15 - Kier

Penso ricordiate come io sono fissata con le storie di una stessa saga... devono avere tutte lo stesso numero di capitoli! Salvo Deimon 3 che li ho contati male, argh.

Quindi questo non può che essere lungo come lo spin-off Cordelia... quindi il 21esimo capitolo sarà l'epilogo :)

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In un attimo, la sua mano sulla guancia di lei parve un'idiozia. Non aveva fosse passato le pene dell'inferno quando era stato punito dalla famiglia per il torneo con Edmund? Non si era sentito solo e malvoluto, quando aveva scoperto che lei era fuggita?

Non erano più adolescenti che giocavano ad un amore proibito: erano capi di Stato che necessitavano controllo e sangue freddo. Si tirò su dalla posizione accucciata che aveva assunto per stare accanto alla ragazza e uscì velocemente dalla stanza. Di sfuggita ordinò ad una guardia di controllare che fosse tutto in ordine fino al suo rientro, e senza mettersi pellicce o protezioni uscì nel pungente freddo scandinavo.

Come lame affilate l'aria gelida gli trapassò la pelle scoperta di collo e polsi. Era quasi un dolore fisico, ma riuscì a schiarirgli le idee e farlo ragionare come si doveva: niente amori non corrisposti, niente intrecci che avrebbero solo portato problemi. Solo un tiranno che sottomette una Regina maldestra grazie alla vittoria durante un duello.

Doveva prepararsi un discorso. Sapeva bene, purtroppo, che tornare ad annegare in quegli occhi zaffiro sarebbe stato deleterio per lui e per il suo popolo, quindi forse ripensare a delle parole imparate a memoria prima sarebbe stato d'aiuto. Ma come avrebbe dovuto cominciare? Sarebbe stato meglio il "voi", dato che era la Regina, o il "tu", dato che era Freya?

Espirò, creando una nuvoletta calda contro l'aria nordica. Stava valutando se tornare dentro e improvvisare, sperando nel proprio buonsenso, quando udii uno dei due Angeli ringhiare: «Ma cosa diavolo fai?!». Si voltò per vedere Freya, con una smorfia di dolore sul viso, uscire senza nessuna pelliccia a proteggerla dalle basse temperature.

Caesar la osservò, cercando di simulare distacco, ma non fu necessario: lei non lo degnò di uno sguardo. Quando gli passò accanto sputò un «Altezza» acido, per poi continuare per la sua strada. Chissà cosa le stava passando per la testa. Forse mentre combattevano le aveva dato una botta in testa o qualcosa di simile, ma per sicurezza decise di seguirla. Gli Angeli non potevano uscire, altrimenti avrebbero allertato tutti, ma lei, girando per il villaggio, avrebbe potuto lasciar intendere qualcosa. Cercando di essere veloce entrò nella sala di udienza e afferrò una pelliccia, senza badare agli sguardi confusi delle guardie, che attendevano ordini.

Come immaginava, Freya soffriva troppo per quella ferita per camminare normalmente: zoppicava, con una mano premuta dove lui l'aveva infilzata. Si stava dirigendo verso casa sua... ma per fare cosa? Per la prima volta il Demone vide cosa aveva fatto commissionare al Re di allora. La casa era proprio come aveva sperato che fosse, una piccola baita di montagna piena di caldi camini.

La ragazza bussò piano e qualcuno aprì. Caesar strinse i denti, posando la mano sullo stiletto che teneva sotto la giacca, ma fu vano: ad aprire fu un bambino di massimo cinque anni, che si stropicciava gli occhi mentre borbottava qualcosa. Il Demone si affiancò a una finestra e molto lentamente si avvicinò per osservarne l'interno. Poco a poco delle candele vennero accese e lui poté constatare quanti bambini stessero dormendo in quella casa, quel tetto che aveva ideato per proteggere la sua Freya dal gelo. Sì, la sua Freya, quella ragazza che non era mai esistita. Era sempre stata frutto della sua mente, aveva travisato il suo comportamento, i suoi sguardi, persino il suo bacio prima del duello.

Davanti ai suoi occhi, l'Angelo si mise in ginocchio, cercando di nascondere senza successo le smorfie di dolore, che lo fecero sentire un essere riprovevole, per poi maledirsi da solo per quella debolezza inutile e deleteria verso qualcuno che non era mai stato completamente se stesso con lui.

Alcuni bambini accerchiarono Freya per farsi aiutare a vestire, mentre altri – i più grandi – si abbottonavano a vicenda le giacche. Ogni volta che qualcuno era pronto, correva a dare un bacio sulla guancia della ragazza, che rispondeva con un sorriso solare nonostante le condizioni e continuava a dedicarsi ad altri nanetti con la testa biondo chiaro. Ben presto tutti uscirono e Caesar la vide sola nella stanza, che cercava di tirarsi su, ma essendo al centro del pavimento non disponeva di alcun appiglio se non i propri muscoli, che però erano doloranti per lo sforzo del duello e per la ferita. Dopo l'ennesimo tentativo, il corpo non riuscì più a sostenerla, facendola cadere riversa a terra. Con grande fatica e sbuffando – Caesar non poteva sentirla, solo vederla – si mise a pancia in su e cominciò a respirare pesantemente.

