20 - Wladimir e Sigfrid

«Sì... no... ma...», sillabava Caesar al cellulare.

«Qui non c'è campo», spiegò Freya, sbucando dal nulla e arrestandosi sulla soglia della porta della stanza dell'Imperatore. «Se vuoi telefonare, devi spostarti a sud, verso la città degli Umani».

Caesar la guardò torbido, ma si limitò ad attaccare e posare l'apparecchio elettronico sul comodino. «Come diamine fate a vivere così fuori dal mondo?!».

Freya non si fece toccare dal tono in cui lo disse, si avvicinò finché non le parve di essere troppo invadente e gli porse una scodella di legno. «È questo il nostro mondo».

Il ragazzo alzò un sopracciglio alla vista del contenuto della scodella: un brodo di cervo, dal colore quasi grigio tortora. Lei percepì cosa stava pensando lui, perché ridacchiando – ed entrambi la sentirono come una risata finta – gli assicurò che non fosse avvelenato. Questo però non pareva averlo convinto, quindi Freya portò la scodella alle labbra e fece un paio di sorsi, inebriandosi del calore che dalla gola le scorreva fin giù.

Caesar, ancora poco convinto, accettò la scodella. I loro polpastrelli si sfiorarono, entrambi sussultarono impercettibilmente. Il ragazzo più per cortesia che per vera voglia di riscaldarsi fece un lungo sorso. Tossicchiò e lanciò uno sguardo schifato alla Regina: «Sembra pane raffermo».

«Lo so».

Le lanciò uno sguardo interrogativo. Perché non portargli qualcosa di decente, di saporito?

«Il cibo per noi è sostentamento, nulla più».

«Mi stai dicendo», sbuffò lui, indicando la scodella che aveva in malo modo appoggiato sul tavolino, «che è normale per voi ingurgitare quell'intruglio?».

«Sì. Le cose buone sono riservate ai banchetti». Freya incrociò le braccia in segno di difesa e si appoggiò allo stipite della porta. Immaginava di sembrare cortese e poter riallacciare un minimo il loro rapporto, non scusarsi per le sue tradizioni. Prima che lui potesse chiedere il perché, anngiuse: «Per noi il cibo è sostentamento, non motivo di gola. Serve per aprire gli occhi il giorno dopo, solo a quello». Conosceva la differenza con i Demoni, che cercavano le pietanze più squisite per il proprio palato, un mondo pieno di sfizi e farse.

«Beh, non è una cosa molto normale». Il ragazzo fece una smorfia. «O forse mi sembra tutto così monotono qui».

Freya non si offese, ma anzi utilizzò quello come pretesto per andare avanti. «Non sei poi tanto lontano da casa».

Caesar alzò un sopracciglio, sentendosi preso in giro. Era a chilometri e chilometri in linea d'aria dal Palazzo.

«Le stelle sono le stesse», fece eco lei, spostando i pensieri di lui su ben altro. Sì, erano le stesse; e sì, quelle parole le aveva pronunciate lui stesso... ma ad un'altra Freya.

«Sono le persone che cambiano», mormorò lui, distogliendo lo sguardo. Temeva che lei potesse leggervi più di quanto era disposto a mostrare, perciò le diede le spalle, fissando il cielo scuro.

Freya non avrebbe voluto rispondere nel modo in cui fece, doveva cercare un modo per aggraziarselo, ma quella frase la colpì come una critica, quando era stato Caesar a diventare una macchina senza emozioni. «Se fossi stata avvisata che ai Demoni piace cambiare maschera, avrei agito diversamente in passato». Lo disse con rabbia, una rabbia che covava da quando lo aveva visto infiltrarsi nella sala principale e tiranneggiare a destra e a manca.

Anche Caesar si sentì punto nel profondo perché cambiò tono di voce, facendolo diventare quasi un ringhio: «Non ci si aspetta che voi Angeli voltiate le spalle nel momento più delicato».

«Voltare le spalle? Stai scherzando?!». Freya si mise una mano sul cuore, come le parole di lui l'avessero ferita. Quando mai aveva voltato le spalle? Quando lo aveva tradito?

«Smettila di far finta di nulla. Te ne sei andata non appena hai visto che non avresti potuto mentire per il tuo coinvolgimento nell'addormentare mio nonno durante il duello!». Era ancora di spalle quando lo disse, ma tutte quelle emozioni che stava tirando fuori non potevano essere nascoste. Decise quindi di voltarsi e guardarla negli occhi, due pozzi neri che non permettevano a nulla di scalfirli.

«Tu... tu credi che io sia scappata?», Freya toccò un ottava di troppo quando lo disse. Era per quello che Caesar riponeva astio in tutto?

Caesar la vide tentennare e la interpretò come una confessione che per orgoglio non voleva concedergli, e questo lo fece infuriare oltre ogni limite. «Io mi fidavo di te! E invece sei scappata senza neppure salutare!», urlò. Afferrò la ciotola che conteneva il brodo e la scagliò contro il pavimento, forzandola in mille pezzi e facendo allargare il liquido ormai freddo nello spazio tra i loro piedi.

