𓆩IV𓆪
Uscì dalla cabina della doccia e si pose dinanzi il lavabo.
La stanza si colmò presto di vapore e ogni superficie, compreso lo specchio, si annebbiarono.
Si asciugò il viso e i capelli, dopodiché attaccò la spina dell'asciugacapelli alla corrente e con l'aria calda di questo, iniziò a far evaporare l'umidità dalla superficie dello specchio, rendendo così limpido su di esso il proprio riflesso.
Ora poteva finalmente vedersi e guardarsi.
Era da molto che non si vedeva allo specchio, non erano presenti specchi nella struttura in cui era stato ricoverato, ciò affinché nessuno dei giovani pazienti avesse potuto ferirsi procurandosi tagli a sé stessi o agli altri.
Aveva dimenticato il suo aspetto, ma ora poteva vedersi per ciò che era e appariva.
Fu sincero con sé stesso, non immaginava di essere così particolarmente carino.
Aveva un visetto che tendeva a una forma tra il tondo e il dritto, magro ma non consumato. Le sue guance rosee s'intonavano con le sue sottili, quasi inesistenti, labbra da bebè. Le considerava tali perché il labbro superiore era leggermente più grande di quello sotto e aveva una forma decisamente marcata, pressoché a cuore.
Gli piacevano i suoi occhi, grandi come cieli notturni e profondi come abissi, la pupilla era introvabile ed era necessario avvicinarsi al suo volto per trovarle.
Quei grandi occhi erano poi incoronati da lunghe ciglia scure e curve, regalavano al suo viso un aspetto femminile e innocuo, quasi da sacrificio.
Vicino la clavicola aveva disegnato un tatuaggio, una fiore di dalia.
La testa era in proporzione con il suo corpo, fine e sottile, spalle piccole e fianchi stretti. Aveva un notevole spazio tra le gambe ma erano ben nutrite e per nulla fragili, magari non leste e sode.
Si esaminò come poteva, i suoi occhi non riuscivano a raggiungere ogni angolo, ma poteva riconoscere le cicatrici sbiadite di quella notte.
Erano lievi, ma una tra queste emergeva copiosamente, schizzava all'occhio per il suo rosso vivo caramella.
Era un morso, due piccoli ma profondi fori.
Era stato addentato da uno dei vampiri, non sapeva chi con esattezza, ma ciò che sapeva era che non se ne andavano più.
Li sfiorò, bruciavano ancora, ma non sanguivanano.
Non lo aveva reso noto a nessuno, non lo trovava poi così grave, alla fine era uscito da quella situazione illeso ma senza riportare gravi ferite fisiche.
«Sei così mansueta, mi piaci»
Gli aveva detto nell'orecchio mentre premuto contro il morbido prato nero del campo.
La sua sottomissione e ubbidienza l'avevano salvato, non aveva opposto resistenza e si era comportato come un agnello durante il tosaggio.
La sua debolezza lo aveva salvato, mentre la grinta, la forza e l'altruismo di Dalia, l'avevano invece uccisa.
Non lo trovava giusto, e avrebbe ceduto il suo posto per lei.
Si coprì con l'asciugamano e uscì dal bagno, recandosi verso camera sua.
Si vestì con abiti semplici dai colori tenui e poco notevoli, non gli piaceva trarre attenzione, amava confondersi in mezzo la gente e mimetizzarsi con gli ambienti.
Faceva abbastanza caldo così indossò una basilare maglietta a collo alto e a maniche corte, lasciando completamente le braccia nude. S'infilò poi dentro a un paio di comodi pantaloncini corti dalle tasche larghe, e per finire indossò ai piedi un comodo paio di sandali aperti.
Quell'abbigliamento si mangiava metà dei suoi anni, sembrava un bambino diretto a scuola, ma ciò era più dovuto al suo aspetto e quello non poteva cambiarlo.
Uscì di casa e prese la sua cara bicicletta che si trovava legata al portico.
«Mi sei mancata»
Era vecchia ma volava se ben guidata.
La guidò fino in città, dove la vita traboccava così tanto che fuoriusciva da ogni angolo e via.
Si rese conto che non era poi così male, la gente non lo spaventava, l'aria era fresca e ovunque posava lo sguardo gli donava sorriso
Suonavano clacson, ruggivano motori, abbaiavano cani, la gente respirava, parlava e gesticolava.
Gicolavano ruote di carrozzine, piangevano neonati e ridacchiavano bambini.
Era tutto così spaventosamente vivo, si sentiva parte di un dipinto.
Parcheggiò la bicicletta legandola attorno un palo, dopodiché prese a camminare per il centro in una piazza chiusa.
C'era una grande fontana nell'occhio del recinto di abitazioni ed edifici, tutti ne sembravano particolarmente attirati e così anche Giglio.
Si avvivinò e si sedette ai margini della scultura, non possedeva monete, perciò non poté esprimere alcun desiderio.
