24 ◌ Mothers and travels.

Quando Luke e Michael ritornarono da scuola, Harry e Louis parlarono della loro visione complementare che avevano avuto quella mattina. Morfeo aveva fatto in modo che entrambi sognassero qualcosa, che insieme potesse fondersi per creare una pista chiara per tutti loro.

Dall'alto della sua zona di lavoro, però, Morfeo voleva urlare. «Oh miei Dei, perché è così difficile?» esclamò frustrato alzando gli occhi verso l'alto, rendendosi conto che in realtà, aveva ben poco da guardare.

Il paradiso moderno era qualcosa di così finto da sembrare di plastica.

Morfeo alzava gli occhi sperando che ricongiungendo Louis ed Harry al passato, potessero tornare tutti nel passato. Era così frustrante star lontano da Hermes, ed era così frustrante stare lì, in mezzo alle anime dei mortali. Non era qualcosa che riguardava il suo potere, non c'entrava niente con le anime eterne di persone che non sogneranno più.

Morfeo ogni volta che guardava in alto, si sentiva mancare l'aria –anche se non ne aveva mai avuto bisogno. Sapeva che non poteva andare oltre il cielo del paradiso moderno, che nel mondo attuale c'era un freno a tutto, anche alla vita dopo la morte. E più guardava in alto, più sentiva sempre di più quella cupola di vetro che era l'aldilà moderna, piena di false promesse per i mortali.

Gli venne un brivido, ma tornò al suo lavoro.

«Capisci Luke?» La voce di Harry era entusiasta, esaltata, non riusciva a fare altro che blaterare parole sconnesse, «C'è un monte qui vicino con un Dio sopra, lì, lì è dove dobbiamo andare!»

«Dobbiamo andarci di notte» aggiunse Louis, senza però voler interrompere le parole del suo amato che sembrava così gasato nel raccontare il tutto. I suoi ricci ondulavano impazziti cercando di star dietro ai movimenti frenetici della sua testa.

«Non ho capito di cosa state parlando... Luke, hai qualcosa da mangiare?» Michael, che non aveva ancora poggiato il suo zaino tanto era stato investito dai due immortali, si ricordò della sua tremenda fame. Per quanto la scuola mettesse a disposizione un servizio mensa e una caffetteria, niente riusciva a soddisfare il palato sopraffino di Michael Clifford. Infatti, dopo aver buttato la cartella che aveva sulle spalle in un angolo dell'ingresso, era andato in cucina cercando qualcosa nel frigo. Luke invece, si era preoccupato di spostare tutti in soggiorno cercando di calmare le parole a raffica dei due greci.

«Ripeto. Qui in questo mondo avete una statua di un Dio sopra un monte. Io ho visto questo nella mia visione, ho visto che toccando la statua tutti contemporaneamente, riusciremo a raggiungere l'Olimpo»

«Non hanno l'Olimpo qui, amore» sussurrò Louis accarezzando la mano di Harry, che non badò molto alle parole del più grande. Non che gli importasse molto la differenza tra paradiso e olimpo, voleva tornare a casa, non scoprire cose sul mondo futuro.

«Io nella mia visione ho visto che la nostra spedizione è da attuare di notte, lontano dalla gente che può osservarci. Non serve arrivare in cima alla statua, basta essere ai suoi piedi. Ma nessuno dovrà essere in giro in quel momento» continuò parlando della sua visione Louis. Luke non capì inizialmente a quale statua si stessero riferendo, pensava al Lincoln Memorial della casa bianca, ma non era poi così tanto in altura come dicevano i due greci.

Michael, di ritorno dalla cucina con un pacco di patatine, si sedette al fianco di Luke, mettendogliele sul grembo per incitarlo a mangiare. «Figo, non sono mai stato a Rio».

«Rio?» esclamarono in coro i restanti tre. «Ma certo, Rio! Amore, sei un genio!»

«Amore» Harry e Louis prolungarono l'ultima lettera scimmiottando il piccolo Luke, prendendolo in giro amorevolmente mentre il biondino diventava rosso fino alla punta delle sue ciocche dorate. Michael, in tutto quello, non sapeva se essere lusingato dal nomignolo, o dal fatto che l'aveva definito genio. Decise di esserlo per entrambi.

