Capitolo 3

La saliva mi va di traverso.

«Sto cercando di salvarti la vita, Evara. Ti sto offrendo una seconda possibilità.»

«La possibilità di uccidere qualcuno, di nuovo? Come proverebbe questo la mia innocenza?»

Lui abbassa lo sguardo. Allontanandosi da me, afferra un calice colmo di vino rosso e se lo porta alle labbra.
Corrugando la fronte, mi guarda in tralice.

«Accetti la sfida?»
«Prova a fermarmi.» dichiaro, abbassando la voce.
Il dio Asael ride, nelle guance si formano delle fossette. Ha le fossette.

Può sembrare che io abbia tutto sotto controllo, ma in realtà è l'esatto contrario.
Non so dove sono, e il motivo per il quale sono ancora viva.
E ora, come se la situazione non potesse peggiorare ulteriormente, un dio mi offre la libertà, ma ad un prezzo. Come faccio ad uccidere una divinità immortale?

Dei passi leggiadri si avvicinano.
Una chioma fulva entra nel mio campo visivo. Con la coda dell'occhio vedo Zareen impallidire, abbassare il capo e arrossire.
Sussulta visibilmente, forse intimorita dal silenzio teso in cui ci troviamo.

«Oh...scusate se interrompo...» sussurra con la sua voce acuta, guardando il pavimento.
«Non hai interrotto niente. Parla.» sputa acido il dio.
Sospiro rumorosamente e mi volto verso la dea.

«Vuoi accomodarti in una stanza, Evara?»
Non esito neanche un secondo. «Assolutamente no. Dormirò nella radura.» ribadisco con fermezza.
«Non accadrà. Tu resti qui.» conclude il dio. Lui increspa la fronte, lo sguardo vacuo.

Repentinamente la sedia su cui sono seduta stride. Mi alzo, e con i piedi nudi dolenti attraverso la stanza pregiata.
Stringo i pugni chiusi attorno all'elsa del pugnale, le nocche sbiancano. Varco la soglia del portone.
Avrò anche perso la vita terrena, ma non perderò la mia dignità. Non darò loro questa soddisfazione.

Uno spostamento d'aria improvviso, trattengo il respiro. Le gambe sono sospese in aria. Non trovo un appiglio, ma d'impulso porto le mani davanti al mio viso. Istintivamente mi preparo all'impatto della faccia contro il pavimento.

«Non andrai da nessuna parte finché ci sono io, Evara.»
Il sangue confluisce alle gote. Serro le palpebre, poi le apro e la prima cosa che vedo non è il suolo. È il sodo, tonico fondoschiena del dio, fasciato da un paio di pantaloni scuri.

Lo odio, ma con i denti mordo la lingua, stendo le labbra, godendomi la bella vista. Mi ha presa sulle spalle. Posso percepire i muscoli contrarsi sotto il mio peso. Con un braccio mi cinge la vita.
L'ira ribolle nelle mie vene.
Nessuno ha mai osato oltraggiarmi in questo modo.

«Lasciami. È un avvertimento.» dico, cercando di incutere timore. Ma, conoscendo il dio, temo di dover ricorrere a minacce peggiori.
Lui, come previsto, non reagisce alle mie provocazioni.
Continua a camminare, superando la stanza dove eravamo prima.

Impugno meglio il pugnale, puntando alla schiena. La lama affonda negli abiti.
Un liquido dorato, simile a quello nella radura, sgorga dalla ferita.

Il dio Asael grugnisce e sbuffa. Contro ogni mia previsione, lentamente mi poggia giù, e il suo sangue sgocciola sul pavimento.
Sembra che stia trattenendo il traboccante nervosismo, le iridi sono sempre più torve.
Poi solleva impercettibilmente gli angoli della bocca, formando delle adorabili fossette.
«Saresti riuscita a farmi del male, se solo non fossi un dio.» mormora, il sorriso beffardo giace ancora sulle sue labbra.

«Prima o poi riuscirò ad ucciderti, puoi scommetterci.»
Sotto il suo sguardo arrossisco ancora di più, non posso evitarlo. Con la poca dignità rimasta continuo a guardarlo. Non distoglierò lo sguardo.
Non sono codarda.

