II.




02 scheletri (non) chiusi nell'armadio


     L'edificio, benché fosse stato succube di un'attenta e maniacale pulizia, sprigionava il tipico odore rancido che s'impregnava nelle pareti quando accadeva che un posto venisse lasciato abbandonato a sé stesso. L'aria che attraversava i corridoi, però, era fresca e la luce riusciva a fare irruzione passando per le numerose finestre piazzate in alto. All'interno i muri di pietra erano ampi e il soffitto profondo, i tacchi degli stivali che battevano sul pavimento in pietra echeggiavano nell'ambiente e il chiasso degli oggetti scientifici da lavoro di Emilia era ancora più assordante, più fastidioso e si percepiva al minimo passo, a ogni leggero movimento del corpo. Per quanto ci avesse ormai fatto l'abitudine, a Levi quel tumulto infernale incitava al nervoso in una maniera indescrivibile, tant'è che avrebbe attribuito senza dubbio la colpa a Emilia e quella sua terribile abitudine di portarsi dietro i suoi strumenti diabolici, se gli fosse venuto il mal di testa.

     «Allora, che ne pensi?» Esortò il corvino portato all'esasperazione dal mutismo in cui la collega si era apparentemente rinchiusa. Era distratta, riflessiva e infatti accennò a un breve «A cosa?» impacciato senza nemmeno alzare gli occhi da terra. «Oh, Eren? Sì, uhm — si portò due dita sotto il mento fingendo di pensare assumendo un'espressione meditativa per poi dedicare al capitano un'occhiata diretta e tagliente — è terrorizzato. Lo hai spaventato a morte, Levi! E già tanto se non ti sogna la notte» si lamentò Emilia «Però è davvero adorabile, non credi? Ha due occhi meravigliosi!» Concluse poggiando i palmi delle mani sulle guance e palesare un'aria incantata.

     «Non mi interessa se ti sei presa una cotta per un minorenne» sbuffò Levi, irritato.

     Emilia tornò seria. Aggrottò le sopracciglia e intrappolò un sospiro nel petto, riflettendo davvero sulle conclusioni da trarre. Quando le era arrivata voce che dal gigante sospetto apparso tra le arterie del Distretto di Trost con l'apparente intenzione di annientare tutti era spuntato un ragazzino, si era messa sinceramente a ridere. Poi la faccenda si era fatta più seria del previsto; si era pronunciato Erwin e assieme a lui i suoi grandiosi obiettivi che tanto si avvicinavano a dei folgoranti vaneggiamenti al limite dell'ossessione, e aveva iniziato a farneticare sulle probabilità di ottenere la custodia del giovanotto per supportare l'Armata Ricognitiva nella discutibile missione di salvataggio dell'umanità. Emilia si era accontentata di brevi e semplici parole per assicurare che il Comandante la convincesse del tutto: avrebbe potuto evadere dal caos della città per intraprendere una missione suicida, le sarebbe stata concessa l'opportunità di approfondire i suoi studi scientifici direttamente sul diretto interessato e, soprattutto, avrebbe potuto portare con sé le invenzioni a cui stava lavorando. Era fatta. Emilia aveva accettato.

     «Si è spaventato.» Concluse la corvina successivamente aver memorizzato ogni movimento sospetto e accattivante di Eren, dal modo in cui aveva lasciato che i suoi occhi si accorgessero degli strumenti da lavoro — intenzionalmente messi in rilievo prima di partire — per intercettare una reazione, alla temperatura corporea elevata quando l'aveva toccato e aveva messo insieme i pezzi. Levi l'aveva lasciata fare ma la stava guardando con sospetto «Quando ha visto la cintura si è spaventato e mi ha subito chiesto se fossi un medico.»

     «Mi aspettavo qualcos'altro» confessò Levi.

     «Insomma, quanti anni ha? Quindici? Possibile che in quindici anni di vita non gli sia mai capitato di ferirsi e trasformarsi? È solo un'ipotesi, un pensiero campato per aria, ma non credo che sia dovuto da una brutta esperienza avuta con i dottori perché da piccolo gli hanno fatto una puntura di troppo. Forse è collegato con il suo potere, non saprei.» Era un azzardo, Emilia lo sapeva bene, tuttavia non poteva fare a meno di pensare che l'intera situazione fosse un controsenso; c'era qualcosa di bizzarro in quella faccenda, e nessuno poteva risolvere quel rompicapo che una persona insolita almeno quanto la situazione in questione. Avrebbe fatto le sue ricerche, le sue ipotesi, avrebbe azzardato a esperimenti e analizzato a svariate teorie ma senza toccare Eren. Non l'avrebbe mai sfiorato con un dito, le sperimentazioni necessarie sarebbero state realizzate esclusivamente attraverso l'utilizzo degli occhi e del cervello, nient'altro. L'incolumità di Eren non sarebbe stata messa in repentaglio a causa di un profondo desiderio di conoscenza. Anche se questo prevedeva che la cavia in persona contenesse tutte le risposte alle domande che l'umanità si poneva da decenni; Emilia le avrebbe individuate gradualmente, un'ipotesi alla volta.