Le mani di Freya iniziarono a tremare. Non sapeva cosa dire. Bjorn era morto... per una convinzione così sciocca ed errata? «Wladimir mi ha cacciato». Lo disse in modo così leggero, così basso, che parve un sussurro in confronto al tono di Caesar.

L'altro alzò un dito, indicando il soffitto, continuando a ringhiare. «Non osare, non osare dirmi cazzate! Lui stesso mi ha detto come è andata».

«Pensi sul serio che fossi in grado di scappare dal Palazzo, prenotare un volo e raggiungere l'aereoporto da sola...».

«Non sono più certo di cosa tu possa o non possa fare, dopo che mi hai abbandonato!».

«... quando non ero capace neppure a tirare un secchio dal pozzo con la corda bagnata?».

Caesar la guardò, e per un attimo Freya ebbe la convinzione che si sarebbe ricreduto, che avrebbe capito. Ma lui scosse la testa e sibilò: «Non provare a rigirarti le parole come ti pare».

La porta venne aperta improvvisamente e due Demoni in armatura pesante chiesero al loro Imperatore cosa stesse succedendo, allertati dalle sue urla.

«Vi ringrazio, nulla. La Regina se ne stava andando», sibilò lui, lanciandole uno sguardo di fuoco che lei non colse.

Era troppo intenta a non scoppiare a piangere. Davvero tutta quella situazione era stata causata da una bugia di Wladimir? Si voltò senza dire nulla e uscì, sfilando accanto alle guardie. Prima che queste potessero chiudere la porta e porre fine a quel momento carico di odio e rimorso, Caesar urlò: «E che non si dimentichi che la sua vita mi appartiene!».

Freya trattenne un singhiozzo, prima di tastarsi la testa per vedere se avesse ciocche fuori posto. Uscì dalla sala principale senza preoccuparsi del freddo alla ricerca di Oddvar. Con tutto ciò che era accaduto, si erano dimenticati la cosa più importante: accompagnare Bjorn nel Valhalla. Dovevano organizzare la cerimonia, mettere il popolo a conoscenza di ciò che era accaduto. Sua moglie aveva tentato alcune volte di parlare con Freya e chiederle cosa fosse successo, perché lui non fosse tornato da lei e i figli, ma la Regina aveva sempre sviato il discorso. Era tempo di fare ciò che andava fatto.

Oddvar non si trovava da nessuna parte, perciò Freya decise di recarsi presso la dimora della vedova.

Ma durante il tragitto, altro attirò la sua attenzione. Un uomo completamente incappucciato e sconosciuto stava parlando con due Angeli, che scuotevano la testa. Quando uno di loro due la vide, la indicarono dicendo qualcosa. L'uomo si volto, ma Freya non seppe chi fosse perché il cappuccio era calato in modo tale da non permettere di essere visto. Senza dire nulla si avvicinò a lei, mentre i due Angeli attesero in lontananza per capire chi fosse.

«Mi è stato riferito che siete voi la Regina ora».

Freya lo scrutò per un po', tentando di andare oltre il buio provocato dal cappuccio. Sorrise agli Angeli e fece loro segno di continuare ciò che stavano facendo: creare allarmismo non serviva.

«Sì, sono io. E lei chi è?».

«Fergus».

Non ricordava nessuno con quel nome. «Venite da un villaggio vicino? Ci sono dei problemi?».

Lui le mise una mano sulla spalla, che la fece trasalire. «Sigfrid non vi ha parlato di me?».

«Temo di no». Cominciava a sentirsi minacciata da quell'omone, perciò tentò di essere il più gentile possibile. «Posso far qualcosa per voi, comunque?».

«Oh, sì. Potreste darmi una sedia, per iniziare. Il viaggio per raggiungervi è stato estenuante. E poi, ho bisogno che mi ascoltiate».

Freya fece un sospiro. Non poteva rimandare ancora la visita alla moglie di Bjorn. «Per la prima posso accontentarvi, per la seconda dovrete attendere».

La stretta sulla spalla di Freya si fece più forte. «Vi supplico... voglio parlare con voi, recarmi in America dai Demoni, per poi morire sapendo di aver concluso il mio viaggio». La ragazza percepì urgenza nelle parole dello sconosciuto.

«L'Imperatore di Demoni è qui», lo informò lei, cercando di non farsi intimidire.

«Posso avere udienza con entrambi, contemporaneamente?».

«La sua richiesta è inusuale... dovrà attendere un evento pubblico per poter...».

«Vi prego, mia Signora. Sto morendo e voglio concludere ciò che mi è stato affidato».

«Cosa c'è di tanto importante?».

«Ho un messaggio... dall'Imperatore Wladimir e il Re Sigfrid».

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Psst! È online l'ultimo libro della saga di Deimon, "Mildred - L'amante"! Pubblicherò i primi capitoli alla fine dell'anno, mettetelo in biblioteca per non perderlo 😏

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