CH. XII (parte I)

Victoir aveva sentito parlare del prezzo della magia: un contrappasso inevitabile per coloro che disturbano le energie arcane espresso attraverso una qualche forma di sacrificio. Per la maggior parte delle creature non-umane era insito nelle caratteristiche della razza a cui appartenevano: il volto dei vampiri, per esempio, col tempo si deteriorava fino a diventare ripugnante alla vista, perciò era necessario celarlo dietro una ragnatela di illusioni. Per gli umani invece era diverso, ciascuno pagava a modo suo.

Stando a quanto gli avevano raccontato, anche suo padre aveva sfiorato la morte a furia di abusare della magia nel disperato tentativo di salvare il suo primo amore da una tragica fine. Quell'argomento era il più pericoloso dei tabù in casa Evans, persino un accenno accidentale mutava radicalmente l'espressione sul volto di sua madre.

Anche i motori dell'aeronave della Black Court erano stati inizialmente supportati dalla magia nel sostenere un'intera città volante, ma nessuno sembrava disposto a svelare chi ne avesse pagato il prezzo e in che modo.

Sebbene non avesse familiarità col prezzo della magia, Victoir ne aveva dunque un'idea abbastanza chiara. Ciononostante, guardando Alaric non riusciva a intuire quale gli gravasse sulle spalle ampie e incurvate dai brividi: che si trattasse del freddo? Avrebbe spiegato perché sembrasse soffrirlo più di tutti, ma il cacciatore non ne era affatto convinto.

Tra potere e prezzo avrebbe dovuto esserci una qualche corrispondenza, come nel caso di Virginie Sauter, una giovane ricercata a cui aveva dato la caccia alcuni mesi addietro. Era nata con la peculiare capacità di assumere le sembianze altrui al costo di perdere gradualmente se stessa, e dopo svariati illeciti commessi nel mondo di sotto la Black Court aveva ricevuto una notitia criminis con cui era scattato l'ordine di cattura. Victoir aveva assistito impotente all'involuzione che aveva ridotto Virginie a uno stato pietoso, come una bambina sperduta che guardandosi allo specchio vede un'estranea. Al termine di quella missione l'aveva condotta alla Black Court tenendola per mano e lei, che avrebbe dovuto vedere in lui un carceriere, l'aveva implorato piangendo di non lasciarla sola e riportarla a casa, ovunque questa fosse.

Con Alaric non sarebbe finita altrettanto male, o almeno se lo augurava. Le decisioni della Black Court erano imprevedibili, talvolta addirittura incomprensibili, ma mettendosi nei panni di un'organizzazione con l'obiettivo di mantenere l'ordine e lo statuto di segretezza, Victoir trovava quel potere troppo prezioso per chiuderlo in una cella fino alla fine dei suoi giorni. Inoltre, qualunque fosse il prezzo che il mercenario pagava per vivere il passato, sembrava abbastanza spiacevole da persuaderlo a non usare la magia e tenersi alla larga dall'Overworld.

Soppressa la rabbia, adesso nel cacciatore non rimaneva che la contraddittoria curiosità verso un segreto a cui non voleva dar credito. Perché mai il giudice Coleman avrebbe dovuto formare un'alleanza con il criminale che lui stesso aveva condannato? Era assurdo, persino più assurdo di certi ordini che aveva ricevuto in passato.

Incrociate le braccia al petto e incurvate le spalle, Victoir si lasciò penzolare all'indietro fino ad appoggiarsi di schiena al muro. I tre metri che lo distanziavano da Alaric e Lorraine non l'avrebbero protetto dalle verità che non voleva accettare, ma avrebbero protetto loro due dai suoi imperdonabili scatti d'ira.

«Ho avuto una visione toccando quel... quella cianfrusaglia.»

«Ikaros.»

Due sguardi interdetti incrociarono il suo.

«Il passero meccanico... non è una cianfrusaglia. Si chiama Ikaros. L'ha creato il giudice.» si spiegò meglio, il tono ancora inasprito da residui evanescenti di livore.

Una ruga di disappunto solcò la fronte di Alaric per un breve istante, ammorbidendosi però quasi subito. «D'accordo, Ikaros.»

Un passo in avanti di Lorraine riecheggiò per la tromba delle scale e si abbatté contro i timpani di Victoir, facendogli arricciare il naso.

