12 - Amici e nemici
Non si sentiva assolutamente la persona giusta per quell'incarico. Era seduta sul trono a sinistra, mentre di solito Sigfrid usava quello a destra: paragonarsi a lui era impossibile per lei. Ticchettava contro il bracciolo rivestito di morbida pelliccia pallida, forse di un lupo bianco, mentre ascoltava il generale dell'esercito Oddvar. Fin da piccola sapeva che c'era un gruppo di uomini addestrati a combattere, nei modi più spietati e dispersivi, ma averne davanti la prova e doverli utilizzare non le piaceva assolutamente.
«Dal nuovo Imperatore di Demoni non abbiamo ricevuto altro che silenzio. Abbiamo provato a contattarlo con dei messaggeri, ma non hanno mandato notizie, Regina. Sospettiamo siano stati uccisi», stava dicendo l'uomo, aprendo la mano e facendo il numero cinque.
«Ne abbiamo ricevuti da loro, di messaggeri?», chiese lei, cercando di rimanere a mente fredda. Il nuovo Imperatore di Demoni, già. Se lo ricordava vagamente, dopo quasi tre anni di lontananza, e si dava ogni giorno della stupida per essersene quasi innamorata. A quanto pare era troppo impegnato a Corte per preoccuparsi di comunicare con la nuova sovrana dei suoi alleati. Sicuramente non sapeva che era lei la Regina, ma anche che fosse stato uno scoiattolo ad occupare il trono lui avrebbe dovuto cercare di rimediare.
«No, ma'am», disse Oddvar.
Bjorn, che era stato un consigliere e amico in quel lungo periodo di grandi cambiamenti, si avvicinò e disse: «Sapere che i nostri alleati e amici ci hanno voltato le spalle genera un profondo malcontento nel popolo».
Oddvar scosse la testa, contrariato ed esclamò: «L'avevo detto anche a Sigfrid - possa Odino trattarlo come un ospite di rispetto nel Valhalla! - i sottomessi lavorano meglio degli alleati. Se riuscissimo a sconfiggere i Demoni, allora sì che avremo la vittoria sui Cacciatori».
Freya rimase in silenzio per due minuti buoni, ragionando su come agire. In qualità di Regina scelta dal popolo, doveva esserne una rappresentante. I Demoni avevano voltato le spalle dopo neppure cinquant'anni di alleanza, e il popolo era scontento di un'azione troppo poco tragica nei loro confronti. Doveva fare ciò che avrebbe fatto una Regina, non una quasi ventenne ancora con una cotta per un Demone, che sembrava essere scomparso nel nulla in quel momento critico. «Oddvar, prepara i Bersekir. Non importa se sul loro cammino incontreranno amici o nemici: il mio ordine è uccidere».
Il generale annuì, mentre Bjorn chinava la testa un po' triste. «Sono secoli che non chiediamo aiuto ai Bersekir».
«Sono secoli che non ci vengono voltate le spalle in guerra», rimbeccò lei, mordendosi la lingua dal continuare. Sapeva che Sigfrid aveva sempre agito nel giusto, ma ora cominciava a criticare quella alleanza, per cui era morto e per cui aveva condannato un popolo.
Gli uomini fecero un inchino e uscirono dalla sala comune, lasciandola sola in quello spazio freddo e buio. Il sole era tramontato da ore ormai, con molte probabilità i bambini si erano addormentati in casa sua da un bel po'. Scese dal trono, tirò su il cappuccio e afferrò una grande pelliccia, che mise sulle spalle per poi uscire nel buio della notte.
Non fece in tempo a fare un passo fuori che la voce di Bjorn urlò: «Resta dentro!», ma fu troppo tardi. Degli uomini la afferrarono, la portarono di peso dentro e la scaraventarono a terra. La pelliccia attutì un po' il colpo, ma la testa cozzò contro il pavimento di legno. La ragazza alzò gli occhi, furiosa, e vide due figure sovrastarla e oltre loro la porta spalancata da cui stavano entrando Oddvar trascinato da altri intrusi.
«Dov'è il vostro sovrano?», chiese uno degli uomini. Freya abbassò il capo coperto dal cappuccio, consapevole di essere lei. Il cuore cominciò a batterle all'impazzata. Stava per rispondere quando Oddvar disse: «La nostra Regina non è qui».
La ragazza lanciò uno sguardo al generale, che veniva tenuto per le spalle dai nemici. Una risata risuonò, e quando tutti si voltarono videro un ragazzo seduto elegante sul trono che poco prima occupava Freya. «Non è poi tanto lontano: questa pelliccia è ancora calda», disse quello che indubbiamente era un Demone. Che indubbiamente era Caesar, aggiunse la mente della ragazza. Aveva i capelli poco più lunghi e una leggera barba gli copriva il volto, mentre di tutta la sua figura quello che faceva più sconcerto erano gli occhi freddi. Posò con noncuranza la testa contro una mano e disse: «E voi due cosa facevate qui in tarda ora?».
