4.4 • Dolori esposti
Spalanco il portone e scatto all'interno del corridoio, impedendole di continuare il discorso.
«Sali».
Volevo risultasse più come un invito che come un ordine, ma nella mia testa echeggia soltanto un mantra, capace di distrarmi totalmente dal controllo del tono, infatti non ascolto nemmeno la sua risposta.
"Leggi tutto, leggi in fretta", continua a ripetermi il cervello, ormai succube della paura.
Gli ostacoli che conducono al Regno, e più precisamente al computer, sono muri dotati di maniglia, che abbatto scorrendo il mazzo di chiavi da demolizione e scegliendo quella corretta, in sequenza. Gialla per il portone intermedio in cima alla scalinata di pietra, blu per l'entrata effettiva. Non mi preoccupo di chiudere niente, lasciando l'arduo compito alla dama elegante che cerca di tenere il passo dietro di me.
Come ha detto, "Saresti capace di incendiare il mondo col tuo sguardo"? Quelle parole cercano di farsi largo a spintoni nella mia bolgia mentale, rendendo meno impellente la necessità quasi fisica di leggere le sudate duemila pagine di sogni e ricordi. Nessuno mi aveva mai parlato, e forse proprio guardato, in quel modo. Possibile che la semplice idealizzazione di come si aspettava fossi, abbia portato ad un risultato del genere nei suoi livelli di ossitocina? Oppure c'è altro di vero, un sentimento serio, derivante dalle nostre minime interazioni?
"Leggi tutto, leggi in fretta". Giusto, al resto penserò più tardi.
Mettendo piede in casa, lo stomaco mi si contorce, dopotutto non l'ho neanche ricompensato con il cornetto caldo che gli avevo promesso come premio dopo l'attività fisica, e intendo lasciarlo a digiuno finché non sarò venuto a capo della situazione. Rivolgo la mia attenzione all'orologio analogico in cucina che segna le otto, probabilmente Lucrezia ancora dorme, quindi è meglio salire le scale senza troppa foga. La porta chiusa della sua stanza potrebbe essere una conferma, ma non intendo bussare per accertarmene e ritrovarmela davanti in vestaglia.
Aspetto di vedere Chiara fare capolino in casa e mi precipito sulla scala a chiocciola, facendole segno di seguirmi a sua volta e intimandole di limitare il rumore, ponendomi l'indice dritto davanti alla bocca. Ovviamente dimentico di avvertirla riguardo al quarto scalino, che scricchiola a prescindere dalla pressione applicata su di esso. Durante il giorno non ci si fa caso, però nel silenzio totale risuona fragorosamente, difatti a contatto con le scarpe da corsa di Occhioni Blu un suono cigolante riempie l'appartamento, prima quieto e timidamente illuminato dalla giovane luce solare. Ci paralizziamo, io in cima alla rampa e lei a metà, in attesa di udire un indizio rivelatore dell'eventuale risveglio di mia sorella.
Tutto tace, perciò riprendiamo a respirare. In realtà non ci sarebbe alcun motivo per questa tensione: Lulu sa che piaccio alla sua amica e sarebbe solo contenta di vederla qui, ma al momento le questioni in sospeso fra noi avventurieri mattutini rendono complesso mettere in ordine i pensieri e gestire le emozioni. Come se non bastasse, una volta entrati in camera, Chiara mi lancia un'ulteriore frecciatina.
«Prima non avevo finito, lo sai vero?»
Le dovrei una spiegazione, un conforto, un abbraccio, un bacio forse?
Non faccio niente di tutto ciò.
«Abbiamo tempo, dopo».
Ci accomodiamo esattamente come l'ultima volta in cui è stata qui, Occhioni Blu sul divano arioso e io sulla sedia del pc, eppure adesso nessuno dei due riesce a rimanere composto. Lei si guarda intorno nervosa, facendo guizzare le pupille da un quadro all'altro, mentre io ruoto di qualche grado a sinistra e a destra la sedia, come un pendolo orizzontale.
«Lo hai disegnato tu?»
Nemmeno il tempo di sedersi che torna ben dritta sulle gambe scoperte e slanciate, andando ad accarezzare la cornice del Lichtenstein rielaborato goffamente.
«Sì, alle medie, non è malaccio».
Conficco nervosamente la USB nella sua porta e una campanella sintetizzata conferma il riconoscimento del dispositivo, così poggio la mano sinistra sulla tastiera meccanica e l'altra sul mouse a sensibilità regolabile, pronto a farmi strada in quel labirinto ad immagine della mia memoria.
L'ospite intanto continua la sua perlustrazione del Regno, toccando il modellino navale a scala ridottissima, i tre cubi di Rubik, da quello piccolo a due spigoli a quello massiccio che ne conta quattro. Apro Word e il diario viene caricato senza alcun problema, evento che mi scatena un sospiro profondo e rilassato, seguito da un sorriso più ebete del solito.
Con la coda dell'occhio, noto che Chiara è ferma da un po' alla mia destra, di fronte alla libreria accanto alla porta d'ingresso. È il mobile più confuso della stanza, riempito da libri scolastici, fumetti, vecchi minerali e il pugnale comprato a Toledo.
«Tutto bene, Chiara?»
Si volta, pensierosa.
«Sì, continua pure».
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