«Che cosa hai visto?» incalzò la ragazza con lo stesso tono inquisitorio che spesso veniva riservato anche a loro dentro la Black Court.

«Ho visto tante cose, tra cui Coleman e Griffiths in uno studio o qualcosa del genere.»

Victoir inarcò un sopracciglio, ma prima che potesse dar voce ai propri dubbi Lorraine gli rubò le parole di bocca.

«Come puoi essere certo che fosse Griffiths? Non conosci il suo volto.»

Alaric scosse la testa. «Non l'ho neanche visto, il suo volto. Quando vivo il passato posso vedere solo quel che gli altri hanno guardato direttamente, il resto rimane fuori dal mio campo visivo. Con gli oggetti è più complicato, mi perdonerete se non sono mai stato invogliato a scoprirne di più.»

Il tentativo di sdrammatizzare, ammesso che lo fosse, non servì però a stemperare la tensione: l'aria sembrava elettrificata, tanto che persino Victoir sentiva la pelle pizzicare sotto i tanti strati di abiti che era costretto a indossare per sopravvivere all'algore della tenuta dei Coleman.

«Quindi immagino tu abbia sentito il giudice chiamarlo per nome?» ipotizzò Lorraine.

«Non solo. Ho sentito uno stralcio della conversazione.»

Il cacciatore si riscosse per aguzzare la vista, alla ricerca di una qualunque traccia di incertezza sul viso di Alaric a cui aggrapparsi; niente però sembrava in grado di smentire la cieca fiducia che il medium aveva nel proprio potere. Come se avesse percepito il suo sguardo addosso, gli occhi verdi del mercenario dardeggiarono verso i suoi.

«L'amministratore ha avvisato Griffiths dell'arrivo della Black Court, ha detto che l'avrebbero imprigionato e ucciso. Poi gli ha intimato di prendere un certo Thomas, fuggire da Londra e cambiare identità.»

Calò un silenzio disturbante: dal lato di Lorraine pregno di dubbi, da quello di Victoir intriso di ostilità. Alaric continuava a starsene a distanza di sicurezza dalla balaustra, lasciando vagare lo sguardo teso dall'una all'altro.

Fu infine l'assistente a parlare per prima, dopo aver incrociato le braccia ed essersi voltata verso il collega. «Tutto questo non ha senso... ammesso che Alaric non stia mentendo─» ragionò, picchiettandosi un indice sulla guancia.

Il mercenario sbottò in un sospiro stizzito. «Perché diavolo dovrei mentire su una cosa così importante? Sto rischiando la pelle per mettervi in guardia!»

Come se non fosse stata interrotta, Lorraine continuò la sua riflessione. «Perché mai un giudice della Black Court dovrebbe voler salvare la vita di un morrwen?»

«Io credo di saperlo.»

Non era strano che nessuno si aspettasse che a giungere per primo alla soluzione fosse lui, il cacciatore più portato per menare le mani che per argomentare e dedurre. Eppure era così: una possibile spiegazione si era accesa come una fiamma nella mente di Victoir, ripristinando la calma spazzata via dal sospetto di un tradimento da parte dell'uomo che aveva cominciato ad ammirare.

Il medium e l'assistente lo squadrarono con uno sbigottimento tanto intenso quanto fugace, che subito mutò in sincero interesse. Victoir non poté che rimanere a sua volta stupito: di rado si vedeva dare credito con tanta facilità. Se però si aspettavano una spiegazione, per il momento sarebbero rimasti delusi e a bocca asciutta.

Lasciò infatti scivolare le braccia lungo i fianchi e si rimise dritto. «Torniamo da lui, voglio chiederglielo in faccia.»

Non ebbe però tempo di dar le spalle ai due prima di essere travolto dalla voce improvvisamente allarmata di Lorraine.

«Victoir, aspetta!» la brunetta allungò il passo per superarlo e sbarrargli la strada. «Non possiamo fare irruzione nello studio di un giudice e accusarlo di essere complice di un pluriomicida ricercato!»

Victoir aggrottò la fronte. «Non voglio accusarlo di niente, solo parlarci.»

