𓆩XXVIII𓆪

Il mattino seguente il ragazzo si svegliò in compagnia di sé stesso, solo un mezzo le dune delle lenzuola, sotto un mantello di ricordi sfumati e resi vaghi dalla sonnolenza.
Cercò Vittorio con lo sguardo per la stanza, ma egli non c'era. Tuttavia, fece caso appoggiato sul comodino, un grazioso mazzo di fiori.
"Per me?" Pensò cogliendolo, e ci annegò il naso tra i profumati petali colorati.

Erano fiori del giardino, gli aveva fatti cogliere solo per lui.
Mentre si godeva l'aroma dei fiori con gran piacere, qualcuno bussò alla porta.

«Avanti?»

«Buongiorno giovane lady» salutò il maggiordomo.
«Il signore si è assentato per andare a fare visita a una delle sue mogli, il suo nuvantaquattresimo genito celebra il suo fidanzamento» disse avanzando verso le vetrate, divise le tende e permise al sole di emanare la propria luce e invadere la stanza.
Giglio accecato, si riparò dietro il mazzo di fiori e venne colto da un largo sbadiglio.
«La colazione l'attende al piano di sotto, mi segua» disse attendendolo alla soglia della porta.

Giglio si alzò dal letto e appoggiò i fiori dove aveva dormito lui. Mentre si infilava le pantofole, le tre donne entrarono nella stanza equipaggiate di panni, ceste e detergenti per la pulizia.

«Buongiorno giovane lady» cantarono in coro.

Giglio si alterò, non si sentiva affatto una lady.

Le donne cominciarono a spolverare i mobili, a sollevare le lenzuola e cogliere da terra petali e capelli.

Nel frattempo Giglio seguì il maggiordomo fino giù la sala da pranzo, laddove l'attendeva una ricca colazione.
Quando vide la varietà di scelte, il ragazzo titubò e pensò che a breve sarebbe stato raggiunto da altre persone.

«Tutto questo solo per me?» chiese al maggiordomo.
«Il signore era indeciso, non sapeva cosa le piaceva. Così le abbiamo servito un po' di tutto» rispose.

Giglio a guardare tutto ciò che giaceva sulla lunga tavola in cedro, soffiò sazio e affaticato.
Certo, non era costretto a mangiare tutto, ma c'era l'imbarazzo della scelta.

Uova di colombo bollite, datteri freschi affettati, pancetta di suino scottata, boccioli di rosa esiccati annegati in una coppa di miele e yogurt, ciambelline ripiene di ciliegia, frutti di bosco con panna cotta, latte di avena, latte di nocciola, budino ashure turco, mandorle tostate con semi di melograno, crostata di pere e cioccolato, mititei, papanasi e mamaliga.

Gli occhi di Giglio si saziarono ancora prima dello stomaco, c'era davvero tanta roba su cui affondare i denti.
Si accomodò a capo tavola e cominciò a scegliere se fare una colazione dolce o salata, oppure entrambe! Chi poteva fermarlo?

Mentre si fortificava gratificando le proprie papille gustative, il maggiordomo si recò presso il bagno, uno differente da quello in cui Giglio e Vittorio avevano fornificato.
Quando finì di preparare l'acqua e tutti gli aromi, torni nella sala per avvertire il ragazzo, che non si trovava nemmeno a metà del pasto.

«Il suo bagno è pronto giovane lady» disse.
Ma questa volta Giglio non si trattenne e decise di correggere l'uomo.
«Non sono una lady»

«Chiedo perdono, come vorreste che mi rivolga a voi?»

«Giglio va bene»

«Per rispetto e decoro, non mi è permesso rivolgermi a voi con il vostro nome di battesimo»

«Va bene, lo capisco perfettamente. Ma vede, io non sono una ragazza»

Il maggiordomo non aveva colto alcun tratto maschile in quel visetto giovane e mite. Il ragazzo portava un taglio di capelli molto corto, e poi non aveva osato calare lo sguardo sulle sue forme, non era quel genere di uomo.
Inoltre, la voce e l'assenza del pomo di Adamo dovevano averlo ingannato, Giglio parlava come un ragazzino distante dalla pubertà e forse il suo pomo non era ben esposto.

Seppure ancora confuso e arci convinto di trovarsi al cospetto di una fanciulla, l'uomo si chinò e si scusò per l'equivoco.

«Il vostro aspetto deve avermi confuso, chiedo scusa»

«Fa niente» rispose Giglio.

«Giovane lord, il vostro bagno è pronto, seguitemi»

Giglio guardò le briciole che aveva lasciato sui piatti vuoti, e gli ultimi gocci di latte e succo nei calici. Non aveva ancora terminato ma il suo stomaco lo avrebbe rimproverato se non si fosse alzato da quella tavola.

