21 - Epilogo

«Mi stai prendendo in giro?», sbuffò Caesar, fissando truce Fergus negli occhi.

Erano in una piccola stanza nella casa di Freya, dove non avrebbero attirato troppo l'attenzione. La poca luce che riusciva ad attraversare le nubi e le finestre colpiva debolmente i tratti dello sconosciuto. Ma non c'era bisogno della luce per capire, per vedere come i suoi capelli fossero rosso sangue. Un Cacciatore.

«Perché dovrei?», chiese, sbattendo le ciglia più volte. Aveva un modo di fare molto raffinato, che a Freya ricordava l'imperatrice deceduta.

«Perché siamo in guerra con i Cacciatori, maledizione!».

Fergus smise di dare attenzione a Caesar, spostando gli occhi color nocciola su Freya. «Non credevo che il sangue di Wlad potesse generare un tale idiota». La ragazza ridacchiò, e questo fece innervosire ancora di più il Demone.

«Cos'è che non hai capito?», chiese il Cacciatore in maniera tranquilla, incurante del ragazzo. Si rigirò tra le mani la tazza di brodo che gli era stata offerta per poi prenderne un sorso e sorridere a Freya. «Cervo, immagino».

La ragazza annuì e per un attimo non le parve di avere davanti un uomo mai visto: sembrava che lo conoscesse da sempre. I suoi modi, i suoi sguardi... pareva familiare. E poi conosceva tutto, sia di Demoni che di Angeli. Aveva risposto in maniera così serena a tutte le domande che gli erano state fatte – anche quelle agitate di Caesar – che le aveva dato l'idea di un uomo in pace con il mondo.

«Non è possibile», continuò Caesar nel suo monologo, visto che nessuno degli altri due lo stava davvero ascoltando.

Fergus sospirò. «Te lo ripeto per un'ultima volta. Questa maleducazione l'hai presa da chi? Tua nonna era così a modo», sospirò. «Io, Wladimir e Sigfrid ci siamo conosciuti anni fa... quanti sono?... in una battaglia tra i vostri due popoli. Diventammo amici, anche se non era possibile manifestare un legame simile pubblicamente. Li incontrai come Principe e Generale, ma poi divennero Imperatore e Re, mi recai a Palazzo una volta e arrivai proprio durante una cerimonia tra Wlad e Cordelia... gran bei ricordi...», il fuoco nel camino scoppiettò più forte, come a dargli ragione, «Instaurarono un'alleanza, come era giusto che fosse. Io non ho mai ricoperto posizioni di comando all'interno dei Cacciatori, anzi. Ero considerato lo scemo del villaggio... nessuno mi dava davvero retta. Ben presto, una questione irrisolta da millenni – ai tempi dell'Inquisizione spagnola, più o meno, ma cosa sia davvero non modificherà questa storia – venne sollevata da un Demone che venne presso il nostro nascondiglio, un certo Edmund». Entrambi i ragazzi annuirono, uno in maniera rabbiosa, l'altra tristemente. «Facemmo un patto con lui... ma io ero sempre fedele a Wladimir e Sigfrid, quindi li informai. Organizzammo un piano... un piano che ha funzionato eccellentemente».

«Quindi... i Cacciatori sono estinti?», Fergus lo aveva detto, ma Freya aveva bisogno di sentirselo dire di nuovo.

«Sì. Wladimir e Sigfrid hanno fatto da esche... degli ultimi superstiti me ne sono occupato io. Sono l'ultimo Cacciatore che cammina questa terra».

«Ammesso e non concesso che questo fosse vero... perché tradire il proprio popolo?», lo beffeggiò Caesar. Non credeva ad una minima parola di quello che stava udendo, poteva essere una spia. Convinci i nemici ad abbassare la guardia ed è fatta.

«I Cacciatori hanno sempre portato odio... il loro unico interesse era quello di uccidere Demoni ed Angeli, non sono mai stato d'accordo con il loro operato».

«Perché non disertare semplicemente?».

La ciotola tra le mani di Fergus iniziò a tremare.

Segno che sta cedendo, pensò Caesar.

Segno che è un argomento delicato, capì Freya.