Nonostante il tema pericoloso, era certo di poter avere una conversazione quantomeno civile col giudice. Non aveva più dubbi riguardo la sua determinazione nel proteggere Alcor East: se era per il bene dei suoi cittadini, l'amministratore non avrebbe messo a repentaglio la collaborazione con la Black Court e rischiato di rimanere con quei rammolliti dei compari di Alaric come unica linea di difesa. Arthur Coleman era un giudice diverso dalla massa, che anteponeva la sua gente alla propria dignità, perciò, per quanto spregevole, Victoir avrebbe sfruttato questa debolezza per metterlo con le spalle al muro e costringerlo a dire nient'altro che la verità.

Tuttavia Lorraine aveva ottimi motivi per voler evitare uno scontro diretto: era l'unica ad avere qualcosa da perdere, tra loro tre. Una sola parola del giudice e sarebbe stata cacciata dalla Black Court, abbandonata di nuovo a morire di fame tra le strade della spietata Londra del mondo di sotto.

«Hai paura?» decise comunque di domandarle, senza timore che la compassione che provava nei suoi confronti trasparisse nel suo volto impassibile.

Un guizzo di rabbia le balenò negli occhi nocciola, che immersi nell'ombra sembravano ancora più grandi e pietosi. Qualunque moto interiore le stesse imporporando le guance e annodando la gola al punto da farle dischiudere e serrare le labbra più volte senza emettere un suono, doveva fare male.

Il cacciatore sfuggì al suo sguardo con il terribile desiderio di sentirsi in colpa. Ma, come quasi sempre, non ci fu alcuna risposta da parte della sua coscienza. Che razza di mostro feriva i suoi amici senza un briciolo di pentimento?

«Comprensibile. Puoi restare qui, se vuoi. Dirò che non sei coinvolta in niente di tutto questo.» aggiunse, sforzandosi di imitare quello che per la gente normale era un tono dispiaciuto. Incapace di sopportare oltre la vista della sua espressione desolata, tornò a dedicarsi ad Alaric. «Per quanto riguarda te, mi serve la tua testimonianza. Poi potrai tornartene dai tuoi ami─»

Una mano oscillante a mezz'aria lo interruppe.

Il mercenario stava già camminando verso di loro, leggero come Victoir non l'aveva mai visto: essersi liberato di un segreto pesante doveva avergli tolto un peso dalle spalle, peccato che fosse accaduto con la peggiore delle modalità.

«Smettila di farla tanto lunga, Victoir. Non ho intenzione di tornarmene da nessuno.»

Alaric gli si fermò accanto, gli angoli della bocca arcuati in un sorrisetto in cui Victoir poteva leggere senza difficoltà un messaggio: che tu lo voglia o no, sono qui per restare. In cambio lo trafisse con la più bieca delle sue occhiatacce, di cui il biondo non sembrò curarsi.

«Non che sprizzi gioia da tutti i pori al pensiero di quel che stiamo per fare, ma... è per il bene della missione, no?» una mano del mercenario colmò lo spazio che li divideva, fermandosi all'altezza della spalla a pochi centimetri dal suo soprabito. «... Ripensandoci, forse è meglio non rischiare. Ho fatto il pieno di emozioni e ricordi per oggi.»

Una velenosa soddisfazione si manifestò in un sogghigno del cacciatore in risposta allo scurirsi del volto del medium.

Superarono Lorraine e si affrettarono attraverso il corridoio che cominciava a perdere la brillantezza del tramonto in favore dei toni freddi della sera. Tra tutti, quello era il momento della giornata in cui casa Coleman sembrava più malinconica e solitaria, proprio come l'uomo che l'abitava.

Quando, svoltato un angolo, la porta del laboratorio fece capolino all'altro capo del corridoio, Victoir fu affiancato da una lunga chioma bruna che avanzava con passo determinato.

Lorraine alzò di scatto la testa, ogni traccia di esitazione sparita dal suo volto fiero e combattivo. Era pronta a giocarsi il tutto per tutto.

«Vediamo di portare un po' di giustizia.» disse, e Victoir annuì.

***

«Avete finito di litigare? Le vostre urla avranno terrorizzato la povera Martha.»

Arthur Coleman sapeva, a Victoir bastò un solo sguardo per esserne certo.

Il giudice non si trovava più comodo al suo spartano scranno oltre la scrivania, ma in piedi davanti al camino appena ravvivato. La schiena rigida, il contegno solenne e il cipiglio giudicante ricordavano più l'autorità che avrebbe dovuto incarnare che l'uomo eccentrico ma sensibile che era: una visione ossimorica, che non prometteva niente di buono.

