33 ◌ ας πάμε σπίτι

Molto spesso, chi non può permettersi un libro nuovo o chi è alle prime armi con la lettura ma sente questo bisogno incessante di ricoprire le proprie giornate con le pagine di un buon racconto, cerca in casa. Quella libreria da cui passiamo giornalmente ma alla quale non abbiamo mai dato l'importanza dovuta, quella libreria che serviva come poggia oggetti senza constatare che aveva qualcosa di essenziale in sé. Quindi tocchi mille copertine, e ne scegli uno. Un titolo che picchietta incessantemente nella tua testa, che incomincia a formulare domande che ti spingono a prenderlo e a sfogliare le pagine. Com'è, di cosa parla? Ti piace ciò che emana? Il suo profumo si sente abbastanza oppure è svanito nell'aria? Le pagine parlano? Se è essenziale come sembra, quella lettura, allora vale la pena incominciarla.

Ecco come sceglievo cosa leggere. Ecco come mi ero approcciata alla lettura, e successivamente alla scrittura. Volevo veramente che quei libri mi insegnassero qualcosa, anche solo su quale spalla piangere dopo una delusione amorosa. E riprendendo quei vecchi libri, i primi che mi hanno aiutato a coltivare questa passione, vedendo come li trattavo, cosa sottolineavo, si può capire tanto di un periodo. Di quello che qualcuno reputa importante in una determinata fase della propria vita, quello che spinge una persona a dire "cavolo, dov'è la matita?" per sottolineare o appuntarsi la frase. O per scrivere qualcosa che una semplice parola ha ispirato.

Il libro di Platone era stato cosi tanto legato sulla mia vita che quasi faceva parte di me. Me lo ero dimenticato completamente. Con l'aiuto di Calum lo liberai dalla cinta della mia tunica e lo sfogliai durante il tragitto rimanente verso il Tempio di Dodona, sperando che ci fossero ulteriori risposte. Leggere un libro di una determinata epoca inevitabilmente ti porta indietro ad immaginarti come doveva essere vivere a quel tempo. E quando hai la strana fortuna di capitare così indietro negli anni come era successo a me, ti cambia completamente. La gente incominci a guardarla diversamente. Per quanto una persona colta possa considerarsi di larghe vedute, avrà sempre il suo recinto di pregiudizi a tenerlo protetto dal vero mondo esterno, e così agivo io. Reputavo ignorante chi non toccava un libro, chi non sapeva parlare correttamente la lingua o chi aveva interessi spiccioli come lo sport, a mio parere. Eppure mi fermavo lì, come si fermano tutti, all'apparenza. Non andavo mai oltre quello che la gente affermava o voleva far vedere di sé. In tutti i libri che leggevo invece, mi era stato insegnato l'opposto e non l'avevo mai colto. Quanto diversa ero dalle persone che criticavo?

Tutto quel viaggio me lo aveva fatto capire. Odiavo i miei coetanei perché non potevano capire i miei ragionamenti, ma viceversa loro odiavano me perché non ero sciolta abbastanza da sentire quel che avevano da dire. Mi sentivo sbagliata di partenza in un'epoca che non sentivo mia, senza però darle un'occasione. E avevo giudicato male, anzi malissimo, il mio compagno di viaggio al mio fianco per il suo incessante amore nei confronti dello sport, quando era legato ad altro, avevo dato per scontato che un gossip tra i corridoi di una High School fosse vero senza preoccuparmi del perché quella diceria facesse male alle persone coinvolte. Ero stata superficiale, dunque perfettamente omologata a quella società che tanto odiavo. Nulla mi rendeva diverso da ciò che volevo allontanare da me.

Ma la presa di coscienza è il primo passo per andare avanti.

«Tra poco farà le fusa» commentò Calum, destando la mia attenzione dai miei pensieri. Lo guardai stranito, inclinando la testa di lato.

«Come dici?»

«Il libro. Lo stai accarezzando da così tanto tempo assorta nei tuoi pensieri che ora prenderà vita e ti farà le fusa come un gattino.» Abbassai la testa per guardare il punto che stava fissando e notai il movimento involontario della mia mano sulla copertina del libro. Lo stavo davvero accarezzando. Lo facevo sempre, in realtà. Mi piaceva tastare con mano quello che la mia mente avrebbe assimilato, era come dare una forma concreta alla dimensione in cui mi sarei immersa grazie alla lettura. Riposi il libro di lato, sul sedile del carro e mi girai verso Calum, che invece era impegnato a godersi le vaste pianure verdi della Grecia intoccate dalla civiltà.

«Ci stiamo avvicinando» disse, notando il mio sguardo su di lui.

«Oh, ora sei anche un veggente?»

«No, lo vedo» ridacchiò e me lo indicò con l'indice. Seguii la direzione del suo dito fino a scorgere all'orizzonte una collina piuttosto innalzata con in cima una sorta di anfiteatro greco. Ansimai per un attimo, come se quel lungo tragitto volesse porre fine a tutto quello che avevo conquistato, ai miei pensieri, i miei cambiamenti, i miei sentimenti. Sarebbe finito tutto da lì a poco, non sarei stata più libera come mi sentivo lì, lontana da casa, non sarei stata più me stessa.

«Non voglio tornare a casa» dissi solamente. Sapevo che lui non provava ciò che provavo io ad essere lì, lui sperava di poter tornare alla normalità, alla sua vita. Lui aveva una ragione lì, io no.