     «Sei stata brava a calmarlo» dichiarò Levi dopo un attimo di silenzio.

     «Si è calmato appena gli ho detto che non sono un medico,» disse «l'ho solo rassicurato che non l'avrei toccato.» Concluse alzando le spalle in un gesto distratto.

     «Esageri nel contatto con gli altri» Confessò il corvino mosso dall'esigenza di doversi togliere quella fastidiosa spina nel fianco che ogni volta non riusciva ad estrarre «Non sempre le reazioni che prevedi corrispondono alla realtà, prima o poi ti metterai nei guai.» Terminò alludendo al fatto che era stato un caso che avesse intercettato le sensazioni di Eren poco fa.

     «È già successo e tu lo sai.» Ridacchiò Emilia, ricordandosi di quella volta in cui erano stati convocati a una riunione assieme ad alcuni ufficiali del Corpo di Gendarmeria e lei aveva azzardato a mettere una mano sulla spalla a uno dei capitani presenti in sala; lui per poco non gliel'aveva spezzata «E comunque, dai! A chi non piacciono le coccole... Ah—» si voltò e lanciò un'occhiata stupefatta a Levi, come se si fosse appena ricordata di un dettaglio importante «Dimenticavo, sei una macchina priva di sentimenti, certe cose non puoi capirle» sospirò con teatralità.

     «Non essere stupida» l'ammonì Levi, «Se c'è qualcuno privo di sentimenti, quella sei tu. Credi che non sappia che quell'amorevole faccia che ti porti appresso sia solo una maschera? Neanche ti ricordi i nomi degli ultimi ragazzi che sono morti seguendoti, tre mesi fa.» Sospirò a denti stretti guardandola di sbieco riservandole un'occhiata spietata.

     «Ma che porti ancora rancore?» Si corrucciò lei, contrariata.

     «Tre di quei mocciosi appena maggiorenni hanno perso la vita per stare dietro al tuo folle ordine di non attaccare.» Continuò ad assaltarla Levi, affilando di più lo sguardo e abbassando considerevolmente il tono di voce. Il ricordo di quel giorno, di quella spedizione, una delle più terrificanti che aveva evidenziato una considerevole percentuale di vittime e dispersi, gli faceva ancora ribollire il sangue nelle vene.

     «Se avessero ucciso quel gigante non avrei mai scoperto se il tranquillante avrebbe funzionato o meno!» Si alterò invece Emilia. Sapeva che anche se non lo dimostrava apertamente, Levi era furioso. La terrificante reminiscenza dei cadaveri di quei ragazzi l'aveva tallonata senza tregua palesandosi sotto forma di incubi agghiaccianti che l'avevano tenuta sveglia, nella penombra della sua stanza poteva intravedere le sagome distrutte, annientate, sanguinanti di quei soldati morti troppo presto che l'accusavano in silenzio. Non aveva bisogno di ulteriori accuse.

     «Non ha funzionato e delle persone sono morte. Ma tanto a te interessava solo sapere se il tuo intruglio di merda fosse un'invenzione degna della fama storica.» Continuò a sottolineare Levi.

     Emilia si fermò voltando il corpo fronteggiando il Capitano incrociando le braccia al petto e ponendo un muro immaginario tra lei e Levi. Erano passati tre mesi da quell'accaduto, gli aveva chiesto indulgenza un'infinità di volte, cercando di spiegare, eppure lui continuava a rinfacciarglielo non appena trovava uno spiraglio di possibilità. Cominciava a non sopportarlo più. Si avvicinò ulteriormente, la sua fronte quasi a toccare la quella dell'uomo, accigliando ancora di più l'espressione; se c'era qualcosa che Emilia faceva fatica a mandare giù erano le critiche ingiustificate e insignificanti come quelle. Accusandola esclusivamente di aver causato delle morti non li avrebbe riportati in vita.

     «Sophia Lagner, diciannove anni. Michael Humbert, vent'anni. Fred Kunibert, diciotto anni.» Elencò acidamente i nomi dei soldati caduti «Leonard Nigg e Ralf e qualcosa erano entrati nell'Armata Ricognitiva da due mesi e avevano solo sedici anni» dopodiché gli rivolse un'espressione al limite della desolazione.

     A quel punto, si fermarono davanti all'ufficio del Comandante — o meglio, quello che temporaneamente era stato nominato come tale, solo in situazioni di emergenza — e Emilia spalancò la porta; entrò nella stanza, decisamente vacante di libri e tutti gli oggetti che normalmente caratterizzavano l'ufficio di Erwin al vero Quartier Generale, allargò le braccia, ampliò un sorriso e gridò: «Erwin! Luce dei miei occhi, come stai?»

