Capitolo 2

Mentre bruciavo sul rogo, giurai a me stessa di non cadere mai al cospetto di un dio. Sono esseri pericolosi, imprevedibili, malvagi, capaci di manipolare qualsiasi essere umano con il loro fascino surreale.

Le dicerie erano vere. Eppure, non ammetterò mai di essermi sciolta sotto lo sguardo indecifrabile di un dio.
Il dio dei conflitti, della discordia, della guerra.

Ha un sopracciglio alzato, gli conferisce un'aria di superiorità. Mi infastidisce.
Alzando un braccio gli strappo di mano gli abiti puliti. Non infilo subito le vesti, le lascio ricadere sulle ginocchia, coprendo una minima parte di pelle.

Il suo sguardo scivola sul mio corpo, ispezionandomi, un luccichio illumina le iridi scure, pupille dilatate.
Un bollore improvviso mi tinge le gote.
Gli occhi si soffermano sulla benda che mi avvolge una porzione di braccio destro. Una frattura mai curata, perciò fascio l'arto per tenere fermo l'osso.

Rabbrividisco. La sua sfacciataggine mi fa venire la pelle d'oca.
«Come fai a sapere il mio nome?» domando, tanto diffidente quanto curiosa. Anche se la risposta è ovvia. Gli dei sanno sempre tutto.

«Seguimi.» la sua voce tuona, rimbomba.
Corruccio le labbra. «Non hai risposto alla mia domanda.»
Lui mi rivolge un'occhiata tagliente, che non ammette repliche.
Si volta lentamente, non indossa una camicia. La sua schiena è immacolata, di marmo candido, come quello delle statue presenti alla sua festività.

Mi alzo in piedi, mordendomi l'interno di una guancia per non fare commenti inappropriati.
«Preferirei essere sacrificata una seconda volta, piuttosto che seguire un dio inaffidabile.» il mio tono di voce è determinato, ma subito dopo mi mordo la lingua per evitare di continuare a provocare il dio della guerra.

«Non te lo ripeterò un'ultima volta,» si gira verso di me, avvicinandosi pericolosamente
al mio viso, «vieni con me. È un ordine
Stringo i pugni così forte che temo possano iniziare a sanguinare.

Mi sporgo in avanti, una sua ciocca di capelli corvini solletica la mia fronte. «No. Voglio tornare a casa, riportami sulla terra.»
Il tessuto soffice tra le mie mani si è raggrinzito, lo tengo stretto a me.

Una leggera brezza tiepida gioca con la chioma del dio, incorniciando il suo volto angelico, crudele. I suoi occhi pece sono rischiarati dal chiarore del giorno.
Un fremito si propaga lungo la colonna vertebrale, le gambe tremano.

«Bene. Non ho bisogno dell'aiuto di qualcuno inutile e sfrontato come te. Non mi serve la compassione degli dei.»
Lui non muove un muscolo facciale, ma qualcosa di indefinito spegne lo scintillio dei suoi occhi.

«Come hai detto, non hai bisogno di me. Del resto, hai commesso un assassinio da sola.»
Prendo un lungo respiro, anche se posso percepire la rabbia scorrere nel corpo.
Mi volto, e senza guardare indietro inizio ad addentrarmi nella radura selvaggia.

Raggi di sole filtrano attraverso le numerose foglie, dotandole di una luminosità non propria. Il suolo è a tratti paludoso, tra le dita dei piedi è rimasta incastrata della fanghiglia.
Piccole gocce di rugiada restano aggrappate ai sottili fili d'erba che calpesto.

Gli arbusti fitti sono ricoperti da fiori rossi. Mi chino, immergendo il naso tra i boccioli e il loro profumo inebriante mi invade la testa. La fragranza dolciastra e acida offusca i pensieri, mi allontano immediatamente dalla pianta.

Appoggiando una mano alla corteccia di un'albero, la pelle si scortica. Sussulto e impreco a bassa voce. Il sangue che fuoriesce dalla ferita superficiale si unisce ad una sostanza che macchia il tronco.

