5.3 • Voci nella testa
«Brutto figlio di...»
Mi giro di scatto e ruoto la scure fino a indirizzare il manico metallico contro il fianco di Enn sperando di stordirlo, ma blocca l'attacco e spezza l'asta in mille scintille luminose.
Siamo ancora immersi nelle tenebre, infatti davanti a me scorgo a fatica mani delicate e dall'incarnato chiaro, poi braccia scoperte e morbide. Due spalline sottili scivolano per qualche centimetro lungo le sue spalle, scosse dall'energia del colpo appena ammortizzato. Queste ultime sembrano sorreggere a stento un vestito leggero che so essere cosparso di fiori colorati, adesso resi scuri dalla mancanza di illuminazione. Le ginocchia, invece, piegate in posizione di difesa, si intravedono appena e lasciano la scena alle gambe esili e lisce. Malauguratamente, il mio sguardo risale la vita stretta, il busto pieno e infine supera il collo, raggiungendo i suoi occhi pallidi, gelidi e terribili, le uniche fonti di luce in quest'orribile buio. Non gli perdonerò mai di aver preso le sembianze di Agata, è l'ultimo folle insulto che porta a termine.
«Ale, calmati adesso, ti devo spiegare e non abbiamo tutto il tempo del mondo».
La sua voce fredda e meccanica permea l'intero ambiente, come se non avesse una sorgente precisa e scaturisse dall'aria stessa.
«Dov'è lei?!» Grido a squarciagola, rischiando una lacerazione alle corde vocali. No, credo non sia possibile, è uno degli infiniti lati positivi di questo mondo immaginario: il mio vero corpo non subisce conseguenze. In ogni caso, l'urlo mi dona la carica necessaria per lanciarmi contro il riflesso e tentare un placcaggio. Purtroppo, Enn reagisce subito diventando intangibile e io mi schianto rovinosamente sulla sabbia granulosa, stringendo al petto solo qualche piccola nube densa e scura.
«Devi ascoltami. Se non ci riesci con le buone, mi costringi a cambiare metodo».
Le catene con cui lo avevo imprigionato schizzano verso i miei polsi e le mie caviglie fissandomi al terreno, che si solleva e si inclina quanto basta per farmi sentire sdraiato su un letto d'ospedale. Il bastardo guadagna nuovamente forma fisica, per fortuna con il suo classico aspetto mascolino, quindi piega il busto e applica con forza una striscia di nastro adesivo sulla mia bocca, rischiando un morso.
«Woah, a cuccia, Fido. Se avrai pazienza libererò Agata, che sta bene, e potrai rivederla. Siamo d'accordo?»
Aspetta un cenno d'assenso, che gli concedo dopo qualche istante di riflessione. È ovvio che starò al suo gioco, ho perso i poteri e mi sembra già abbastanza strano essere ancora "sveglio", la fase rem è terminata da un po' e sto lentamente uscendo dal sonno profondo.
Enn sorride con fare condiscendente e si siede a gambe incrociate di fronte ai miei piedi, osservando il suolo. Recupera qualche pietra dalla sabbia sotto di noi e se la passa fra le mani, come faccio ogni volta che sono da solo in spiaggia.
«Ti piacciono le conversazioni che partono alla lontana, io lo so, quindi spero di non deluderti con questo inizio».
Il buio svanisce, sostituito dall'atmosfera carica di sole e salsedine che tanto detesto in generale, ma che ora accolgo al pari della Manna, ero stufo delle tenebre. È vero, scendo in Calabria tutte le estati con la mia famiglia, ma più per obbligo morale verso gli altri parenti che per effettiva voglia di tintarella... o almeno, io la vivo in questo modo, preferirei restare un lenzuolo. Enn conosce i bisogni della mia pelle sensibile e materializza un grosso ombrellone. Spero non si aspetti un "grazie", mi deve molto altro. Resta in silenzio qualche secondo, permettendoci di ascoltare l'infrangersi delle piccole onde caratteristiche di un mare placido e privo di bagnanti.
«Se Agata è la tua stella, io sono il tuo mare. Non ho una forma definita, posso essere calmo o rumoroso, e soprattutto il mio corpo sembra interamente composto da acqua rosea e marroncina. Menomale che lo Ionio si mostra con sfumature azzurre ben più invitanti delle mie, no?»
Pian piano che prosegue, la sua voce e il suo aspetto si fanno docili, accoglienti. È esattamente il comportamento che ha adottato prima di riesumare i ricordi dell'incidente di marzo, forse c'è davvero una ragione dietro la sua ostilità, magari ascoltandolo ho la possibilità di salvare Agata.
Senza cambiare posizione, scaglia una pietra piatta contro la superficie marina e la osserva allontanarsi un salto alla volta, fino a perdersi al largo tra i flutti.