Nessuno dei due Angeli parlò. Oddvar era troppo offeso da quel tradimento scoperto e Freya continuava a osservare Caesar con un misto di stupore e odio. Già a prima vista non era più il ragazzo premuroso che si ricordava, sembrava piuttosto una macchina ammantata di nero. L'Imperatore fece un gesto annoiato e uno dei Demoni diede un pugno dritto nello stomaco di Oddvar.
La ragazza non riuscì più a sopportarlo, perciò disse: «Fermi!».
Caesar scese dal trono e si avvicinò, come un felino che approccia la preda. Incrociò le braccia e la fissò freddamente, attendendo una spiegazione. Freya represse un brivido, conscia che il cappuccio continuava a nasconderle i tratti. «Il sovrano è...», ma non poté continuare perché Oddvar aggiunse, con un tono sofferente: «È sua madre».
I due Demoni che le stavano vicini la afferrarono e la tirarono su, visto che era ancora accucciata a terra. «Vorrà dire che abbiamo un ostaggio importante. Attenderemo la vostra Signora per due giorni, dopo di che raderemo tutto al suolo».
Freya strinse i denti, era in un bel guaio. «Perché?».
Caesar rise, ma in modo meccanico. «Mi chiedi perché? Eravamo venuti di nascosto per cercare di accordarci su questa guerra con i Cacciatori, quando una mia guarda mi avvisa che il vostro sovrano ha appena chiamato in campo i vostri migliori guerrieri, cinque volte più capaci di noi, e che non devono fare distinzione fra amici e nemici? Se volete rompere l'alleanza, lo faremo anche noi».
La ragazza strinse i denti, e fece un passo avanti per farsi udire meglio, ma le due guardie la afferrarono per non farla avvicinare al loro Imperatore.
«Prenderò la camera della Regina», disse Caesar. «Legate quell'uomo da qualche parte, può conoscere qualcosa di utile. Non uscite da qui, il popolo deve pensare che non ci sia nulla di strano».
Una guardia che teneva ferma Freya chiese: «Come facciamo con il cadavere lì fuori? E con questa?».
La ragazza lanciò uno sguardo inorridito a Oddvar, che chinò la testa. Dunque Bjorn era morto per cercare di proteggerla, e lei non faceva nulla se non fingere di essere la figlia della Regina invece di prendersi le proprie responsabilità. In un attacco di odio urlò: «Bastardo!» e cercò di raggiungerlo, ma fu nuovamente presa dalle guardie.
Ora ne aveva la prova, quello non era il Caesar a cui si era affezionata, a cui aveva pensato in quei tre anni nelle notti più buie, osservando uno dei tanti camini che le aveva regalato insieme alla casa. Era sparito per dare spazio alla sua vera essenza, alla vera essenza dei Demoni.
L'Imperatore la guardò con disprezzo per un po'. «Il cadavere seppellitelo nel bosco. La ragazzina è tutta vostra, vedo che ha molte energie da sprecare». Le guardie risero, mentre Freya capiva l'implicazione di quelle parole. «Ma non uccidetela».
«Oh, grazie della magnanimità, Altezza», ringhiò lei a denti stretti.
«Se non fossi la figlia della Regina, ti avrei già ucciso», sbuffò lui con noia. «Ho cambiato idea. Mettetela nelle stalle o dove volete voi, basta che sia lontano da fonti di calore e che nessuno possa sentirla o vederla».
L'odio di Freya nei confronti di quel ragazzo crebbe sempre di più, facilitato dal fatto che prima pensava fosse amore. Capiva il ragionamento di Caesar: non sarebbe stato lui a macchiarsi del suo sangue, ma avrebbe dato l'onore al clima gelido. Ovviamente se prima non si fosse presentato la Signora degli Angeli a sistemare le cose. Digrignò i denti e disse: «Vi sfido a duello».
Tutti i Demoni intorno a lei scoppiarono fragorosamente a ridere, mentre Caesar piegava le labbra in un sorriso sarcastico. «Come prego?».
«Vi sfido a duello», ripeté Freya.
Il sorriso di Caesar si accentuò ancora di più. «Domani all'alba. Portatela in una delle stanze reali, non vorrei che mi si venga detto che l'abbia fatta indebolire. Datele tutto quello che vuole, acconsentite a qualunque cosa chieda: sono le sue ultime ore in questo mondo».
Ancora una volta, le guardie intruse risero sonoramente, mentre Oddvar la guardava con tristezza.
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