Neanche lui si arrende.
Sono così concentrata sui suoi occhi, che quando il buio è l'unica cosa che fisso, scuoto il capo.

La serratura di un portone scatta.
Oh, no.
Si è appena immerso nei guai, fino al collo.
Se prima non volevo ucciderlo, ora è la mia priorità.
Mi ha chiuso dentro una stanza. Al buio.
Mi scaravento contro la porta, sbattendo i pugni ripetutamente.

«Ti odio, ti odio, ti odio! Non riuscirai a tenermi prigioniera qui.» urlo, nella speranza che mi possa sentire.
Respiro profondamente, recupero la calma, sopprimendo e conservando la sete di vendetta. Mi liscio la veste, accucciandomi in un angolo polveroso. Ci sono dei divanetti e un tappeto, ma non usufruirò delle comodità divine.
Lascio che il buio si appropri anche della mia mente, che metta tacere i pensieri vorticosi e i brontolii dello stomaco.

«Devi essere prudente, Evara. Il destino della nostra famiglia dipende da te.» mi racconta mamma, dolcemente.
Mi accarezza la guancia ferita, lo sguardo tenero ispeziona il mio volto.
Il suo calore è confortante, cura le lacrime amare che mi rigano il viso.

«È un compito importante. Sei sicura di potercela fare?» chiede, asciugando i miei occhi gonfi e rossi.
Il suo profumo familiare trasmette calma. Mi circonda in un abbraccio forte, ma le lacrime non fanno altro che aumentare.

Sono a corto di ossigeno.
Annaspo, alla ricerca di aria.
Qualcosa cade a terra. Aguzzo la vista, trattenendo il respiro. Afferro celere il pugnale accanto a me, passo una mano sul viso, pulendolo dalle lacrime.

Un corpo è a terra. L'ironia della sorte.
Una sostanza aurea è sparsa sui mobili, impregna il tappeto ricamato.
Urlo.
Il portone è spalancato, un vaso di porcellana si schianta sul pavimento, frammentandosi in piccole parti taglienti.

Dell'acqua mi schizza in viso, bagnando la tunica. I fiori giacciono insieme ai cocci.
Spalanco la bocca dallo stupore. È successo tutto così velocemente.
Una luce fioca illumina lo scenario insolito.
Zareen si trova accanto ad una candela, ha le labbra corrucciate, in mano un piccolo fiammifero.

«Cosa sta succedendo? Evara, stai bene?» il suo tono è preoccupato, mentre si avvicina ad uno dei corpi.
«Siete feriti? Vi avevo detto di stare attenti.» le sue piccole mani si poggiano sul torso nudo di un dio, che è piegato sul pavimento.

«Le gare consistono in quello, Zareen, lo sai.» risponde lui con voce roca, appoggiandosi alla dea.
Quali gare?
Il mio battito cardiaco accelera a dismisura, e non posso fare nulla per fermarlo.

Le ciocche bionde del dio sono madide di sudore, dalla spalla erompe una quantità abbondante di sangue.
La schiena e le braccia sono costellate da ferite profonde, lividi violacei si espandono sul dorso.
Non mi sfugge il modo in cui il dio, seppur ferito, guarda Zareen. Distolgo lo sguardo da quella scena troppo intima per i miei gusti.

La mia attenzione viene catturata da una dea in particolare. Adila, se non sbaglio. La dea della giustizia e della vendetta.
I suoi capelli argentei sono in contrasto con la pelle scura e le iridi cristalline.

Ha un graffio sporco di terra, che attraversa il collo fino ad arrivare all'avambraccio. Tenta di nascondere il dolore, ma a tratti contrae il viso, sofferente.
La veste candida è lacerata e intrisa di sangue luminoso.
Quando nota il mio sguardo indagatore, aggrottando la fronte si volta dall'altra parte.

Una spada, anch'essa macchiata da chiazze dorate, viene scagliata nella mia direzione, conficcandosi nel suolo, a pochi centimetri da me. Nessuno si accorge del fragore causato dall'arma.
Mi alzo, ignorando la testa che gira e un leggero senso di nausea.

«Dove siete stati? Perché siete feriti?» domando, con la voce tremolante e il pugnale ben stretto nella mia mano.
Il dio che ha lanciato la spada si gira e mi guarda con occhi rossi e irritati, contornati da una contusione nera.
Anche lui ha i capelli scuri bagnati, che ondeggiano quando con un paio di falcate mi raggiunge.