Seguì l'uomo fino al bagno, dove già lo attendevano le tre donne, ma il maggiordomo fece cenno a loro di andarsene, e di far convocare tre fanciulli piuttosto.

Giglio udito ciò si fece rosso mela, il pensiero che l'avrebbero lavato tre ragazzi gli strinse il petto.
"Non ti agitare, cosa vuoi che sia?" Pensò.
Ma egli si sciolse lesto come la cera, incenerì come un capello sospeso sulla fiamma, quando vide in questione e tre fanciulli.

Alti e magri come atleti, sembravano al servizio di un re delle favole.
Boccoli scuri come angeli, occhi sottili e violetti come il glicine, che si abbinavano con la loro elegante uniforme. A differenza delle colleghe, essi non indossavano un grembiule, ma come il maggiordomo, portavano alle mani un paio di guanti di stoffa bianca.
Giglio arrossì, erano assai ammalianti, un fascino innocuamente seducente e venne accarezzato dal pensiero che il padrone di casa li avesse conosciuti già tutti e tre.

I tre fanciulli lo seguirono fino al bagno e lo invitarono a privarsi della vestaglia, ma Giglio notò un divisorio all'angolo della stanza, e chiese se potesse spogliarsi in completa privatizza.
I tre giovani glielo concessero, e lo attesero attorno la grande e larga vasca a zampe di leone in ottone, che traboccava di bollicine di sapone, sulla superficie dell'acqua galleggiavano petali di acacia e arancio, mentre ai larghi bordi c'erano fissate delle candele.

Giglio si ritirò dietro il divisorio e si spogliò. Ciononostante, non si sentiva per nulla a suo agio a mostrarsi nudo.
Era imbarazzato per il proprio corpo, lo considerava strano e incompleto. Temeva del giudizio altrui, era impaurito da quello che avrebbero pensato vedendolo così.

Quella cicatrice, dopo la reazione di Walter, si sentiva a disagio a doverla mostrare.
Gli aveva procurato così tanto dispiacere, così tanti problemi.

"Scherzo della natura" ronzò nell'orecchio la voce di Rouzee, seguita dal tintinnio del suo cacciavite.
"Mi fa male vederti così" ringhiò la voce del padre.
"Gigliola" pronunciò la madre.

«Giovane lord, va tutto bene?» domandò uno dei fanciulli.

Quello al centro si fece avanti, si avvicinò al divisorio e senza sbirciare, tese la mano e invitò Giglio a prenderla.
Il ragazzo seppure imbarazzato, posò la propria mano nel palmo del cameriere.

«Non c'è nulla di cui vergognarsi, avanti, venite. Questo bagno è solo per voi, godetevelo» disse dolcemente.

Nessuno dei tre giovani sembrava essere turbato dall'aspetto del ragazzo, non ci fu alcuno scambio di sguardi, nessun ghigno e nessuna smorfia.

Giglio si sentì calorosamente accolto, favorito e stimato.
I loro sguardi non gli sfiorarono l'intimità nemmeno per distrazione, dimostrandosi rispettosi e ben istruiti.

Giglio si immerse nella vasca e sospirò estasiato.
«Esatto, ora chiudete gli occhi» disse il giovane cameriere.
Giglio fece come consigliato e chiuse gli occhi, li chiuse e si godette coccole.

«Gradite un po' di musica?» chiese uno dei tre, e Giglio mantenendo gli occhi chiusi annuì.
Allorché il giovane prese dall'armadio posto accanto il divisorio una viola, si pose davanti alla vasca, e cominciò a suonare. Nel frattempo i suoi altri due colleghi, presero a massaggiare il corpo del giovane lord.
Uno gli massaggiava le spalle, e l'altro il piede.

«Ooh sì...» gemette giulivo, mentre ogni suo muscolo si rilassava sotto la dolce melodia dello strumento, suonato dal fanciullo con maestria e delicatezza.
Ogni nota accompagnava Giglio al riposo, lo coccolava sempre di più, fino a condurlo nel sonno.

Il vapore dell'acqua annebbiò la stanza, e sembrò che il paradiso fosse calato in terra.
Bolle di sapone che fluttuavano nell'aria, giacevano a terra e scoppiavano. La viola pizzicata dall'arco cantava, uno dei fanciulli l'accompagnò presto con la propria voce.
La mente di Giglio si liberò da ogni pensiero, i suoi arti cedettero alla goduria, e la sua anima trovò quiete.

Sperava in cuor suo di poter impedire al tempo di procedere, e godersi per sempre tale incanto.
Ma poi la musica cessò, e il canto pure.