«Non pensi sia giunto il momento di tornare a casa e compiangere i cari persi?», mormorò Fergus, chinando la testa.

«No, voglio prima capire se saranno gli ultimi da compiangere», sputò come il veleno Caesar.

Freya strinse i pugni, reprimendo l'impulso di picchiarlo. Si stava comportando da perfetto idiota... per una bugia di Wladimir.

«In verità... vorrei chiedervi un favore», l'uomo lo disse al plurale, ma era chiaro che si stesse rivolgendo a Freya. «Ora che i miei simili non ci sono più... non ho più motivo di vivere».

«Sei stato di enorme aiuto, non c'è neppure motivo di farla finita», disse lei, posando una mano su quella dell'uomo, in gesto di conforto.

Fergus scosse la testa. «Non mi immaginavo il futuro così... non posso continuare, sapendo che non potrò condividere la mia vita con Wladimir e Sigfrid».

Caesar lo strattonò. «Senti un po'... come mai non hai fatto tu da esca?».

«Te l'ho detto, non mi prendevano davvero sul serio...».

Caesar fece una risata amara. «Sì, come no. Vado a chiamare le mie truppe per controllare i dintorni, spero per te che tu abbia ragione». Si alzò e sbatté la porta quando uscì.

«Scusalo...», tentò di dire Freya, ma Fergus sorrise e la interruppe alzando la mano.

«Non ce n'è bisogno», rassicurò. «Sai... Cordelia è morta prima di Wladimir, una ventina di minuti. Siamo stati colti in un momento delicato e non eravamo in formazione. Per quei venti minuti, Wladimir si è comportato esattamente come Caesar, anche se non ho avuto il cuore di dirglielo». Aveva la voce tremante.

«Si calmerà, prima o poi», disse lei, più per riempire il silenzio che per rincuorare l'altro.

Stavolta fu il turno di Fergus di mettere una mano su quella di Freya per conforto. I suoi occhi color nocciola scintillarono. «Sigfrid mi ha parlato così bene di te... se ti vedesse Regina ora, sarebbe molto fiero».

Le lacrime iniziarono a pungere gli occhi della ragazza, che fece un sorriso di circostanza e le ricacciò indietro. Mimò un «grazie» con la bocca, sapendo che se avesse utilizzato la voce, questa le si sarebbe incrinata.

«So che non dovrei... ma i morti non possono influenzare i vivi. Wlad mi odierà da lassù... ma io devo farlo», si tastò una tasca e tirò fuori una lettera sgualcita, porgendola alla ragazza. «Puoi recapitargliela?».

Freya annuì.

«Posso andare un attimo al bagno?», chiese lui in maniera cortese.

Lei glielo indicò, senza fiatare e lui, dopo aver ringraziato, si alzò e andò verso quella porta. Sia per la curiosità che per la voglia di distrarsi e di non pensare a quanto detto da Fergus, aprì la lettera. Era già stata violata, lo testimoniava il sigillo rotto di ceralacca rosso sangue con le iniziali WB.

La calligrafia di Wladimir era elegante, mai sbavata. Ma si vedeva che scriveva velocemente.

Caro Fergus,

Che tempo per essere vivi!

Noi, che ci consideriamo solo amici, abbiamo portato ad una situazione molto semplice ed allo stesso tempo spinosa. Mio nipote si è innamorato. Ah! Ricordi come lo eravamo noi? Come le guance ci si coloravano di porpora ogni volta che pronunciavamo il nome delle nostre dame? Ho ancora impresso nella mente il momento in cui mi descrivesti la tua promessa, eri davvero l'uomo più felice del mondo. E quando ti parlai del mio raggio di sole e capimmo che, non appena tutto fosse finito, saremmo tornati tra le loro braccia, sembravamo i padroni del mondo.

Eppure tutto questo è sbagliato. Non è ancora tempo affinché Demoni e Angeli possano coltivare qualcosa che vada oltre la fratellanza. Ho fatto invitare la ragazza a Palazzo per studiare meglio le loro mosse, i loro comportamenti: ormai c'è poco da fare, siamo ben oltre la cotta adolescenziale.