Victoir dovette impedire alle proprie gambe di arretrare, schiacciato dalla sensazione di essere sopraffatto come quando i suoi superiori lo convocavano per affidargli un nuovo incarico. Strinse i denti e sostenne lo sguardo del giudice con la stessa caparbietà: stavolta non si sarebbe limitato a obbedire, era lì per capire.

Raggiunse il centro della stanza e si fermò in corrispondenza del bordo del tappeto, attento a non perdersi neanche un baluginio nelle iridi del giudice, sul cui volto la luce aggressiva del fuoco e la penombra serale giocavano a tracciare ombre in continuo movimento.

«Ha sentito di cosa stavamo parlando, amministratore?»

Uno scatto secco alle sue spalle segnalò a Victoir che Alaric aveva chiuso la porta, poi il tenue profumo di lavanda di Lorraine si mescolò a quello pungente della legna bruciata. Non aveva bisogno di vederli, la loro semplice presenza bastava a riempirlo di determinazione. Non era più solo.

Le sopracciglia folte del giudice crollarono sulla linea degli occhi, un angolo delle labbra si arricciò in preda al disappunto. «Non ho l'abitudine di origliare.»

L'unica risposta a quel commento piccato fu l'instancabile scoppiettare del legname. Sebbene non riuscisse a percepirla, Victoir era certo che l'atmosfera fosse impregnata di tensione come quando i primi tuoni annunciano l'incombere della tempesta.

A riprova di ciò, la voce del giudice tuonò con lo stesso impeto nel silenzio: «Avanti, cacciatore Evans. So riconoscere gli occhi di qualcuno che ha qualcosa da dire.»

«Victoir.» lo corresse con flemma il cacciatore, inclinando la testa per osservare meglio l'ansia nascente nei suoi lineamenti contratti. «Perché si mette sulla difensiva, amministratore? Non sono qui per accusarla di niente.»

«E allora per quale motivo ti presenti nel mio studio con la faccia di chi sta per combattere una guerra?»

«È quel che sto per fare. Ma lei non ha niente di cui preoccuparsi, perché il mio nemico in questo caso sono solo io e quella che sto per affrontare è la mia versione dell'inferno: una discussione.»

Finalmente l'irritazione dominante sul viso del giudice sbiadì, lasciando intravedere del genuino stupore. «Vuoi parlare?» chiese, scandendo l'ultima parola come se fosse appartenuta a una lingua straniera.

«Non solo: voglio capire la persona che ho davanti. Purtroppo però, come ho già spiegato, capire le persone è la cosa che mi riesce peggio. Quindi ho bisogno che lei sia sincero con me come io lo sono stato con lei.»

Al termine di quella premessa, Victoir si prese una breve pausa dal prolungato scambio di sguardi e riprese posto sulla stessa poltrona che aveva occupato qualche minuto prima.

«La prego, si sieda e mi chiami per nome, come ha sempre fatto.» lo invitò, incurante del fatto che con quel modo di fare sembrava quasi lui il padrone di casa.

L'altro uomo non era però del tutto persuaso; i suoi occhi verdi dardeggiarono spiritati attraverso la stanza fino ad Alaric e Lorraine, in procinto a loro volta di mettersi comodi.

Victoir richiamò la sua attenzione sollevando una mano. «Loro non interferiranno né riveleranno niente di quel che sarà discusso in questa stanza. Anzi, se siete tutti d'accordo propongo che da questo momento sia istituito uno statuto di segretezza.»

La prima voce a levarsi fu quella di Lorraine, ferma come l'aveva udita in corridoio. «D'accordo.»

«Se è gergo overworldiano per promettere di tenere la bocca chiusa, avete la mia parola.»

Victoir non poté fare a meno di scoccare un'occhiata fulminante ad Alaric, il quale rispose col sorriso sardonico che era il suo biglietto da visita. Era proprio un asso nello stemperare la tensione, peccato che quello non fosse il momento adatto.

L'ombra lunga del giudice si posò su di lui per un momento, diventando poi un tutt'uno con quella della poltrona più prossima al camino. L'uomo assunse una posizione tanto rigida da sembrare scolpita nel marmo: spalle e mascella contratte, fronte aggrottata, mani giunte in grembo e dita incrociate. L'unico accenno di dinamismo era conferito dal tallone del piede destro, che picchiettava sul tappeto tradendo un certo nervosismo.