     «Sei in anticipo.» parlò cautamente l'uomo precedentemente voltato di spalle. Le rivolse un sorriso che poteva sembrare di cortesia, ma Emilia sapeva che i timidi accenni di Erwin erano sinceri.

     «Ho conosciuto Eren.» Proclamò senza girarci troppo intorno, intavolando il discorso come se fosse una banalità anche se lo scambio di occhiate apparentemente senza alcun significato camuffavano in realtà un'intera conversazione; senza bisogno di parole aggiuntive, la scienziata aveva rivelato al Comandante tutte le considerazioni che aveva fatto in meno di cinque minuti di interazione con il ragazzo—gigante. Dietro di lei, Levi restò serenamente in disparte. A quel punto, il Comandante dell'Armata Ricognitiva is sedette alla scrivania poggiandovi sopra i gomiti, invitando con un fugace gesto della mano Emilia a prendere posto davanti a lui, dopodiché chiese a Levi di aspettare fuori. Emilia si voltò e lanciò al corvino un bacetto a distanza unendo le labbra «Vai pure, mamma e papà devono parlare.» Subito dopo si accomodò con un movimento sgraziato incrociando le gambe sulla sedia. Levi rivolse un sussurrato imbecille e uscì.

     L'ufficio era pulito, nell'aria c'era ancora l'odore graffiante di disinfettante e sulla scrivania di Erwin erano poggiate alcune scartoffie che sicuramente riguardavano Eren, la penna e inchiostro, la lampada con la fiamma accesa e al di là della sua figura composta e imponente la finestra chiusa ritraeva l'ultimo frammento di sole rosso che spariva dietro le montagne, lasciando dietro di sé un cielo finalmente polverizzato di blu. Il comandante indirizzò una sbirciata all'aspetto di Emilia, sorvolando sulla questione della divisa che sarebbe dovuta essere obbligatoriamente indossata — non le avrebbe mai concesso il privilegio della ragione, ma Erwin aveva sempre apprezzato l'audacia della corvina a sfoggiare la propria personale preferenza di stile — e parlò: «Allora,» introdusse «Abbiamo ottenuto la custodia di Eren.»

     «Sì e non mi interessa sapere come hai fatto.» ammise riservandogli un'occhiata feroce visto che venire a conoscenza dei metodi brutali che quel ragazzino aveva dovuto sopportare che lo avevano sicuramente sconvolto, ma che invece per l'Armata Ricognitiva si trattava di una formalità e soprattutto una consuetudine — altro dettaglio che indubbiamente lo avevano turbato ulteriormente —, non era nei suoi più onesti interessi «Piuttosto, ho almeno tre ipotesi diverse e un soprannome che gli calza davvero a pennello!»

     «Immaginavo,» commentò il biondo senza tentare di nascondere una smorfia divertita «È per questo che mi servi anche tu. Prosegui pure..»

     Lei incominciò a esporre le sue teorie e opinioni addolcendo la discussione attraverso continui apprezzamenti rivolti nei confronti di Eren che spezzavano l'amarezza delle varie ipotesi raccapriccianti sul suo potere e futuri esperimenti che aveva intenzione di svolgere; tenendo a sottolineare, comunque, che ai fini di mantenere incolume la salvaguardia di Eren, lei non si sarebbe mai azzardata a torcergli un capello o effettuare test eccessivamente invadenti che erano in contrasto i suoi principi e, soprattutto, non avrebbe fatto niente contro la volontà del ragazzo. Erwin accettò la condizione, dimostrando di non essere totalmente senza umanità, e il discorso si concluse con il Comandante che le dava carta bianca.

     «Ah, un'altra cosa» intervenne un'ultima volta il biondo prima che Emilia uscisse dall'ufficio. «Mi servirebbe un veloce prospetto sulla tua squadra, se ti và.»