Non siamo pronti per questo passo.

Per questo mi sono ritrovato oggi a dover mentire a mio nipote. Ci credi? Io che ho sempre fatto danni in amore, ho fatto soffrire Cordelia per anni, ora mi ritrovo a condannare due anime allo stesso dolore che ho provato io. Ma sono l'Imperatore e devo fare ciò che è meglio per i miei sottoposti, non per i miei nipoti.

Caesar è sveglio, è scaltro, è brillante. È esattamente chiunque di noi avrebbe voluto essere alla sua età... mi duole sapere che non incontrerà nessuna alla sua altezza, perché l'unica che ha trovato è irraggiungibile. Pensa che mi ha drogato per combattere lui al mio posto contro un impostore, proprio per non creare caos se avesse vinto quel bastardo!

Con lui il mio Impero arriverà al suo apice, alla sua fase d'oro. Sarà l'Augusto dei Demoni, glielo posso vedere negli occhi.

Mi sento enormemente in colpa per quello che ho fatto, mio caro amico. Gli ho detto una menzogna, che la ragazza ha cambiato idea, che vuole tornarsene a casa e che ha fatto un errore a condividere certe esperienze con Caesar, che è scappata e non farà ritorno.

Il peso di vederlo triste, di avergli rubato la speranza di un amore, grava sul mio petto giorno dopo giorno. Ma è ciò che deve fare un uomo al comando.

A volte ti invidio, sai, Fergus? Nessuna responsabilità, nessun problema. Vivi la vita una volta al giorno... forse, se non avessi concluso quell'accordo con Sigfrid durante la prima guerra contro gli Angeli, oggi non sarei qui in veste di Imperatore. Sarei un semplice Principe che si bea della vita di corte, non dovrei spezzare forzatamente il cuore a mio nipote né preoccuparmi dei Cacciatori imminenti...

Forse sarei dovuto morire io in quella battaglia, Fergus. Mio fratello Edmund avrebbe regnato in maniera sublime, lo sento. Ma poi vedo i miei nipoti, la brillantezza di Caesar, la vivacità di Dorian e penso che se non mi fossi comportato come ho fatto, loro non sarebbero esistiti.

Talvolta penso che Edmund si sia reincarnato in Caesar. Mi spaventa come si somiglino caratterialmente. Le stesse identiche movenze, le stesse identiche battute. Hanno persino la stessa cortesia innata, quella delicatezza nei modi che non si può insegnare. Se mia madre lo avesse conosciuto, sarebbe scoppiata a piangere al solo ricordo di mio fratello.

Dovrò distruggere la vita anche a questo nuovo Edmund, temo.

Con le viscere strette dal rimorso,

Tuo,

Wladimir X Bloodwood

Una lacrima comparve sul foglio. Freya si affrettò ad asciugarsi gli occhi, ma non fu abbastanza veloce da richiudere la lettera prima che Fergus tornasse dal bagno.

Lui la vide e si avvicinò per farle una carezza paterna. «È giunto il momento di raggiungerli, mia cara. Ti ringrazio per ciò che hai fatto e ciò che farai, anche a nome di Sigfrid. Vuoi che dica loro qualcosa, quando li incontrerò?».

Freya alzò gli occhi e li incastrò in quelli color nocciola dell'uomo. Singhiozzava e le lacrime le avevano bagnato le guance, la voce era strozzata. Ma non distolse lo sguardo, non chinò la testa. «Andrà tutto bene».

Fergus sorrise. «Sì». Si chinò per darle un bacio sulla fronte ed uscì. Nessuno lo ha più visto da quel momento.

La ragazza fece un profondo respiro. Contò fino a cento, poi fino a mille. Si alzò e fissò il fuoco crepitante per un po', per poi prendere la lettera di Wladimir e lanciarla tra i ceppi.

Per quanto facesse male il groppo che aveva in gola e che non riusciva a mandare giù, per quanto una parte di lei si stesse odiando per quello che faceva, Wladimir aveva ragione. Non era ancora tempo di qualcosa in più tra Demoni e Angeli.

«Andrà tutto bene», ripeté lei come un mantra, per convincersi.

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