Victoir inarcò un sopracciglio, stranito dall'ironia della sorte che sembrava voler ricreare la scena di un'aula di tribunale: da un lato lui, Lorraine e Alaric a ricoprire il ruolo di giuria, dall'altro il giudice nei panni dell'imputato alla sbarra.

Ciononostante, Arthur Coleman non si lasciò suggestionare e chiese con voce affilata: «Che cosa vuoi capire, Victoir?»

E così si aprivano le danze; il cacciatore prese un respiro preparatorio e si lanciò in quella difficile impresa.

«L'ho reputata un enigma sin dal nostro primo incontro: un giudice nel mirino di un assassino che preferisce farsi difendere da degli sconosciuti anziché dalla Black Court. Le spiegazioni plausibili erano solo due: avevo davanti un idiota, oppure c'era un segreto da svelare.»

«E perché hai deciso di dar credito proprio alla seconda?»

Victoir scoccò uno sguardo ad Alaric, il quale non perse tempo a dargli manforte sollevando una mano inguantata. «Medium, vivo il passato attraverso il tocco.»

La rivelazione fu accolta dal giudice con un breve silenzio meditabondo. «Medium?» ripeté piano, come se l'intero quadro si stesse ricostruendo davanti ai suoi occhi; la stessa preoccupante conclusione a cui erano giunti Victoir e Lorraine lo colpì dopo pochi secondi. «Volevate rubare informazioni alla Black Court?! Siete impazziti?»

Alaric stavolta sollevò entrambe le mani. «Perché diavolo la prendete tutti così male?»

Era evidente che non avesse mai sentito parlare del carcere dei grigori, soppesò tra sé e sé Victoir prima di zittirlo con un'occhiataccia. In realtà però non gliene faceva una colpa. Essendo stato cresciuto nel mondo di sotto da due genitori iperprotettivi, anche lui aveva appreso delle terrificanti prigioni della Black Court solo quando aveva cominciato a lavorare per riempirle: chi ci entrava non ne usciva neanche da morto, motivo per cui tanti preferivano il suicidio alla cattura.

«Sapevo di far bene a non fidarmi di una persona col senso di colpa scritto in faccia...» proseguì il giudice con voce intrisa di disprezzo. «Quindi è successo poco fa, quando hai toccato Ikaros...»

La capacità di discernere gli stati d'animo altrui attraverso le espressioni era una specie di potere superiore agli occhi di Victoir, la cui attenzione fu però rapita dalle parole successive: un'implicita ammissione di colpevolezza. Si sporse in avanti, stringendo le mani sulla curva dei braccioli.

«Amministratore, io ho un'ipotesi, ma per comprovarla mi serve che lei risponda a una domanda.» disse monocorde. «Chi è Thomas?»

L'altro soffocò una risata amara. «Sei proprio perspicace, Victoir.» evase con lo sguardo sulle geometrie dai colori freddi dello studio, come inseguendo parole a cui infine rinunciò con un sospiro. «Thomas è, o meglio era, il figlio di Elijah Griffiths.»

Proprio come sospettava, tutto cominciava ad avere senso.

«Il giudice Fitzgerald ha detto che i morrwen arrestati erano due...» si inserì con un sussurro Lorraine. «Uno fuggitivo, l'altro... morto.»

Nessuno ebbe altro da dire, a parte la legna che continuava a scoppiettare alle spalle del giudice e Ikaros che dall'altra stanza intonava qualche nota.

Victoir lasciò che la stoffa scivolasse lungo le sue mani e incrociò le braccia, pronto a esporre la sua teoria.

«Quattro mesi fa la Black Court ha individuato e arrestato due morrwen: Elijah Griffiths e suo figlio Thomas. Sono stati rinchiusi nei sotterranei in attesa di essere giustiziati, ma prima che ciò potesse avvenire Elijah ha chiesto di parlare davanti a un collegio. Due cose mi sono rimaste impresse di quell'udienza: le condizioni e l'espressione dell'imputato. Da quando sono qui ci ho ripensato e finalmente credo di avere la soluzione, anzi le soluzioni

Con l'indice sinistro sollevato a mezz'aria diede inizio alle supposizioni.