Ma restò a guardare con piacere come alcuni bambini dopo aver lanciato una moneta sul fondo della fontana, chiudevano gli occhi, arricciavano i nasi e incrociavano le dita.
Una bambina aveva notato che Giglio non avesse con sé nessuna moneta, dunque, decise che gliene avrebbe data una da quelle che aveva in mano.
«Molto gentile da parte tua, grazie» disse sorridendo alla piccola.
Quest'ultima, fiera della propria buon'azione, saltellò allegra verso la madre per aggiornarla su quanto appena compiuto, giusto per ricevere qualche complimento in merito.
Giglio guardò la monetina che aveva in mano, poi la gettò nell'acqua della fontana ed espresse un desiderio.
Furono molti i luoghi che quel mattino visitò, dopo la fontana della piazza si recò in negozi di abiti e cosmetici, profumerie, mercatini di antiquariato ed edicole.
Entrò infine in una libreria, frequentata da studenti di istituti vicini e fanatici lettori.
Giglio non era uno studente, né tanto meno un amante della letteratura.
Non studiava libri, non li leggeva affatto. Lui li annusava, ne guardava semplicemente la copertina o le immagini che racchiudeva.
Gli piaceva tenerli per conoscerne il peso, prenderli dagli scaffali per poi riporli al loro posti.
Bizzarro, ma a lui piaceva, e ben presto il suo atteggiamento insolito venne notato dall'occhio attento di un giovane uomo.
Era stato incuriosito dalle affascinanti maniere di Giglio, non aveva mai visto nessuno interagire in quel modo con i libri.
"Non li legge, né si preoccupa di sbirciare la trama sul retro. Li apre, li pesa, li annusa e li sfoglia, per poi rimetterli al loro posto".
Iniziò a seguire il giovane, Giglio si era rivelato più interessante del racconto che aveva iniziato a leggere da poco.
Lo seguì lungo il labirinto di scaffali senza rendere nota la propria presenza, pretese di essere uno studente in cerca di risposte, ma dopo minuti d'inseguimento, decise finalmente di avvicinarsi.
Giglio nel mentre era assorbito dal soave e antico profumo del grosso e pesante libro che aveva tra le mani, sembrava esserne drogato, ogni volta che avvicinava il naso alle pagine ne usciva quasi stordito.
«Buongiorno» sussurrò una voce gentile alle sue spalle.
Giglio si voltò e si trovò davanti a un affascinante uomo, la cui presenza sembrava poter provocare la fioritura in un prato.
Ne restò fulminato, si scordò il proprio nome e venne controllato dalla timidezza.
«Scusa se la disturbo, ma non ho potuto fare a meno di notare la maniera in cui sta interagendo con i libri. Lei li annusa, li sfoglia e li pesa» disse, cercando di non incutere troppo timore e disagio al giovane, dopotutto la sua era un'abitudine insolita.
Giglio si fece leggermente rosso, nessuno si era rivolto a lui con formalità e garbatezza. Il giovane uomo davanti a lui sembrava il figlio di un conte, giunto da un paese remoto per visitare le biblioteche locali.
Il suo sorriso timido non passò di certo inosservato, anche se tenuto miseramente nascosto.
Lo pensò davvero, pensò veramente che Giglio avesse un sorriso meraviglioso.
«Le andrebbe di venire a prendere un caffè con me?» chiese piuttosto titubante, dopotutto si erano appena incontrati, tuttavia riconobbe che non era affatto una coincidenza il loro incontro.
Giglio si mostrò incerto, diffideva il prossimo ma quel giovane uomo sembrava essere buono.
"Non ci sono mostri in biblioteca" si disse.
Dunque accettò l'invito con un gentile cenno della testa.
Il giovane uomo ne fu contento, quasi sorpreso della facilità e naturalezza in cui tutto si era svolto.
I due si recarono presso un piccolo bar non poco più distante dalla biblioteca, quando si accomodarono però, Giglio ricordò di non avere denaro con sé.
«Lei si prenda pure un caffè, io non mi sono portato il portafoglio dietro» disse.
«Non si preoccupi, offro io» rispose il giovane uomo, per nulla disturbato dal fatto di dover pagare per entrambi.
Giglio lo trovò molto gentile ed educato da parte di un perfetto sconosciuto, nondimeno, cercò di non abbassare troppo la guardia.
«È di qui? Io giro spesso e vedo gli stessi volti, ma lei non l'ho mai vista» disse.
Giglio spiegò che era abituato a trascorrere le sue giornate a casa, dove conforto e sicurezza erano assicurati.
«Male, è giovane e di bell'aspetto, dovrebbe uscire più spesso»
Giglio cominciò a sentirsi davvero lusingato, l'uomo che sembrava stargli facendo la corte pareva non appartenere a quell'epoca.
Aveva un aspetto raffinato e scrupolosamente curato, tuttavia semplice e per nulla troppo appariscente.
Portava un taglio di capelli corto e ritoccato leggermente dal gel, non possedeva gioielli ma solo una piccola borsetta a tracolla in cui tenere gli effetti personali.