«Mi odi perché non percepisci il quadro completo. Come mai mi comporto male con te? Cos'ho contro Agata, e perché l'ho aggredita soltanto adesso? Dove l'ho nascosta? Ah, ultimo ma non ultimo, come fai a essere ancora cosciente. Sono tutte domande tue».
Facendo perno sul braccio destro, allunga le gambe e torna in piedi con una piccola giravolta, indirizza il volto verso di me e si mette in una posa che interpreterei come un "ta-dà" di soddisfazione. È davvero strano osservarlo quando si comporta da bambino. È Comunque inquietante, ma più umano.
«Inizio a risponderti dalla fine, dall'interrogativo meno complesso. Mio caro, quello in cui ti trovi adesso è un normalissimo sogno in cui ho io il controllo, ma ho deciso di tenerti lucido. Muovermi secondo le tue dannate regole non porta nessun beneficio, perciò ho deciso di fare di testa mia, visto che a quanto pare, quando i tuoi poteri sono azzerati, ne sono in grado. Questo è il secondo esperimento che compio sul sonno, il primo è stato escluderti completamente dalla lucidità, ieri notte».
Allora è stato lui a impedirmi di prendere il controllo? Pensavo fosse un problema d'ansia, è mai possibile che riesca a surclassare la mia volontà tanto facilmente?
«Non... distrarti!» Si batte i pugni sul petto due volte, richiamando la mia attenzione. «Tu mi hai creato avendo una precisa idea in mente, che si è fissata, cementata nel mio cervello!»
Sbatte con violenza gli avambracci sul bordo del giaciglio sabbioso dove mi tiene prigioniero, generando un tonfo sordo e spaventandomi non poco.
«Aspetta, aspetta, sono calmo, non fare quella faccia».
Trema, ma non quanto me. Mette le mani avanti e sorride nervosamente. Ora mi fa paura sul serio, è impazzito.
«Dicevo... no, non un ammasso di tentacoli, non avevi quello in mente, bensì una versione rozza, istintiva e brutale di te stesso, esattamente come ti hanno insegnato. L'Es, giusto? Così lo chiamava Freud, e ti sei fatto influenzare perfino dalla sua definizione, "ribollente". Mi dovresti delle scuse per l'aspetto terrificante che mi hai conferito ma, lo ammetto, hai delle buone attenuanti, ora ci arrivo. Io non sono il tuo vero inconscio, dopotutto non potresti conoscerlo, nemmeno qui nei sogni, solo io devo averci a che fare, per colpa tua, perché mi hai reso l'intermediario fra voi! Non so come sia stato possibile, probabilmente è dipeso dal livello di coscienza che riesci a raggiungere nei sogni lucidi... ma sto divagando».
Mi dà le spalle e si allontana, infilando e agitando le mani fra i suoi ricci densi e gelatinosi, quasi come se si stesse grattando via il cuoio capelluto.
«Ale, io sono la tua personale interpretazione di come dovrebbe essere un subconscio, con l'aggiunta di qualche dettaglio strano qui e là dovuto alle manipolazioni involontarie, il minimo indispensabile per rendermi un bastardo, come ami chiamarmi. Beh, il fatto che non siano state scelte ragionate mi permette di essere generoso, ti concedo delle attenuanti, contento?»
Completa il cerchio che sta disegnando sul suolo col suo passeggiare intorno al letto-prigione e mi rivolge uno sguardo torvo.
«Le manipolazioni involontarie su cui discutevi prima con la tua fidanzatina, cioè, la fantomatica via di mezzo, ecco, io ne faccio parte. Tu non crei un inconscio, crei un Enn. Non fai apparire stelle, ma una loro interpretazione filtrata dalle tue conoscenze. Generi simulacri che possono funzionare solo perché finti, immaginari. Agata però è diversa, eccome se lo è, te lo concedo, è fortunata la stronza. Non ha origine da un tuo desiderio. E poi, Alessandro, pezzo di letame, lei non ha delle voci in testa che le dicono cosa fare!»
Enn si avvicina al giaciglio sabbioso e finalmente lo trasforma in un letto vero, purtroppo aggiungendo anche una camicia di forza intorno al mio corpo. Comincia a mancarmi la capacità di parlare, vorrei sommergerlo con centinaia di altre domande.
«"Enn, devi spaventarlo, trasferisciti sul balcone di Giulia, solo così potrai aiutarlo, solo così affronterà i suoi traumi". Devo andare avanti o hai compreso? Queste sono le parole che mi rimbombano nel cranio da sempre, quelle che il tuo terrificante inconscio ha deciso di marchiare a fuoco nella mia mente. Tu non stai bene amico mio, oh no, non sei mai stato bene, Agata ne è la prova vivente, da anni ormai».
Anni?
In che senso, anni?
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