Un liquido dorato e denso scorre lungo l'albero, la scia si prolunga sul terreno umido.
Forse può guidarmi verso l'uscita di questa radura. Non andrò di nuovo ad elemosinare l'aiuto del dio.

Il vento improvviso si deposita sulla mia pelle nuda, invasa da tremori, graffiandola.
Mi ero dimenticata di essere nuda.
Il mio sguardo scende sulla tunica bianca che ho in mano. Non la volevo indossare, ma se non lo faccio probabilmente mi ammalerò.

L'ultima cosa che desidero è rimanere intrappolata in questo posto, con una febbre da cavallo.
Afferro la veste e la infilo.

È più complicato del previsto. Ci sono troppi strati di tessuto, troppe decorazioni ricamate.
Al contrario, non sono presenti maniche.
Quando finalmente riesco, con fatica, a sistemare l'abito, rimango senza parole.

Non ho mai indossato qualcosa del genere.
Delle sottili bretelline in oro si riversano sulle spalle. La veste aderisce perfettamente al mio corpo. La stoffa attrae la luce solare e risplende.
Le mie ciocche scure ondulate sono in contrasto con la tunica.

Girando la testa, noto che l'esteso strascico è macchiato di terra e melma. Sospiro. Questa tunica è poco pratica. È così stretta che a stento muovo le gambe.
Se avessi il mio pugnale con me, non esiterei un momento a tagliare la gonna.

Le tempie pulsano. Porto una mano fredda alla fronte per dare un po' di sollievo.
Devo andare via da qui.
Decido di seguire la sostanza aurea che si trova ai miei piedi.

Da ore continuo a camminare dietro alla scia d'oro. Sono esausta.
La gola è secca, le palpebre pesanti.
Mi siedo a terra, nonostante la veste candida.
Appoggio la testa sulla mano, chiudendo gli occhi.

Regna un silenzio assordante. Forse avrei dovuto seguire il dio. Non ammetterò mai neanche questo.
Le mie orecchie si fanno più attente, quando sento qualcosa simile ad uno scroscio.

Sono salva.
Lo scroscio dell'acqua è come la melodia di una musica lenta e ripetitiva.
Dei ciuffi d'erba chiara contornano le rive del ruscello, che bagna a poco a poco la terra arida.

L'acqua riflette il crepuscolo, che avvolge in un caldo abbraccio il paesaggio.
Le chiome degli alberi proiettano le loro ombre sul terreno, giocando con la luce aranciata, e creando mosaici variopinti.

Il fruscio dei rami secchi è accompagnato dal leggero e impercettibile battere d'ali degli uccellini.
Il mio sguardo è catturato dal liquido indorato, che sfocia nella pozza d'acqua e la tinge del suo colore.

Mi abbasso, intingo un dito nella sostanza e me lo porto al naso. Ha un odore neutro, perciò dovrebbe avere un sapore. Accosto il dito alle labbra e...
«Ti consiglio di non farlo.» una voce profonda riecheggia nella radura.

Alzo gli occhi al cielo. Purtroppo, riconosco quel timbro di voce potente.

Il dio è appoggiato ad un tronco, le braccia incrociate sul petto. Lo sguardo penetrante.
«Altrimenti?» lo sfido, ma non riesco a trattenere un sorriso.

«Fidati, non vuoi sapere le conseguenze.»
Solleva un angolo della bocca, poi dalla tasca dei pantaloni tira fuori una lama.
No, non una lama qualsiasi. Il mio pugnale.

Spalanco la bocca, strabuzzo gli occhi.
«Perché ce l'hai tu?» esclamo stupita. Non sono più indifesa, ora ho la mia amata arma.
Vorrei piangere di gioia.

Velocemente mi tiro su, avvicinandomi al dio Asael. Allungo una mano per afferrare il pugnale.
In una frazione di secondo mi attira a lui, il suo braccio intorno alla mia vita.

Il mio respiro è corto.
«Hai messo il vestito. Ti sta divinamente.» sussurra, suasivo.
Ignoro il brivido che mi attraversa.
«Dammi il pugnale.» replico, in qualche modo la mia voce è decisa e non trema.