     «Certo!» Reagì saltellando di nuovo davanti alla scrivania del Comandante che aveva già afferrato la penna in mano ed era pronto a scrivere, gli occhi di lei illuminati di emozione «I miei ragazzi sono la cosa più bella che mi sia mai capitata! Sono dei cucciolotti adorabili! C'è Sarah: intelligente, decisa e rispettosa. Forse un po' troppo severa, ma ha secondo me le potenzialità giuste per diventare una futura caposquadra, senza dubbio. Non si lascia intimidire e soprattutto dice le cose esattamente come stanno, senza troppi fronzoli. Mi piace quella ragazza: mi rispetta e mi ammira...forse un po' troppo, ma fingo di non farci caso! Le piace molto il tiro con l'arco, è una delle sue passioni più grandi e vedessi com'è forte! Ha una mira che spaventa. E poi c'è Klaus, un gigante buono, un bambinone! Tra lui e Sarah c'è del tenero sai, io l'ho visto. — diminuì la voce a un sussurro, alzando un sopracciglio e assumendo un'espressione velata — Mi piace provocarli, metterli in imbarazzo. Secondo me un giorno si sposeranno! Oh—che emozione! Klaus è molto riflessivo, è calmo e tranquillo. Nonostante la sua presenza importante! Credo anche che ti superi, Erwin! Ha una grande forza fisica, oltre che ottime capacità logiche. Mi è utile per i lavori pesanti e per mettere in pratica strategie per le spedizioni. Al caro Klaus piacciono i cavalli, li tratta come se fossero dei gattini! è davvero delizioso. Poi abbiamo Wolf, che tu conosci bene. È un ottimo osservatore, avevi ragione, è una persona attenta, molto perspicace. Mi piace, osserva sempre ogni cosa e riesce a percepire addirittura i dettagli che a chiunque altro potrebbero sfuggire. Gli piace leggere, chissà magari in futuro ce lo vedo molto bene ad insegnare! Al suo fianco c'è sempre il piccolo Ludwig, è la sua ombra, lo segue dappertutto; anche se non parla molto è un abile soldato, sa usarle a dovere quelle lame e con il movimento tridimensionale è molto veloce, mi è utile in prima linea durante le spedizioni. E infine il più piccolo del gruppo, l'ultimo arrivato: Kurt, è un piccoletto interessante. Ha sedici anni ma ne dimostra almeno venti. Ancora devo valutarlo bene e capire le sue potenzialità, è con noi da troppo poco ma ho visto che durante gli allenamenti riesce a stare al passo, mi spiego. Credo che nonostante la sua giovane età, abbia molto da dimostrare! sono proprio orgogliosa della mia squadra. Questo è tutto per ora!»

     «Ottimo, puoi andare.» Concluse Erwin mostrando l'ennesimo contenuto sorriso mettendo un punto alla fine del verbale che firmò accuratamente a suo nome «Immagino che tu sia stanca, Levi ti mostrerà il tuo alloggio.»

     La lampada sul tavolo ondeggiò a causa di uno spiffero di vento che s'introdusse dalla finestra non perfettamente sigillata. Questo le avrebbe creato problemi durante la notte e pregò silenziosamente affinché l'indomani non si fosse alzata col raffreddore. Quel castello era splendido e suggestivo, ma estremamente scomodo, decisamente troppo vecchio. Nonostante Levi si fosse impegnato tutto il giorno per pulire addirittura dietro ai quadri, l'odore di polvere e muffa continuava a impregnare l'aria.

     Emilia si sistemò meglio gli occhiali da lavoro sulla testa, facendoli aderire meglio e finalmente avvitò anche l'ultimo bullone che andava a completare la sua opera, la sua nuovissima creazione. I capelli umidi ancora leggermente bagnati le gocciolavano lungo la schiena, sulle spalle, e le ciocche che cadevano in avanti avevano creato una piccola pozza d'acqua sulla scrivania; aveva fatto una doccia veloce, giusto il tempo di togliersi di dosso l'odore di cavallo e aver disteso i muscoli dalla tensione e aveva indossato i primi vestiti che aveva trovato con l'intenzione di mettersi subito a finire il lavoro. Ebbe il tempo di contemplare il suo operato ultimato con adorazione alzandosi in piedi, le iridi nere brillavano sotto la luce tenue della fiamma e un largo e soddisfatto sorriso le cadde sulle labbra. La porta si aprì lentamente cigolando appena mentre l'ospite la spingeva lentamente, permettendogli di fare capolino.

      «Caposquadra?» Si introdusse timida la voce di Sarah «La cena è pronta, vuole unirsi a noi?»

     «C'è anche il Capitano Levi con la sua squadra?» Chiese Emilia senza distogliere gli occhi dal suo progetto ma stavolta il sorriso eccitato era scomparso lasciando spazio a una smorfia infastidita.

     «No,» balbettò la castana lasciando scappare un appunto di confusione «la sala è vuota, ci siamo solo noi.»

     Sul viso di Emilia tornò a dipingersi un'espressione serena. Non aveva intenzione di avere troppa gente attorno; ancora peggio trovarsi a bisticciare con Levi in una sequela infinita di insulti velati che avrebbe finito per mettere in imbarazzo tutti quanti e facendo a lei passare la fame. La realizzazione del progetto l'aveva privata del sonno, che conseguentemente aveva portato a un eccesso di adrenalina che il suo corpo adottava come meccanismo di difesa, e dell'appetito; perciò adesso che finalmente poteva stabilire conclusa la sua opera, poteva concedersi una cena decente e un meritato riposo. Il mattino successivo, salvo imprevisti, avrebbe potuto dormire fino al pomeriggio. Erwin, dopotutto, l'aveva intenzionata a recuperare le energie. «Allora dammi qualche altro minuto e scendo, okay?»