«Giogane lord, è ora di uscire dalla vasca»

Giglio brontolò, non voleva affatto uscire. Ma non voleva neppure stressare i ragazzi, dopotutto ciò che facevano era loro mestiere, di certo non lo compievano con amore e volere.

Uscì dalla vasca e venne subito avvolto da un largo e chiaro accappatoio, infine come un principe, fu accompagnato nella propria stanza, dove venne asciugato, pettinato e vestito.

«Siete un incanto»
«Siete meraviglioso»
«Profumate come una rosa»

Dissero guardandolo con ammirazione.
Giglio si sentì ripieno di sé, arrossì lusingato e fece per nascondersi il viso dietro la mano.

Ma purtroppo, l'abito che indossava non rispecchiava affatto i suoi gusti.
Raffinato, grazioso e femminile. Un abito d'epoca ma conforme alla modernità.
La scollatura quadrata regalava molta pelle, e metteva in risalto il suo piercing.
Attorno la vita indossava un corsetto stretto al punto giusto, la gonna lambiva il pavimento e le spalline cadenti rivelavano le sue spalle lisce e chiare.

Lo chiamavano giovane lord ma davanti a sé egli vedeva una lady.
Il maggiordomo entrò nella stanza e si complimentò con i fanciulli.

«Il signore sarà così appagato quando vi vedrà» disse.
«Potrei indossare dei pantaloni piuttosto? Non mi sento a mio agio così» disse Giglio.

«Ma, giovane lord, non vi si addicono»
Rispose il maggiordomo, contento dell'aspetto del ragazzo. Sembrava pronto per convogliare in nozze, gli mancavano solo il velo e il bouquet.

Ma Giglio sospirò, aveva apprezzato assai tutto quanto il servigio, tuttavia sentiva di non essere pienamente contento.

Il maggiordomo e i fanciulli abbandonarono la stanza, permettendo al ragazzo del tempo libero in solitudine fino al ritorno di Vittorio.

Giglio camminò rigido come un tronco verso il letto vi ci sedette.

Non sapeva per quanto avrebbe dovuto attendere, così pensò di scorrere il tempo navigando per internet.

"Accidenti"
Non aveva più un telefono, lo aveva smarrito nel fiume.

«Che palle stare senza il telefono, così mi annoio» lamentò.
«E con questo corsetto non riesco a respirare!»

Si slegò il corsetto e lo lanciò dall'altra parte della stanza.
«Non vi si addice» borbottò imitando la voce del maggiordomo.

Anche se vestito come una giovane fanciulla di un'epoca lontana, decise che si sarebbe recato di fuori.
"Mi serve un telefono, magari con i soldi che papà mi ha dato, potrei noleggiarne uno" pensava.
Poi però, gli sorse anche il pensiero di andare a trovare Walter, ma cercò immediatamente di respingere l'idea.

"Non lo so..."

Mentre ci rifletteva, giunse al cancello del giardino, che conduceva sulla strada.

«Giovane lord, dove volete andare?» domandò il maggiordomo, che lo aveva visto allontanarsi dalla finestra del soggiorno.

«In giro» rispose Giglio.

«Mi dispiace, ma il signore mi ha ordinato di trattenervi qui» rispose.
Giglio aggrottò la fronte e si guardò attorno.
«Cosa? E perché?» chiese perplesso.

Sebbene non conoscesse la zona come le stanze di casa sua, sapeva che la villa dimorava fuori dalla città, quasi in prossimità della periferia. Perciò raggiungerla non sarebbe stato un problema, nemmeno per Vittorio.

«Non ero tenuto a sapere il motivo, io eseguo gli ordini senza domandare» rispose il maggiordomo.
Giglio issò gli occhi, pensando a quanto fosse ironico come pure il figlio l'avesse tenuto ostaggio.

"Sarà di famiglia" pensò.

«Va bene ma non c'è nulla da fare qui, io mi sto annoiando, non ho un telefono e non ho vestiti comodi» ribatté.

«Gradite una partita a scacchi?»
«No»
«Preferite dama?»
«Neanche»
«E che cosa vi piacerebbe fare?»
«Uscire, voglio uscire da qui. Non sto fuggendo, tornerò. Tanto non ho dove andare, i miei genitori mi hanno cacciato di casa e Vittorio questo lo sa»
«Mi dispiace, ma non ve lo posso permettere»

Pensando che l'uomo non potesse fargli nulla, egli abbassò la maniglia del cancello.
«Giovane lord, vi prego di non costringermi ad agire con la forza» minaccioso.
«Ho a che fare con i figli del mio padrone, egli mi concede di punirli a dovere se disobbediscono. Voi non siete diverso da loro»

Giglio si offese, restò con la mano avvolta sulla maniglia, deciso a voler mettere il piede fuori da lì.
«Io non sono il figlio del tuo padrone, e non sono nemmeno suo prigioniero! Smettetela di trattarmi come un bambolotto da mensola, tornatene a spolverare!»