«Partiamo dalle condizioni: Elijah era pulito, ma al contempo senza dubbio deperito. La soluzione più logica è che durante la sua prigionia siano state applicate delle misure perché fosse trattato bene, ma nutrito solo con cibo convenzionale. Nessuno si è avvicinato a lui e a suo figlio, lasciandoli a patire la fame di emozioni.»

Nella breve pausa che Victoir si prese per riorganizzare i pensieri e trasformarli in frasi sensate, il silenzio cominciò a farsi pesante.

«Ed è per questo che Elijah ha chiesto un'udienza, per tentare di salvare almeno suo figlio. Mi è però parso strano che si rivolgesse con tanta calma a dei giudici, che più tra tutti incarnano una legge che mira all'estinzione dei morrwen. Perché combattere una lotta inutile, sapendo che nessuno avrebbe avuto pietà? Per Thomas, mi sono detto, perché ogni buon genitore farebbe follie per suo figlio. Ma qualcosa continuava a non tornare: perché era così calmo, quasi fiducioso?»

La seconda congettura fu annunciata all'accostarsi del dito medio all'indice.

«La verità è che Elijah pensava che uno di quei giudici avrebbe avuto pietà, perché non condivideva la spietata linea di pensiero della Black Court e ciò faceva di lui un uomo compassionevole, un giusto disposto a dare una possibilità alle anomalie. Un diverso, proprio come Elijah e Thomas.» o come me completò tra sé e sé, non ancora pronto a sentirsi di nuovo associare a quella parola dal suono sgradevole. «Ma per sapere tutto questo, Elijah doveva conoscere molto bene quell'uomo.»

La protrusione del corpo in avanti, l'assottigliarsi dello sguardo e l'inasprirsi della curva della bocca segnalarono che finalmente stava avvenendo una variazione nell'atteggiamento del giudice. «Dovresti prestare più attenzione a come parli, ragazzo: anche il più inetto degli avvocati noterebbe una latente insubordinazione nelle tue parole e alla Black Court non piacciono gli insubordinati, soprattutto quando già in una posizione delicata.»

«La ringrazio della preoccupazione.» annuì Victoir, impassibile davanti a quel consiglio travestito da minaccia. «Non ho mai avuto bisogno di farlo, ma immagino sia difficile nascondere i propri pensieri insubordinati verso l'organizzazione a cui si appartiene.»

Arthur Coleman doveva saperlo molto bene, ormai ne era certo; non tardò quindi a incalzare, negando al giudice ogni possibilità di ribattere.

«Io credo che lei conoscesse Elijah Griffiths da molto prima della sua cattura e che, proprio come ha fatto con me, l'abbia studiato per capire di più sulla sua natura e trovare la prova inconfutabile che l'estinzione dei morrwen non sia la soluzione migliore. Credo che volesse salvarli, ma qualcosa è andato storto. La Black Court ha scoperto che i Griffiths erano morrwen e Elijah non è riuscito a fuggire... così ha riposto tutta la sua fiducia nello stimato e potente Arthur Coleman. Ma lei lo ha tradito.»

L'accusa calò come una ghigliottina e con essa il livore cominciò a defluire dal volto del giudice.

«Forse ci ha provato e ha fallito, forse si è arreso in partenza... fatto sta che la sua incapacità di cambiare il sistema ha condotto Thomas alla morte, Elijah alla follia e tre giudici e le loro famiglie a una fine atroce. Ed ecco spiegato per quale motivo Elijah non ha toccato la figlia dei Moore, perché prima di essere un morrwen, un dottore e un assassino, lui è un padre. E lei è tra gli assassini di suo figlio.»

Elijah Griffiths era un uomo senza più niente da perdere, spogliato di qualunque cosa per cui valesse la pena vivere. Quella che si era abbattuta sui Moore non era la vendetta di un pazzo, ma di un padre che non si sarebbe fermato davanti a niente.

Alla luce di quelle deduzioni, Victoir serrò i pugni con lentezza quasi esitante. La spavalderia di cui si era bardato dalla partenza da Londra sembrava così infantile davanti alla tragedia di un padre che aveva visto suo figlio morire di fame. Con che coraggio l'avrebbe combattuto, ora che sapeva di indossare lo stemma di coloro che l'avevano rovinato? E che cosa provava Arthur Coleman, artefice di quella catena di tragedie?