     Sarah indugiò appena, prima di accedere completamente all'interno della stanza, che già in poche ore era stata occupata da oggetti scientifici, attrezzi da lavoro, vestiti, libri e appunti scritti sui fogli sparsi in giro. Si accostò la porta alle spalle e allungò moderatamente il collo a dare una sbirciata alla progettazione a cui Emilia stava lavorando da mesi e che nessuno aveva ancora avuto l'occasione di vedere — in più, lei non ne parlava mai, rendendo Sarah leggermente gelosa —; ma tutto ciò che la ragazzina riuscì a vedere fu un'accozzaglia di metallo. Nient'altro. Tuttavia, anziché rivolgere interrogativi sull'ennesima invenzione della Caposquadra che avrebbe sicuramente creato problemi ai piani alti, la curiosità di tutt'altra natura le pizzicava la lingua.

     «Scusi l'impertinenza... ma è successo qualcosa con il Caporal Maggiore?»

     «Ti ha insospettita la mia domanda?»

     «Un po', devo essere sincera, ma... ecco, poco fa quando siamo entrati in sala da pranzo, li abbiamo incrociati e il Capitano Levi dopo averci guardati con un faccia decisamente raccapricciante, ci ha chiesto che fine avesse fatto.» Sarah abbassò lo sguardo a osservare la punta dei suoi stivali iniziando a giocherellare nervosamente con le mani, poi si schiarì la voce e titubante chiarificò: «Beh, tecnicamente, più che chiedere di lei, ha brontolato qualcosa sul fatto che fosse una pessima caposquadra perché ci lasciava passeggiare liberamente mentre lei stava rintanata in, cito, questo buco puzzolente.»

     «Quel bastardo!» Brontolò Emilia stringendo l'estremità del tavolo indirizzando un'occhiata fulminante alla sua sventurata creazione. Poi rivolse la stessa espressione alla povera Sarah che guizzò appena «L'hai malmenato come si deve?»

     «Le ricordo che è un mio superiore, non mi è concesso» sospirò la castana non mancando di nascondere un sorriso, affatto turbata dall'atteggiamento talmente irrispettoso e brutale della caposquadra «Male! Malissimo!» Intervenne Emilia battendo un colpo con la mano aperta sulla scrivania «Hai il dovere di difendere la tua caposquadra dai brutti ceffi!» Sembrava seria, corrucciando ancora di più l'espressione e assottigliando lo sguardo.

     «Lo ricorderò la prossima volta.» Si operò prontamente a rassicurarla Sarah continuando a mantenere quella smorfia addolcita che le increspava le labbra. Approfittò di quel lieve momento di silenzio per lasciare che i suoi occhi curiosassero in giro per la stanza; rilevò come Emilia fosse riuscita a metterla a soqquadro in davvero poco tempo. Il Capitano Levi, considerate le sue stravaganti fissazioni, avrebbe avuto certamente una reazione al limite di un istantaneo svenimento se avesse messo piede lì dentro e sicuramente, senza ombra di dubbio, lui e Emilia sarebbero incappati in un'altra accesa discussione. Il pensiero riuscì a farle scappare una risatina divertita: tutto sommato, i loro dibattiti non erano mai eccessivamente significativi e, di quando in quando sfioravano addirittura la comicità, infine come due bravi fratelli tornavano a riconciliarsi. Soppresse l'iniziativa di andarlo a chiamare e portarlo nella camera di Emilia esclusivamente per mettersi in disparte e godersi lo spettacolo. Arrestò lo sguardo sulla figura della Caposquadra che, assorta nei pensieri, aveva un'espressione turbata. Poi parlò: «Secondo te sono insensibile, Sarah?»

     Il sorriso della ragazza svanì d'improvviso lasciando spazio a una faccia quasi angosciata «No, certo che no» mentì balbettando, decisamente troppo poco convincente.

     «Lo sai che non sono il tipo da ritorsioni per così poco. In passato me ne hai fatte di peggiori» specificò Emilia rivolgendole un'occhiata.

     «Ultimamente può aver dato l'impressione che fosse interessata più alle sue invenzioni che all'incolumità dei suoi uomini. A livello statistico, risulta essere il caposquadra che ha perso il maggior numero di soldati.» Confessò la castana, quasi senza rifletterci sollevando lo sguardo in alto. Emilia prese a dondolare leggermente sui talloni continuando a essere assorta nei suoi pensieri. «Mh, capisco.» Decretò, riflessiva.

      «Però non—» le parole di Sarah le morirono in gola così come le intenzioni di scusarsi e correggere l'equivoco lasciato sfuggire con sincerità sfumarono nel momento in cui la diciottenne avvertì dei passi farsi strada dietro di lei, avvicinandosi sempre di più velocemente. Il soldato si voltò appena il rumore s'interruppe e una volta identificata la persona che aveva davanti tempestivamente proseguì a poggiare il pugno sul lato sinistro del petto e l'altro dietro la schiena, drizzando le spalle assumendo una posizione degna di un saluto a un ufficiale. «Disturbo?»