«Cos'è Rio?» chiese Louis incuriosito. Harry stava per provare a teorizzare qualcosa, ma fu preceduto da Michael. «È una città del Brasile, dove c'è questa statua di cui parlate. Per quanto accurate le vostre visioni, non hanno capito che si trova oltre il confine della federazione. Ci costerà l'ira di Dio andare a Rio, come facciamo?»

Per quanto pronti per una missione avventurosa come quella, Michael e Luke dovevano fare i conti con la vita reale. Non avevano abbastanza soldi per far viaggiare quattro persone verso Rio in così poco tempo, senza un largo anticipo, soprattutto non sapevano quale scusa inventarsi con i loro genitori senza destare sospetti o, peggio ancora, avere risposte negative da parte di questi. Andava organizzato tutto nei minimi dettagli, andava trovato un giorno in cui la scuola non era importante o non c'era proprio, qualcosa che non facesse preoccupare i loro parenti.

Mentre pensavano a come fare in silenzio -con in sottofondo lo sgranocchiare delle patatine di Michael- suonò il campanello. Harry e Louis saltarono sul divano impauriti dal suono nuovo, mentre Michael li portava nella sala degli ospiti per paura che fosse la mamma di Luke. Il biondo invece, si preoccupò di aprire la porta.

Davanti a sé c'era una donna sulla quarantina, bassa e dai tratti asiatici che si torturava le mani e le labbra. Luke sapeva chi era, e non sapeva come comportarsi.

«Salve Signora Hood, posso esserle utile?» chiese cortesemente il ragazzino. La signora annuì freneticamente e fece un passo in avanti.

«Sono giorni che Calum non torna a casa, l'ultima volta che l'hanno visto è stato quando è venuto all'allenamento di basket ma il coach mi ha detto che non è tornato dopo la pausa. Luke, sei l'unico che conosco a cui posso chiedere, dov'è il mio bambino? Tu sai qualcosa? Non tenermi nascosto niente, è mio figlio, ho il diritto di saperlo...»

Luke alzò lo sguardo verso la strada, cercando di evitare gli occhi sofferenti di quella donna a cui mancava il suo bambino, nella speranza di trovare una soluzione lampo, quando notò sull'altra sponda della strada una signora in lacrime che affiggeva immagini di una ragazza ovunque poteva. Era la mamma di Brooke.

Il biondo deglutì, non sapendo realmente cosa fare. Si guardava intorno e solo ora si rendeva conto delle foto di Brooke e Calum affisse per tutto il quartiere, forse per tutta la città. Poi notò una pattuglia, e si rese conto che probabilmente non era passata inosservata la loro scomparsa.

«Mi dispiace» indugiò appena dondolandosi nervosamente sui talloni, «Signora Hood, non l'ho più visto da quell'allenamento. Ma forse... quella signora può aiutarla, non per trovare Calum, ma per aspettarlo. Anche sua figlia è scomparsa» le indicò la signora in tuta dall'altra parte della strada, che si asciugava le lacrime che imperterrite continuavano a scorrere sulle sue guance. Sapeva quanto la Signora Langdon tenesse all'immagine, era un avvocato di fama locale, certamente non era abituata a mettersi così a nudo. Ma per un figlio, anche il lavoro passava in secondo piano.

La Signora Hood lo guardò negli occhi e sentì che qualcosa Luke poteva nasconderla, ma allo stesso tempo si sentiva solo sopraffare dalle paranoie. Ringraziò silenziosamente il ragazzo e corse verso la signora, dicendole qualcosa che Luke non poté capire, ma sicuramente intendere. Erano due madri in pensiero per i propri figli, per ciò che di più importante avevano nella loro vita. Le due donne si abbracciarono, si strinsero e si abbandonarono ad un pianto consolatorio.


Vogliate scusarmi ma ho scritto questo capitolo dopo sei ore di prova di italiano, sono totalmente fusa.

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