1 - Cospirazione
Il sole era piuttosto alto, ed un leggero vento agitava le foglie che rilucevano della luce del mattino, illuminandosi alternate come se le stessero facendo velati occhiolini.
Il cervo che aveva individuato le stava proprio di fronte, ferito alla gamba. La preda perfetta in una giornata così pigra. Tirò la corda dell'arco, e sentì il pennacchio della freccia sfiorarle il lobo. Amava quel momento: il preciso istante in cui il tempo si fermava e rimaneva solo il suo respiro a scandire lo scorrere degli attimi. Contò a mente, cercando di calmarsi e colpire dritta al bersaglio, senza farlo soffrire inutilmente. Proprio quando lasciò che la freccia scoccasse dove si trovava l'animale, quello scappò via, impaurito da qualcosa.
Quel qualcosa le aveva appena negato la cena, ed era uscito dal fogliame guardandosi attorno. Sbuffò: era solo un ragazzo piuttosto strano.
Aveva i capelli neri, e sospettava che anche gli occhi avessero quella tonalità. Si guardava attorno pensieroso, mentre vagava per la foresta a far scappare il cibo altrui. C'era una sola spiegazione a quell'aspetto e quella confusione sul suo volto: Demone.
I Demoni non venivano mai da quelle parti, perché nonostante fosse stato stretto un patto con loro più di trent'anni fa, trovavano la Norvegia troppo arida e fredda per i loro gusti. Preferivano restare alla loro Corte in America, serviti e riveriti.
Se lui era qui l'unica spiegazione era la sua discendenza: era il figlio di qualche Demone che era venuto a far visita al Re Sigfrid il Giusto. Un Principe, dunque.
Questo comunque non lo giustificava del fatto che lei non avrebbe avuto nulla da mangiare quel giorno, se non carne secca che risaliva all'anno scorso.
Sconfitta, uscì dal proprio nascondiglio e si palesò al ragazzo. «Avete perso la via, Altezza?», chiese, sperando di sbarazzarsene presto e tornare alla caccia.
Lui la scrutò per un po', e sentì i suoi occhi – neri davvero, constatò – quasi invaderle l'animo. Le sorrise cordiale, mostrandole un paio di fossette davvero buffe, e rispose: «Temo di sì, signorina».
Supponendo che dovesse tornare alla casa del Re, che per nulla differiva da quella di un cittadino povero, lei gliela indicò. Il Demone la ringraziò, donandole di nuovo la vista di quelle fossette, e con un inchino seguì la strada. Rimase un po' interdetta dai suoi modi, un po' troppo freddi ed arcani. Senza indugiare oltre, dato che il sole era quasi al suo zenit, cercò qualcos'altro da cacciare ma non trovò nulla.
Infastidita tornò a casa, maledicendosi per non essere andata a pesca. Lasciò arco e faretra all'ingresso della capanna ed afferrò un secchio di legno. Si diresse verso il pozzo del villaggio, mettendosi in fila dietro donne di famiglia che tenevano in braccio pargoletti urlanti. Qualcuno la salutò calorosamente, e lei rispose con un sorriso. Da quando i suoi genitori erano periti nell'assedio del Palazzo della capitale dei Demoni, molti le avevano proposto di stabilirsi da loro. Per quanto un altro bambino pesasse, erano comunque braccia in più per lavorare. Aveva gentilmente declinato tutte le offerte e piano piano si ero abituata a badare a se stessa senza aiuto di nessuno. Le prime volte era tornata a casa con lo stomaco vuoto, ma con un po' di esercizio era riuscita a capire le tecniche necessarie per sopravvivere.
Vide altri due Demoni, un maschio e una femmina, proprio davanti alla capanna del Re. Si tenevano per mano e ridevano con Sigfrid, che le fece un cenno di saluto quando incrociò il suo sguardo. Lei tirò indietro la testa, alzando il mento e mostrando la gola; quello era il modo di rendere omaggio al capo, offrire un punto sensibile come a far capire che ci si rimetteva alla sua volontà, perché ci si fidava del suo operato.
La Demone intercettò lo sguardo di Re Sigfrid e le rivolse un sorriso, mentre l'altro faceva una smorfia all'indirizzo di un bambino che non aveva notato. Il piccolo rise, seduto a terra, ed l'occhio colse le fossette sul volto dell'uomo prima di voltarsi per sfruttare il proprio turno al pozzo.
Con un po' di fatica tirò su la corda, rivelando il proprio secchio attaccato al gancio arrugginito. Prese l'acqua e tornò spedita alla capanna, ma prima che potesse voltare l'angolo, un po' intimorita dalla presenza dei Demoni, andò a sbattere contro una persona, rovesciando il secchio a terra e sollevando un po' di polvere. Alzò gli occhi, pronta a scusarsi per la propria sbadataggine, ma vedendo di fronte a sé il Principe Demone che si passava una mano fra i capelli, la rabbia proruppe.
«Ma insomma!», sbuffò, mentre lui chiedeva perdono. «Prima il cervo ed adesso l'acqua. Dite, state facendo una cospirazione contro la mia cena?».
Lui la guardò confuso, piegando lievemente la testa come a osservarla da un'altra angolazione per capire le sue parole. «Il cervo nel bosco era la vostra cena?».
«Esatto. Era», precisò, chinandosi a prendere il secchio e dirigendosi di nuovo al pozzo. Sperò di esserselo lasciato alle spalle, ma lui non demorse, continuando a scusarsi. «Essere desolato non mi sfamerà stasera», disse gelida, dopo un'altra serie di parole risentite da parte sua.
«Posso invitarvi a cena, per rimediare?», chiese cordiale, probabilmente cercando di essere gentile.
L'invito di un Principe ad una povera contadinella le sapeva troppo di favole, quelle che nelle occasioni di festa narrava il cantastorie intorno al fuoco comune.
«Avete già fatto abbastanza», rispose, infilando il secchio nel gancio del pozzo e buttandolo giù. Sentiva gli occhi di lui su di sé, perciò provò a concentrare tutte le proprie attenzioni sul tirare la corda, che però il sudore dell'agitazione fece scivolare. Sbuffò sonoramente, ma prima che potesse riafferrarla lo fece un'altra mano.
«Permettete che vi aiuti», disse il Principe, tirando su il secchio con facilità e porgendomelo.
«Grazie». Lo afferrò e si voltò, ma lui attirò la sua attenzione con le parole: «Che maleducato, non vi ho neanche chiesto come vi chiamate».
«No, non l'avete fatto», rispose, allontanandosi dal pozzo verso la propria capanna. Fortunatamente, il Principe non la seguì, e mentre svoltava l'angolo lanciò un'occhiata alla piazza del villaggio.
Il ragazzo ora era accanto alla coppia, e stava ridendo per qualcosa che aveva detto il Re. Vedendoli così vicini, suppose che fossero una famiglia.
Una famiglia piuttosto felice, a giudicare da come i genitori si stringevano in un abbraccio, mentre i figli giocavano a chi faceva la smorfia più terrificante.
Scosse la testa, affrettandosi verso casa. Quelli erano gli stessi che avevano indirettamente ucciso i suoi genitori, non poteva restarne affascinata.
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