     Emilia, riconosciuto il timbro di voce, si voltò immediatamente e appena la rintracciò nella penombra del corridoio nascosta dietro la sua assistente, sulle labbra apparve inaspettato, nel modo più veloce che la stessa Sarah avesse mai visto, un sorriso che si era esteso con la stessa rapidità con cui pronunciò il suo nome: «Hanji!» A quel punto, la sventurata Sarah ebbe a malapena il tempo di spostarsi di lato per permettere alla Caposquadra di superarla a corsa e saltare in braccio all'amica; le circondò il collo con le braccia e si sentì sollevare, poi appena poggiò nuovamente i piedi per terra e si allontanò quel tanto che bastava per guardarla negli occhi con emozione, il sorriso esteso che comunicava tutta la sua felicità non accennò a spegnersi nemmeno quando, poggiando la fronte contro il suo petto, si lamentò: «Uffa, per fortuna che ci sei anche tu. Qui sono tutti così noiosi» subito dopo sentì la mano di Hanji fermarsi sulla sua testa e iniziò a muoverla dolcemente «Quando sei arrivata?» Chiese.

     «Oggi,» Rispose Emilia allontanandosi di nuovo per guardarla negli occhi, stavolta con un'espressione furiosa «E Levi mi ha fatto perdere la pazienza già tre volte! Alla prossima gli cavo gli occhi—» abbassò il tono di voce e lo ridusse e un sussurro infido a denti stretti.

     «No, tu non caverai gli occhi a nessuno!» Dichiarò afferrandole le guance con le mani e ricambiando il sorriso «Piuttosto, sei ancora piccolina come sempre!»

     «Ah?!—» Strillò Emilia con le guance ancora strette tra le mani dell'amica a cui si sottrasse per protestare «È perché sono senza stivali! Guarda!» Sollevò, per quanto possibile, una gamba per mostrare il piede scalzo, mettendo poi il broncio. Hanji lasciò fuggire una risata divertita, conosceva Emilia dai tempi dell'addestramento e sapeva quanto fosse estremamente suscettibile quando veniva messa in discussione la sua altezza che, stando a sentire i suoi stravaganti discorsi, affermava di essere solo leggermente più bassa e dal momento in cui aveva conosciuto Levi, poi, ogni volta che la faccenda veniva menzionata Emilia andava su tutte le furie. Era la sua migliore amica e non si sarebbe mai permessa di farla sentire in difetto, di conseguenza non le avrebbe mai detto che, esattamente come Levi, lei era molto più bassa considerando la media dei soldati, soprattutto dell'Armata Ricognitiva. D'altra parte, però, da quando la conosceva non aveva mai smesso di ripeterle che si trattava di una delle tante particolarità che caratterizzavano la sua persona e, dunque, adorabile. L'espressione sul viso di Emilia lasciò spazio a una smorfia entusiasta che manifestò afferrando la mano di Hanji e iniziando a saltellare sul posto «Devo farti vedere una cosa!»

     «Ma— Caposquadra!» Intervenne Sarah quasi portata all'esasperazione, Emilia aveva di nuovo perso l'appetito. Catturò un sospiro e trovò il coraggio di parlare «La cena è pronta, si raffredderà...» Entrambi gli ufficiali si voltarono in sua direzione, Emilia assunse una faccia quasi come se si fosse dimenticata della sua presenza e Hanji come se non l'avesse proprio vista. Successivamente a tentativi al limite del fallimento sia da parte di Sarah che di Hanji di convincere Emilia a mangiare qualcosa, alla fine la corvina si lasciò persuadere e, mollando a malincuore la mano dell'amica mettendo in mostra una scena quasi drammatica, si avviò assieme alla sua assistente verso la sala da pranzo, al piano di sotto.

     «Ci vediamo più tardi con Levi!» La salutò Hanji con un'espressione emozionata in viso, che appena Emilia si voltò cambiò radicalmente con una faccia più seria facendo rabbrividire leggermente Sarah che la stava ancora guardando «Falla mangiare,» e la castana annuì consecutivamente, terrorizzata.


     Le due apparvero in sala da pranzo dopo che Emilia spalancò la porta facendo voltare i presenti subito in sua direzione. «Scusate il ritardo!» Proclamò avvicinandosi al tavolo e mettendosi seduta a capotavola. Alcuni di loro avevano già preso posto mentre altri, nell'attesa, stavano passeggiando per la stanza, i piatti ancora vuoti ma al centro del tavolo era posizionata una pentola dalla quale sfuggiva una nuvola di vapore che si liberò nell'aria e specificava che nascondesse all'interno qualcosa di bollente; a catturare l'attenzione di Emilia, però, e a farle continuamente annusare l'aria nel tentativo di intercettare quel profumo particolare, fu l'odore pungente di qualcosa che in una zuppa non era consueto trovare. «Cos'è questo profumo?» Chiese.

