere le sue routine.
Così guardò il ragazzo, si chinò alla sua altezza e lo aiutò ad alzarsi.

«Hai dove andare?» chiese asciugandogli le lacrime.
Giglio scosse il capo, non aveva luogo dove poter andare.
«Seguimi» disse allora il vampiro.
«Quando la luna è piena il vampiro ha più fame, queste sono le ore di caccia, non è saggio per un cerbiatto starsene solo»

«Me la cavo bene...» balbettò il ragazzo.
Vittorio iniziò a camminare, mentre procedeva, si voltò leggermente e disse.
«Allora auguri ad affrontare il vampiro che ti sta tenendo un agguanto da dove l'aria giunge, esattamente a quindici passi, dietro la panchina»

Giglio sussultò spaventato e si riparò subito presso Vittorio, quest'ultimo sorrise divertito, consapevole di aver appena ingannato il ragazzo.
Non c'era nessun vampiro, erano solo delle lucciole.

"Che ingenuo" pensò accogliendolo sotto il proprio manto.
A pochi passi da loro si trovava parcheggiata un'autovettura.
"Ci vuole pazienza, ma sono certo che cederà"

Raggiunsero il veicolo, dove il maggiordomo li attendeva.
«Signore» salutò aprendo per entrambi la portiera.
Per Giglio invece, colse tutti i suoi effetti personali e li depose nel baule.

«Accomodati» invitò Vittorio, già seduto sui sedili posteriori.
Giglio entrò, e si premette all'estremità del sedile, verso il finestrino. Temendo di aver appena compiuto una sciocchezza, forse Vittorio lo aveva attirato con l'inganno, forse ora meditava di condurlo in un luogo dove ucciderlo.
Ma ormai era troppo tardi per poter agire, e accettò coraggiosamente il suo fato.

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