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☽CAPITOLO 6. ASSORBIRE LA REALTÀ☾









I suoi occhi assalivano il visetto chiaro del bambino, profondamente addormentato e avvolto calorosamente sotto le morbidi copertine azzurre.
Il ciuccio nella sua bocca sobbalzava lentamente e il suo petto s'innalzava e calava senza emettere alcun sibilio, nessun gemito o singhiozzo.

Aveva lo stomaco sazio e gli abiti caldi e asciutti, non mancava di niente.

Giglio restava a guardarlo, era rimasto presso la culla così tanto tempo che le sue gambe sembravano essersi pietrificate.

La sua mente strozzata da un desiderio sinistro, il cuor suo tra un palpito e l'altro sembrava volersi ribaltare e restringersi.
Soffocato e stretto nel dolore, nell'odio più denso e puro.
Pungeva come il nero, come un ago nell'occhio, come una lama sulla lingua.

Non trovava tenerezza nelle soffici guance dell'infante, tutto ciò che vedeva era il ritratto del marcio del mondo.
La crudeltà in carne ed ossa, in spirito e anima.

Bramava soltanto di porre fine all'esistenza di quel male, lo stesso che gli aveva sottratto la felicità e l'intimità con la realtà.

Calò il proprio braccio nella culletta, le sue dita sfiorarono la pelle fresca e lavata del bambino.
Era leggermente freddo e delicato proprio come un fiore, non si svegliò nemmeno al tocco del genitore.

Giglio, annebbiato e confuso da una silenziosa ira funesta, impedì al bambino di poter respirare premendo le dita su entrambe le narici e altre sopra il ciuccio.

In breve tempo, il piccolo emise flebili e strozzati singhiozzi, nessuno dei quali però fece scuotere il genitore dal suo inflessibile stato.

Giglio si abbandonò all'atto, impedito a incapace di fermarsi.

Quando poi però, il risveglio del piccolo e un sottile sussulto lo dissuasero improvvisamente.

Walter, convinto che il bambino stesse per piangere per bisogno di qualcosa, si svegliò.
«Che succede?» mugugnò assonnato.

Giglio restò di spalle, il suo intero arto, quasi complice di un atto atroce, tremava gravemente come il mare.
«Nulla, sta bene» rispose cercando di controllare la voce.

Walter senza porre domande tornò a dormire, e Giglio si trovò nuovamente solo con il piccolo nel proprio palmo.
Il suo cuore si era sollevato da quell'improvviso peso che lo stava stringendo, non bramava più di procedere con l'atto. Al contrario, mosse leggermente la culla facendola dondolare da ambedue i lati.

Loto recuperato il fiato, tornò ad appisolarsi, ignaro di essere stato quasi privato di vita dalla stessa persona che gliel'aveva data.

Giglio tornò a letto, alla destra di Walter.
Non riusciva ancora a concepire, ad accogliere l'idea, di trovarsi in una stanza con una creatura generata da lui.
Loto respirava grazie e per colpa sua, ciò lo riteneva quasi insopportabile.
Si guardò la mano, essa vacillava ancora, fremeva conservando in sé una verità da seppellire.

Si rimproverò, non pensava di essere capace di tale atto, di essere pronto a sporcarsi le mani di sangue innocente. Si domandò che cosa mai lo avesse fermato ad adempiere quello strano desiderio accovacciato nel margine più oscuro della sua mente, ma se si sforzava a capire, provava rabbia.

L'inabilità, la capacità. Entrambe lo innervosivano assai, così tanto che senza rendersene conto si era spellato la pelle attorno l'unghia del pollice. Aveva grattato così morbosamente che ora sanguinava e ardeva acutamente, soffiò tra i denti e serrò il dito sotto le altre quattro per sopprimere il dolore.

«Giglio tutto bene?» mormorò Walter tenendo gli occhi chiusi.
«Sto bene» rispose Giglio, rifiutando di guardare per bene il danno.

Sollevò la coperta fino le spalle, dopodiché si fece comodo e cercò di dormire. Anche se il sonno avrebbe tardato, mantenne entrambe le palpebre chiuse e il corpo rilassato.
Sapeva che prima o poi si sarebbe addormentato profondamente, ed era consapevole che se Loto avesse pianto, Walter si sarebbe svegliato per occuparsene.

Difatti ciò accadde dopo due ore di buona dormita, il piccolo annunciò la propria fame irrompendo la quiete con il suo disperato vagito.
Walter schizzò giù dal letto, con il capogiro e la stanchezza, si avvicinò alla culla e colse il piccolo tra le braccia.
Lo consolò e sfamò, dopodiché lo ripose a dormire. Tuttavia però, Loto quella notte pianse altre quattro volte, alterando il sonno di Walter e accorciandone la pazienza.

Il mattino seguente, quando il sole si intrufolò furtivamente tra le tende della stanza, Walter e Giglio si fecero cogliere ancora a letto avvinghiati tra la coperta e il lenzuolo, tra i loro corpi c'era quello del bambino, che nella notte aveva rifiutato di tornare a dormire nella propria culla.

Quando Giglio si svegliò sopraffatto dal lontano ruggito di una moto in passaggio, volse lo sguardo verso il neonato.
La smorfia sul suo volto fiorì involontaria, come se il suo organismo fosse assuefatto a rinnegare la piccola creatura.
Scese giù dal letto e si recò verso il bagno, si sciacquò la faccia diversa volte,  sperando miserabilmente di potersi svegliare veramente.
Ma quando vide il proprio viso bagnato sullo specchio, si reputò stupido e patetico.

Quasi non si riconobbe, era cambiato, qualcosa in lui era diverso.

Si chiese se fossero i capelli, che con il passare del mesi erano cresciuti. O gli occhi, ora scavati e spenti come un fiore appassito.
O le sue labbra secche e screpolate, estranee a bere quotidianamente acqua.

Si guardò poi i polsi, fini ed esili. Dopo la gravidanza era calato di peso, non c'era più morbidezza in lui.
Le sue clavicole erano accentuate, poteva prenderle tra due dite, le sue guance asciutte come fogli e le sue spalle spigolose e senza armonia.

Non riusciva a vedere più un briciolo di fascino, era convinto che di lui non fosse rimasto niente. Solo una quantità organizzata di ossa, organi e vene.

Tornò in camera e si vestì, Walter stava profondamente dormendo, nemmeno l'urlo di una volpe l'avrebbe svegliato. Russava gravemente seppellito sotto il lenzuolo, Giglio fece attenzione a non disturbarlo, prese il bambino e lo vestì con un completo in jeans e un berretto bianco.

Mentre lo vestiva, il bambino si svegliò e si stiracchiò emettendo un lungo e largo mugugno stanco.
«Andiamo a fare vista al tuo così detto nonno» disse sollevandolo e guardandolo bello vestito e il piccolo rispose con un breve sbadiglio.

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