Mi alzo in punta di piedi e con uno strattone riprendo la lama. Mi libero dalla sua presa, barcollando all'indietro.
«Stavolta mi seguirai?»

Tendo le labbra, non rispondo.
Distolgo lo sguardo dal suo sorriso beffardo, e con il pugnale taglio lo strascico e buona parte della veste.

Il dio mi rivolge uno sguardo interrogativo.
Mi volto ad osservare il suo profilo divino.
La mandibola è tesa, il viso è in perfetta armonia. È così impeccabile da destabilizzarmi.

I capelli sono soffici, ineccepibili, ogni suo centimetro di pelle è perfetta. È divino.

«Dove stiamo andando?»
«Non essere impaziente. È un difetto troppo umano.»
Oltre il suo profilo, anche la sua voce è tagliente.

Scuoto la testa e blocco i pensieri irrazionali. Devo smettere di riflettere su queste cose.
E se gli dei potessero leggere nel pensiero?
No, impossibile.

Regna un silenzio imbarazzante.
Decido di rompere il ghiaccio, forse con una domanda che non dovrei fare.
«Cos'era quel liquido dorato?»
«Fai molte domande. Gli dei non apprezzano quando il loro spazio personale viene invaso.» dichiara, continuando a guardare davanti a sé.

«Non sto invadendo il tuo spazio personale! È colpa tua se mi trovo qui, e tutto quello che sto chiedendo è di tornare a casa.» sbotto, furiosa. Sono stanca.

Aspetto una sua replica, quando davanti a me trovo una struttura complicata.
Un tempio. Il tempio degli dei.

«Siamo arrivati, Evara.» ghigna e mi procede.
«Benvenuta, cara! Che piacere finalmente incontrarti!» una voce acuta proviene dall'interno.

Guardo il dio, che rotea gli occhi. Non è buon segno.
Da un portone esce una ragazza. È molto bassa, ma sembra gentile. Eppure, l'apparenza inganna. Rimango scettica.

I capelli dorati arrivano fino al mento, una frangetta scompigliata incornicia il volto lentiggionoso.

Osserva la mia veste, e con un sorriso orgoglioso mi afferra dolcemente le mani.
«Hai tagliato la gonna! Ottima mossa.»
I suoi occhi chiari brillano alla luce della luna, mentre mi conduce dentro il tempio.

Le pareti sono decorate con drappi di tende pesanti, vasi di cristallo sono poggiati su piedistalli pregiati. È tutto così aureo, surreale.

La ragazza sorride raggiante.
«Sono Zareen, la dea del sole e dell'oro. Anche se penso tu sappia già il mio nome.»
Ha ragione. In città è conosciuta come la dea della gioia e dell'euforia. Ora capisco il motivo.

Riesce a strapparmi un sorriso, quando cerca di raggiungere il dio Asael. Con le gambe corte non riesce a stare al suo passo.

«Dove sono le altre divinità?» domando, ho uno strano presentimento.
Il dio si gira verso di me, involontariamente il mio cuore sussulta.
«Non sono affari tuoi. Ora siediti.» mi ordina, prendendo posto su una sedia.

Guardando la tavola imbandita, lo stomaco brontola. Tuttavia non cederò. Non mi possono comprare con il cibo.

Mi siedo davanti al dio.
Ci sono mele candite, vini aspri, carni, frutta zuccherata, bevande scintillanti e cibarie degli dei.

«Mi rifiuto di mangiare, fino a quando non mi riporterete a casa.»
«Morirai di fame, allora.»
«Non ti permetto...» lui, schiarendosi appositamente la gola, mi interrompe.

«Ho una sfida da proporti.» annuncia, attirando sia l'attenzione di Zareen, che la mia. Poggia i gomiti sul tavolo, avvicinandosi al mio volto.

«Puoi dimostrare la tua innocenza, e ritornare nel tuo mondo, ma ad una condizione.» mi guarda dritto negli occhi, le iridi plumbee.

«Dovrai riuscire ad uccidermi.»

Spazio autrice

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