Arci stufo fella situazione, il ragazzo spinse la porta del cancello fino a creare abbastanza spazio per sé.
Allorché il maggiordomo si sollevò la manica dei pantaloni, rivelando uno scudiscio legato a una cinghia che teneva attorno il polpaccio.

«Chiudetelo, ora»

Giglio guardò l'arnese e soffiò un sorriso, convinto che non avrebbe avuto il coraggio di ferirlo.
Ma il maggiordomo gli dimostrò il contrario, aveva coraggio e come, poiché come testimoniato, aveva potere e diritto di poter disciplinare i figli del padrone.
Giglio dunque ci rifletté, non ne valeva la pena.

Il maggiordomo lo ringraziò per la comprensione e se ne andò, certo che non me avrebbe approfittato per fuggire in sua assenza.

"Bastardo" ma Giglio voleva comunque andarsene. Ora che sapeva che Vittorio voleva la sua permanenza, ebbe un po' di paura.
"Magari dovrei andarmene questa notte, ma come? E senza farmi vedere inoltre..."
Mentre pensava a un piano, vagò per il giardino ammirando i fiori e pizzicandosi il mento.

Voleva schiarirsi le idee, pensare veramente a cosa fosse meglio fare.

"Non posso tornare a casa, sono stato fortunato che Vittorio mi abbia trovato, e non solo, egli si è rivelato pure buono e gentile, tanto da offrirmi ospitalità. Certo, ma in cambio di diventare vampiro. Ma in questo modo mi sottrae dalla condanna, dunque lo fa pure per il mio bene. Ma, io non voglio diventare uno di loro. Un mostro...
Cosa penseranno i miei genitori?
Dalia?
Il dottore?
Gigliola?..."

Mentre soffocato dai pensieri, il suo abito si impigliò al rovo di rose che vestiva il muretto.

"Oh no!" Preoccupato per la stoffa dell'abito, si apprestò a toglierlo senza danneggiarlo. Nell'atto però, colse qualcosa dietro i rovi.

Incuriosito, separò l'intreccio di piante, dovendo però sacrificare alcune rose e piante.
Si accorse che in quel punto al muretto mancavano dei mattoni, creando così un piccolo buco che permetteva la visione di ciò che stava all'esterno del giardino.

"Saranno collassati dopo un forte colpo, oppure qualcuno lo usava come passaggio. Comunque, credo che mi ci posso infilare" pensò.

Prima fece passare un braccio, poi il torso, e infine fece per far scorrere sotto la pancia anche il secondo braccio.
Ma poiché i mattoni fossero saldamente ben compatti e ruvidi, non riuscì a fare scivolare il braccio destro.

"No, aspetta, non così..."

Ma non c'era tempo, il maggiordomo poteva sorprenderlo, così non ci pensò e cominciò a spingere per uscire completamente dall'altra parte.
Quando nel processo però, si ricordò della crinolina sotto la veste.

"Cazzo!"

Era incastrato, la gabbia non gli permetteva di uscire e non riusciva a spingersi indietro.
Era perfettamente incastrato, con un braccio penzolante fuori e l'altro soffocato sotto di lui.
Agitato, cominciò a dimenarsi e scalciare.

«Aiuto! Sono incastrato! Non respiro!» ma più urlava e più restava senza fiato.

Sentiva il petto comprimersi, non riusciva ad espanderlo per cogliere l'aria. Presto si accaldò, la pelle cominciò a fiorire di rosso e sudare.

«Vi prego! Per favore non respiro! Merda non respirò sono incastrato nel muro!»

Ma nessuno sembrava sentirlo, e pensò che lo stessero volontariamente ignorando come forma di castigo.

«Dai Giglio, ce la puoi fare, avanti!» ringhiò frustrato, mentre cercava disperatamente di liberare il braccio sotto la pancia.

Ma maggiore era lo sforzo, maggiore era il danno.

Boccheggiò esausto e prese una pausa per deglutire e riprendere forza, ci avrebbe riprovato fino al risultato che sperava.
Si preparò al secondo tentativo, quando udì dei passi approcciare dietro di lui.

«C-chi è? Per favore aiutami, non riesco a uscire...» balbettò in lacrime.

Poteva essere il maggiordomo, che cogliendolo in quello stato lo avrebbe sicuramente colpito con lo scudiscio.
Oppure se Dio voleva, era uno dei camerieri.

Cominciò a pregare che fosse un cameriere o Vittorio stesso tornato dalla famiglia, non era affatto pronto per essere punito.

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