Impulsivamente arretro di due passi.
Ingoio la bile che brucia la gola. Cerco di rimandare indietro anche la paura improvvisa che avvolge il mio corpo.
«E tu chi saresti?» tuona, con tono intimidatorio.
Trattengo lacrime che stuzzicano gli occhi.

Zareen mi impedisce di ribattere, da una parte gliene sono grata. Avvolge il braccio muscoloso del dio, conducendolo con sé.
Le divinità vanno via come sono arrivate: in silenzio e improvvisamente, lasciandomi sola, al buio.
Sola, come sempre.

Un brusio riempie le stanze.
Strizzo gli occhi, raggi solari inondano di luce calda l'ambiente.
Petali di fiore appassiti sono sul tappeto, così come i frammenti di porcellana pregevole.

«Cara, sei sveglia!» la voce flebile di Zareen mi provoca un ronzio nelle orecchie.
Abbozzo un sorriso, e annuisco.
Lei mi fa cenno di seguirla, perciò, controvoglia, afferro il pugnale e facendo leva sui gomiti mi sollevo.

Mi conduce nella sala che penso sia riservata ai banchetti e pasti.
Non appena varco la soglia della stanza, una serie di sguardi taglienti si posano su di me.
Sospiro e cammino a testa alta.
La dea si siede, e dà una pacca sulla seggiola intarsiata di perle. Scuoto la testa, rifiutando il posto.

Anche se non mangio da un giorno intero, posso porre resistenza ancora per un po', almeno fino a quando il mio corpo non inizierà a ribellarsi.
Resto in piedi, sotto lo sguardo di tutti. Incrocio le braccia sul petto, mi impedisco di arrossire o di abbassare la guardia.

Devo escogitare un piano per uccidere il dio Asael.
Non lo incontro da ieri sera, stamattina non si è visto. Come faccio ad assassinarlo se lui non è qui?
Eppure devo riuscire a tornare sulla terra. Devo finire quello che ho iniziato.

I miei pensieri vengono interrotti dal dio con i capelli scuri, quello che mi ha scagliato contro la spada. Di lui mi fido meno degli altri.
Avanza verso di me ad una velocità sovrumana, cerco di non mostrare nessun segno di debolezza.

«Guarda chi c'è. La piccola sgualdrina dal faccino innocente.» soffia, a un palmo dal mio viso. Tendo la mandibola, nella vana speranza di non cedere alle sue intimidazioni.

Mi prende violentemente il mento tra le mani gelide, stritolandolo.
Fa pressione sulle mie gote, da cui fuoriesce del sangue, che tinge le sue dita.
Ciò non lo ferma, non lascia la presa. Vorrei reagire, ma non riesco a muovermi. Sono come paralizzata.

Sussulto.
È il dio della manipolazione mentale.
Mi si blocca il respiro. Ho la gola chiusa, secca, necessito di aria fresca.
Vorrei supplicarlo di lasciarmi, di liberarmi il collo, il viso. La mia collera si deposita nelle parti più ignote della mia mente.
La vista si annebbia, vedo solo gli occhi furiosi e desiderosi di violenza del dio...

Sto per arrendermi, quando una figura attira la mia vigilanza.
Il dio Asael.
Trascina una spada insanguinata, lasciando una scia dietro di sé.
Gli zigomi sono lividi, dal naso zampilla sangue. Gli occhi spenti guardano il dio che mi sta soffocando.

«Non la devi toccare.»

Spazio autrice

Ragazze, questo era il capitolo!
Ditemi cosa ne pensateeee ⭐️

Ringrazio @bookgirly08 che mi ha sopportato durante la scrittura, si è trattenuta dal lanciarmi un libro contro (scherzo ahaha🫶). Se volete date un'occhiata alle sue storie! ❤️

Mettete una stellina se vi è piaciuto (spero tanto di sì!) Grazie a tutte voi, che avete avuto la pazienza di finire di leggere.
P.S.: scusate per il ritardo 🥹😭

Vi continuerò a tormentare con le mie idee contorte, ci vediamo la settimana prossima con un nuovo capitolo!🫶

⚔️🌿✨️

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