«Perché?»

«Perché io non ho una squadra che sente la mia mancanza, non ho un team sul quale contare o una popolarità che potrebbe sanare la mia mancanza di amicizie. Tu hai tutto questo. Io tornerò lì e avrò solamente-»

«Una famiglia che ti ama, Michael e Luke che pendono dalle tue labbra. E un nuovo amico» mi interruppe, distogliendo lo sguardo dal paesaggio per concentrarsi sui miei occhi. Sussultai appena quando mi guardò e sospirai, alzando le sopracciglia poco convinta.

«Quindi mi stai dicendo che saresti mio amico lì nella normalità?»

«Sì. Cioè, non lo so, se tu vuoi uscire potrei invitarti a prendere un milkshake o non so, come ti è più comodo, non lo so proprio-»

«Hey Calum, frena. Non intendevo...» sospirai, sentendo le guance andarmi a fuoco. Perché fraintendeva sempre qualsiasi cosa dicessi, perché non capiva mai? Intendevo solo dire che non pensavo volesse continuare a frequentare una palla al piede come me una volta tornati alla normalità, non volevo che capisse qualcosa di più.

«Come potrei non esserti amico, dopo un'esperienza simile? Cavolo Bibi, penso si sia capito che mi sono affezionato a te. E no, non solo perché il destino ci ha voluto qui entrambi, ma perché era inevitabile. Penso che piaceresti a chiunque se solo mostrassi la vera parte di te come l'hai mostrata ai tuoi amici, o a me» si girò verso la strada, il tempio all'orizzonte era sempre più vicino e ormai sentivo quasi nei polmoni lo stesso odore di smog che c'era nella nostra epoca. Sentivo come se, nel momento in cui mi voltavo a vedere la strada percorsa dal carro, non vedessi nulla. Buio. Non volevo voltarmi, non volevo guardare quello che avevo lasciato alle spalle, per paura di perdere ogni singolo ricordo di quel posto. Lo sanno tutti cos'ha fatto Orfeo, no? Sono una donna, non sono mica stupida.

Per il resto del viaggio mi limitai a guardarmi intorno. Era da parecchio che non mi fermavo ad osservare quello che mi circondava, lasciandomi inglobare completamente da ciò che avevo attorno. I cavalli correvano veloci e con Calum avevo raggiunto un livello di confidenza tale che era poggiato sul mio grembo e gli accarezzavo i capelli distrattamente, troppo presa dal mondo circostante. Aveva preso il posto di quel dannato libro, e ora accarezzavo i suoi capelli. Dopo la sua uscita, dopo aver capito che forse aveva inquadrato il mio punto di vista e guardavamo il mondo dallo stesso obiettivo, decisi di non rispondere. Ogni volta che rispondevo risultavo aggressiva, sulla difensiva, pronta a ferire la gente senza scrupoli, così pronta in battaglia che pensavano tutti fossero mosse premeditate. Il mio carattere era così: non sapevo tenermi nulla per me, non un sentimento, non uno stato d'animo o un pensiero. E nessuno aveva mai amato un carattere irruente come quello, nessuno amava scontrarsi con una personalità forte.
Mi dispiaceva essere quella che ero. Non sempre le insicurezze nascono dal nostro aspetto esteriore, molto spesso anche nella consapevolezza del proprio carattere. E proprio chi sembra perfettamente in sintonia con sé stesso, soffre maggiormente perché la battaglia è più ardua ed insistente.

«A che pensi?»

«Ma tu non sai stare zitto?» Eccola lì, sempre in agguato. L'aggressività. Non pensavo più di due secondi prima di lasciare il via libera alla mia bocca, senza tenerla a bada o, che so, collegarla al cervello. Lui aveva notato che ero pensierosa e lo avevo apprezzato, ma non sapevo mettere in pratica la mia emozione, avevo paura di sembrare patetica mostrandomi appagata o riconoscente, quindi saltavo sulla difensiva.

«Hai la faccia accartocciata» rise di gusto, alzandosi da quella posizione stesa, prendendo prepotentemente il libro per giocarci annoiato.

«E cosa vuol dire?»

«Vuol dire che la tua faccia è così» e attribuì alla sua descrizione anche un contributo visivo, mostrandomi la sua faccia pensierosa, con la fronte aggrottata e gli occhi stretti in due fessure. Gli sorrisi, continuando a vedere il tempio ormai imminente, mentre i cavalli rallentavano la corsa per accostare il carro. Quasi avevo un attacco cardiaco.

Scesi dal carro emozionata, riprendendo il libro dalle sue mani. Lui lo riprese e mi accarezzò un fianco con una mano, sussultai per il contatto nuovo a cui mi aveva esposto.

«Posso?» chiese, alludendo alla cinta della mia tunica. Sospirai pesantemente prima di alzare appena le braccia e lasciare che mi allacciasse in vita il libro.
Non mi sarei mai aspettata quel contatto così presto, ero completamente fuori dal mondo se si parlava di relazioni sentimentali. E con fuori dal mondo, intendo fuori dal mondo reale. Le avevo sempre vissute attraverso i libri, ma mai avrei pensato che grazie ad un libro ne avrei provato l'ebbrezza.

Dopo aver allacciato il libro sulla mia vita, mi sfiorò il braccio verso il basso, prendendomi per mano. Anche lui era agitato, le sue dita tremavano.

«Torniamo a casa.»

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