Il cuore di Giglio prese a rullare così tanto che quando il cameriere gli servì la tazza di caffè, non ebbe forza con cui prenderla. Gli tremavano le mani e le parole, non riusciva a capire come fosse possibile che un uomo così bello lo stesse corteggiando.
«È che... io non esco mai» farfugliò.
«Come si chiama?» chiese l'uomo allungando la mano verso quella del ragazzo, Giglio la guardò ma non esitò a lasciarsi toccare.
Quel tocco alla fine si rivelò efficace contro la sua agitazione, lo tranquillizzò e lo fece sentire a suo agio.
«Mi chiamo Giglio» disse.
«Giglio...»
L'uomo ebbe come la sensazione di aver già visto quel volto, ma non poteva ricordare dove, forse lo aveva visto in sogno, magari in un incubo, oppure una vita passata.
«Io sono Walter, ma Aglio per gli amici»
«I suoi amici la chiamano Aglio?» chiese Giglio.
«Perché dicono che il mio buon spirito scacci via forme magiche e maligne» rispose ridendoci su.
«Non sono solito a invitare gli altri a bere caffè, e non posso azzardarmi di dirle che lei è diverso, dopotutto so a malapena chi è» Walter non sapeva come spiegarlo, ma Giglio gli era piaciuto ad occhio.
«È come trovare un libro e capire semplicemente dalla copertina che sarà bello» disse.
Giglio sentiva le cosce sciogliersi, sudava a catinelle e il cuore sembrava cercare una via da cui schizzar fuori.
«Le andrebbe di conoscerci, vederci altre volte? Così sarà costretto a uscire un po' di casa» suggerì Walter.
«Va bene, certo potrei, sì perché no?» rispose Giglio.
«Allora, se non le dispiace, potrei avere il suo numero?»
«Io non me lo ricordo»
«Allora le scrivo il mio, non lo perda per favore»
Prese dalla borsetta una penna, e sopra un fazzoletto scrisse il suo nome e numero di telefono, aggiungendo accanto una faccina felice.
Giglio prese il fazzoletto, lo piegò e lo infilò sul fondo della tasca dei pantaloncini.
«Lavora? Studia?» chiese Walter.
«No, e lei?»
«Ho da poco lasciato il nido perciò vivo ancora con l'aiuto dei miei genitori, ma ne sto cercando»
«Spero che lei possa trovare un mestiere che le piaccia, forse qualcosa che abbia a che fare con i libri»
«Ho già sporto diverse domande in varie biblioteche e librerie, sto ancora aspettando risposta. Domani è libera?»
«Sì lo sono, lei?» rispose Giglio.
«Se a lei sta bene, a me farebbe piacere rivederla»
«Okay»
«Sempre qui? Magari potremmo fare anche un giro per il centro, lo conosco come il palmo della mia mano, potrei portarla in posti carini»
Giglio sorrise entusiasta, l'idea di uscire in compagnia di un affascinante uomo come Walter lo faceva ammattire.
«Va bene»
La sua risposta fece allegro Walter, il quale era da tempo che non faceva nuove conoscenze.
«Allora a domani, sarò qui la mattina, faccio colazione» disse alzandosi.
Giglio fece lo stesso e tese la mano per stringerla a quella di Walter, quest'ultimo ricambiò e strinse la mano del ragazzo.
«È stato bello conoscerla, non vedo l'ora di rivederla domani» dichiarò.
Doveva sicuramente trattarsi di un sogno, pensò convinto Giglio.
Un uomo come Walter aveva posato gli occhi su di lui, gli aveva offerto un caffè e ora si erano anche dati appuntamento per il giorno seguente.
Stava vivendo la trama di un film romantico, il loro primo incontro era avvenuto per magia tra le strette vie di una biblioteca.
Il sorrisò non abbandonò il suo viso, fece ritorno a casa con animo trionfante e gioioso.
«Mamma! Papà! Indovinate!» disse entrando in soggiorno, trovando i due genitori seduti davanti la televisione.
«Ben tornato amore, cos'è tutta questa gioia? Hai grattato una carta e vinto?» chiese la donna.
«Avanti parla, stiamo ascoltando il telegiornale» disse il padre.
«Un uomo mi ha dato il suo numero di telefono, si chiama Walter e domani ci rivedremo» la notizia fece saltare giù dalla poltrona la madre, assai contenta per il figlio.
Il padre al contrario, issò gli occhi e riprese a guardare lo schermo.
«Amore! Ma questa è una novità bellissima!» pronunciò la donna stringendo il figlio in un abbraccio.
«È carino? Come vi siete incontrati?»
Giglio invitò la madre a seguirlo in cucina, dove lì cominciò con entusiasmo a raccontarle come si era svolta l'uscita.
La donna provò un immenso piacere, era felice per il suo bambino, finalmente sembrava essersi aperto un nuovo capitolo per lui e lei desiderava farne parte.
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