     «Una bizzarra zuppa per cavalli,» ridacchiò Klaus, lanciando un'ambigua occhiata al povero Kurt, che nel frattempo sembrava che stesse cercando di sparire talmente tanto era chiuso nelle spalle. «Il piccoletto ha scoperto che la sua caposquadra ha un amore spassionato per i fiori» Continuò il moro attenuando la voce e parlando come se stesse beffeggiando il ragazzino «E dato che è appena entrato in squadra, desiderava fare colpo su di lei con una ricetta particolare» Concluse Wolf incrociando le braccia al petto assumendo un'espressione soddisfatta.

     «Hai cucinato tu?» Emilia si rivolse direttamente a Kurt con gli occhi spalancati dentro ai quali il giovane soldato riuscì a riflettersi, avvertendo le guance scaldarsi leggermente e assumere lo stesso colore dei suoi capelli. «È una ricetta di mia madre» Balbettò lui distogliendo lo sguardo «Me l'ha insegnata lei, è fatta con i fiori di campo.»

     «È una zuppa di fiori?!» Esclamò la corvina incapace di trattenere la sorpresa aumentando sempre di più il tono di voce.

     «Forse l'aspetto non è dei migliori, la sua era decisamente più bella a vedersi. Ma con il sapore ci dovremmo essere... il profumo è sicuramente quello.» Continuò Kurt talmente tanto rosso in viso che sarebbe potuto benissimo essere seppellito in giardino e essere scambiato per un pomodoro dell'orto. Klaus versò la zuppa nel piatto di Emilia e lo posizionò direttamente sotto il suo naso «Ma è viola!» Esclamò lei colta da un fremito eccitato.

     «Sì, qui fuori ci sono parecchie viole.» Farfugliò Kurt osservando la caposquadra che afferrava il cucchiaio e portarsi un po' di zuppa alle labbra assaggiandone un sorso. Il profumo pizzicava le narici proprio come i fiori che si trovavano nei campi esterni e soprattutto che ricordava erano distribuiti anche nel bosco vicino casa sua. Le sembrò di trovarsi in piena primavera, all'ombra di uno dei suoi alberi con il cestino al suo fianco pieno di fiori. Ne assaggiò un altro sorso prima di decretare a gran voce: «Ma è deliziosa! L'odore, amo questo odore!» Esclamò sempre più euforica. «Kurt Hartwin — lo indicò con il cucchiaio vuoto e un'espressione improvvisamente seria. Si alzò in piedi e la sedia si ribaltò all'indietro, Kurt sussultò deglutendo a fatica e strinse l'orlo della camicia tra le dita strabuzzando appena gli occhi — Ti dichiaro ufficialmente come Mastro Cuoco della squadra!» Annunciò con tale teatralità che strappò una risata a tutti i presenti. «Dovrò assolutamente passare la ricetta a mio padre.» Sussurrò tra sé una volta tornata seduta. Perfino Kurt allentò i propri nervi.

     «Suo padre è un cuoco?» Domandò curioso il ragazzino dai folti capelli rossi, preso alla sprovvista dall'ultima affermazione della caposquadra. Sapeva così poco di lei che anche il minimo accenno alla sua vita privata era un'informazione preziosa per lui, e per tutti gli altri. «Oh, sì.» Rispose distrattamente la corvina. Come sempre, a chiarire i dubbi del povero Kurt intervenne immediatamente Sarah.

     «La famiglia di Emilia possiede una locanda nei pressi del Wall Sina, giusto caposquadra?» Si rivolse a Emilia che continuava a mangiare con aria riflessiva, anche tutti gli altri puntarono l'attenzione su di lei aspettando pazientemente una risposta, curiosi.

     «Esatto! E mio padre è un cuoco davvero eccezionale» Disse «Una sera vi porterò tutti quanti a cena a casa mia!»

     La cena si concluse una mezz'ora dopo, per niente turbati che fossero in presenza di un superiore, i ragazzi si sentivano liberi di esprimere scherzi e battute su qualunque genere di argomento stavolta alimentati dalla stessa Emilia ponendosi a capo dei pettegolezzi e chiacchiere varie. Fino a quando non fu ordinato di ritirarsi per la notte.