Quella vista lo intristì un poco, ma prima che potesse decidere cosa fare una donna uscì da una capanna vicina, con in mano un secchio di legno vuoto, probabilmente diretta al pozzo. Nonostante avesse coperto i tratti con la pelliccia, presto il villaggio si sarebbe svegliato e lui non poteva farsi vedere lì: aveva deciso di comportarsi come un burattinaio e utilizzare la Regina come burattino, doveva rimanere dietro le quinte.

Correre verso la sala principale, dove i suoi servitori lo attendevano, o rifugiarsi nella casa di Freya? Fece un passo verso la prima opzione, quando da un'altra casupola uscì un uomo con un martello in mano, costringendolo a dargli le spalle per non farsi vedere e quindi rintanarsi lì dove preferiva evitare.

La prima e unica volta in cui era entrato lì era stata anni prima, ma si ricordava distintamente come si era sentito: gioioso. Voleva aiutare quella ragazzina goffa che si era trovata senza legna e senza acqua per orgoglio. In quel momento, invece, avrebbe pagato oro per trovarsi altrove.

Chiuse la porta con un po' troppa forza nella frenesia di non essere visto e mandare in fumo tutto quello che era stato, e questo lo annunciò alle orecchie di Freya.

«Chi è?», mormorò lei, ma non si allarmò più di tanto quando non udì risposta: le orecchie pulsavano, sentiva i battiti del cuore lenti che tentavano di tenerla in vita; forse quel qualcuno aveva risposto, ma lei non poteva saperlo.

Caesar restò immobile, sperando di passare inosservato. Per passare il tempo si guardò intorno: tutto era esattamente come lui aveva sperato per la ragazza di cui era stato innamorato. Avere davanti agli occhi, solido e immutato, un errore madornale come quello di aver creduto Freya una persona che non era, gli fece serrare la bocca dello stomaco.

«Sono io», stava per dire, non voleva sembrare un vigliacco: era l'Imperatore dei Demoni, non un bambino che ha paura di una marrachella, quando lei tirò su una mano, quella del lato non offeso, e unì il pollice con l'anulare, ondeggiando lentamente il braccio. Caesar pensò di nuovo di averle dato una botta in testa troppo forte durante il duello.

«Uffa!», sbuffò lei, lasciando cadere braccio e mano a peso morto contro il pavimento di legno, che generò un sonoro tonfo. Si era dimenticata. Aveva giurato a se stessa ogni notte di non perdere di vista mai quel piccolo foro che ogni inverno la faceva rabbrividire, le faceva colare il naso ed avere nostalgia di una famiglia. Molti le avevano raccontato di quando suo padre, in preda all'euforia della birra, si era arrampicato sul tetto ed aveva quasi rischiato di sfondarlo. Il pover'uomo non aveva poi avuto il tempo di ripararlo, dopo aver riacquisito lucidità: la guerra dei Demoni richiedeva guerrieri alleati. E così era rimasto, così Freya aveva deciso di non sfigurarlo... finché l'Imperatore non aveva deciso di demolire casa sua e ricostruirla.

Qualcuno bussò alla porta con forza. Non fu tanto il suono, che faceva trasparire urgenza, quando la vibrazione che si propagò per tutte le assi del pavimento, fino a raggiungerle la schiena ancora a terra. Quasi dimentica di essere ferita si tirò su con uno scatto e con lunghe falcate si avvicinò alla porta.

Accanto allo stipite, una figura ricoperta di pelliccia era appoggiata al muro.

«Altezza», bofonchiò lei, per poi aprire la porta. Da quella posizione, Caesar poteva vedere Freya ma non essere visto dall'ospite.

«Regina», ansimò un uomo nerboruto, con la barba riccioluta che quasi gli sfiorava la cintola. Aveva indosso una tunica molto leggera, priva di maniche, nonostante il freddo pungente: una tenuta da notte. Era davvero così importante quella situazione da non lasciargli pochi secondi per comporsi?

Sia Freya che Caesar sussultarono al pensiero che fossero stati scoperti, che avessero in qualche modo trovato il cadavere di Bjorn e che si fosse creata una sorta di ammutinamento.

Cosa sarebbe accaduto ora? I Demoni erano in evidente svantaggio, eppure Freya dubitava che si fossero spinti così lontani da un accampamento in così pochi. Avrebbero spodestato lei, in quanto non li stava proteggendo?

La ragazza affondò le unghie nel palmo della mano, stretta a pugno. Aveva ragione. Non li stava proteggendo.

L'uomo, il fabbro del villaggio, parlò velocemente, con il fiato che formava via via nuvolette sempre più piccole nello spazio tra lui e la Regina. «Kier è sparito».

Lei non chiese altro: si rendeva conto dell'urgenza della situazione. Senza pensarci due volte esclamò: «Chiama un'adunata, proclamerò lo stato di allarme e ci metteremo tutti a cercarla». Si inclinò a sinistra, non senza evidente dolore, e tirò via a Caesar la pelliccia che lo copriva. Venì via facilmente, visto che il ragazzo preferì non fare resistenza per non essere scoperto.

Freya sentì gli occhi nero pece che la fulminavano, quasi trapassandola da parte a parte come aveva fatto poco tempo prima con lo stiletto, ma non c'era tempo. Un bambino di neanche cinque anni era sparito, non poteva lasciare tempo alla nostalgia di invaderla e annebbiarle la mente.

Porse al fabbro la pelliccia sottratta all'Imperatore e si chiuse la porta dietro le spalle, lasciandolo solo e alla mercé del freddo, senza che potesse uscire e tornare nella sala principale.

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