     «Mi raccomando, ragazzi. Andate subito a dormire, non fate troppo i romantici a guardare le stelle» riservò un'occhiata maliziosa in particolare a due dei suoi ragazzi che si stavano allontanando insieme verso l'uscita «Mi riferisco soprattutto a voi due, Sarah e Klaus» i due incriminati appena sentirono menzionare i loro nomi sussultarono all'unisono, lanciandosi uno sguardo tanto imbarazzato quanto disgustato. Emilia non faceva altro che supporre una loro probabile relazione ogni volta se ne presentava, anche la minima, occasione, ma tra quei due non correva altro che antipatia reciproca. Lei fu l'ultima ad alzarsi e uscire, chiudendosi la porta alle spalle; ma anziché proseguire dietro alla sua squadra si mosse in direzione della cucina che si trovava proprio di fianco e si immobilizzò a osservare la persona che stava appoggiata al muro: braccia incrociate, capo chino a nascondere gli occhi sotto il ciuffo di capelli scuro, e la schiena poggiata pigramente alla parete.

     «Si chiamavano Michael Lagner e Sophia Humbert, hai invertito i loro cognomi.» Disse Levi, lievemente infastidito, ma sicuramente molto più tranquillo rispetto a come si erano lasciati quel pomeriggio. «Se vuoi fare l'orgogliosa, almeno assicurati di farlo bene.»

     «Ci ho provato,» commentò Emilia alzando le spalle con disinvoltura «Mi ricordo le loro facce, è sufficiente. Non posso neanche nascondere gli scheletri nell'armadio dal momento che i loro corpi non sono stati ritrovati.» Abbozzò a un sorriso divertito.

     «Fai schifo.» Commentò decisivo Levi prendendo a camminare in direzione della piccola cucina del Quartier Generale, che era stata adibita a tutto il necessario per sembrare, almeno vagamente, un posto in cui cucinare. Emilia lo raggiunse e gli circondò nuovamente, per la seconda volta, sempre con l'intenzione di infastidirlo, il collo con il braccio. «Ma smettila, scherzavo! Uffa, quanto sei noioso»

     Lui le dedicò un'occhiata folgorante e decisamente tagliente, se uno sguardo avesse potuto affettare la carne come facevano le lame delle spade, Emilia era convinta che le occhiate di Levi avrebbero potuto trafiggerla in due con un colpo solo. Poi aggiunse: «Muoviti, la Quattrocchi ci aspetta. Speravo che si scottasse con il tè, almeno chiudeva un po' quella bocca. E non toccarmi.»

     «Insomma!» Si lamentò la corvina spostando le mani sui fianchi assumendo l'aspetto di ammonizione «Sei davvero perfido. Dimmi, Levi, senza di noi come passeresti le tue noiose serate, eh?» Lui non dovette riflettere troppo sulla risposta da dare, che arrivò a Emilia veloce come una freccia appena tirata. «A godermi il sacrosanto silenzio.»

     «Già, che noia! Per fortuna che ci siamo noi!» Enfatizzò la collega allargando le braccia dando vita all'ennesima scena esagerata. Dopodiché rivolse a Levi uno dei suoi sorrisi più belli; quelli sinceri, autentici, che sprigionavano una pizzico di gentilezza e che avevano l'aspetto di essere contagiosi. Di quelli che scaldavano il cuore. Ma non a Levi, che non accennò a nessun mutamento di espressione ma, anzi, le lanciò l'ennesima occhiataccia acuminata con tutta l'intenzione di farglielo sparire, quel sorriso dalla faccia. Poi, poco prima di entrare in cucina, borbottò sottovoce: «Sì, il diavolo e l'angelo della morte.» 








❪ 注意。❫ ⤸
𝔞𝔲𝔱𝔥𝔬𝔯'𝔰 𝔫𝔬𝔱𝔢𝔰


Non posso dichiararmi completamente soddisfatta, ma neanche totalmente delusa. Sono a metà tra l'insoddisfazione perché vorrei che fosse qualcosa di più, vorrei aggiungere qualcosa in più, e la rassegnazione perché secondo le mie previsioni più di questo non può essere... trattandosi comunque di una storia lunga, perché alla fine ci vorrei arrivare con il personaggio di Emilia spiegato alla perfezione e che abbia un senso, mi prendo il mio tempo per fare tutto molto con calma. Perciò questo capitolo serve per dare qualche spiegazione in più sul motivo per il quale Emilia è considerata un po' il peggior caposquadra, qui appare come l'insensibile che viene effettivamente definita. MA, la sua invenzione è rimasta un segreto un po' troppo a lungo... u think?
Una cosa è certa, a Emilia piace spalancare le porte. 

Capitolo forse un pochino lento e noioso ma che accenna a un po' di cose. Spiegare tutto subito non fa parte della mia persona nemmeno quando faccio gli esami, figuriamoci. Però fondamentalmente pienissimo di scene fluffissime — le mie preferite, sincera — e quindi letteralmente la mia reazione durante tutto il tempo in cui scrivevo il capitolo SOPRATTUTTO la scena con Hanji vi prego io le amo insieme:

(le mie reazioni fatte a memini seguiranno imperterrite tutti i capitoli i warning ya <3)

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