Provò a indovinarlo, riempiendo di nuovo il silenzio con la propria voce monotona.

«Perciò ha rifiutato la proposta di rifugiarsi alla Black Court o di lasciarsi proteggere: non voleva che la sua incompetenza mietesse altre vittime. Ha assunto dei mercenari che proteggessero la sua gente ma non la sua casa, e ci ha respinti fino all'esasperazione con la speranza che desistessimo e le permettessimo di immolarsi. Io credo che lei voglia morire, giudice Coleman, o meglio sacrificarsi per placare Griffiths e fare ammenda per i suoi peccati.»

Col corpo percorso da lievi brividi di adrenalina, Victoir assunse una posizione rilassata contro lo schienale. Le sue conclusioni si spensero nel silenzio, in un'atmosfera elettrificata di aspettative verso l'unica persona che avrebbe potuto smentire o confermare tutto.

L'unica risposta di Arthur Coleman fu però un ostinato mutismo. Arroccato e immobile sulla poltrona, che con l'ombra della spalliera ne adombrava il volto smagrito, pareva il ritratto di uomo di potere che approcciava il termine dei suoi giorni in una disperata stanchezza.

Il silenzio si dilatò fino a diventare insopportabile, scandito dal ticchettio di un orologio e dalle fredde ma impeccabili note prodotte da Ikaros. Un fruscio alle sue spalle avvisò Victoir che Alaric cominciava a perdere la pazienza, ma protendendo una mano nel vuoto quietò ogni tentativo di intromettersi.

Finalmente, come riscosso dal loro evidente nervosismo, il giudice si espresse in un sibilo supplichevole: «Siete ancora in tempo per andarvene... per salvarvi, almeno voi.»

«Ha davvero nascosto un morrwen...» mormorò il medium.

«Ho nascosto un padre e un bambino!» l'uomo scattò in piedi con insospettabile vitalità. «Erano brave persone! Thomas avrebbe compiuto sei anni a dicembre, voleva studiare musica e diventare un pianista! Elijah era pronto a giocarsi i risparmi di una vita per realizzare il sogno di suo figlio!»

Come una tempesta, cominciò a impazzare per il laboratorio andando avanti e indietro, le mani a mezz'aria che gesticolavano frenetiche e gli occhi febbrili che saettavano sui tre ragazzi. Victoir strabuzzò gli occhi, a corto di parole dopo il lunghissimo monologo; non erano quelle le dinamiche in cui si aspettava di vedere per la prima volta il vero Arthur Coleman.

Implacabile, il giudice proseguì la sua perorazione. «Sapete perché era così deperito in quella dannata aula? Perché si nutrivano solo di moribondi, anche a costo di patire la fame per mesi! E nonostante tutto questo, Elijah odiava quel che era e quel che doveva fare per vivere... perciò ho deciso di aiutarlo riprendendo gli studi sui morrwen che nessuno si era mai degnato di terminare.»

La mente di Victoir corse allo studio accademico che Lorraine l'aveva costretto a leggere durante il viaggio in treno. Conteneva informazioni generali di carattere storico, sfiorando l'argomento biologia solo per fornire al lettore un punto debole su cui accanirsi per terminare la minaccia di un morrwen. Era stato superficiale a non rendersi subito conto di quanta poca attenzione fosse stata dedicata a quella razza... era stato come tutti gli altri.

«E che cosa ha scoperto?»

La più insospettabile delle reazioni venne da Lorraine, la cui voce calma fu subito sovrastata da quella irosa di Alaric.

«Che importa adesso? Delle persone sono morte a causa di un morrwen che lui ha nascosto!» la rimproverò il mercenario.

Victoir reclinò la testa per osservarli, mentre si lanciavano in un serrato botta e risposta.

«Proprio perché sono morte delle persone voglio capire se ne è valsa la pena.»

«Che diavolo stai dicendo, Lorraine? Niente può valere più la vita delle persone!»

«E i morrwen cosa sono, secondo te? Perché va bene che un bambino sia lasciato a morire di fame, senza che nessuno abbia mai provato a capire se i morrwen siano davvero─»

«Assassini per natura?»

I due si fissarono con intensità, saldi allo stesso modo nelle proprie convinzioni. Il cacciatore, abituato a vederli confabulare con aria complice o battibeccare con leggerezza, sarebbe intervenuto se le opinioni di entrambi non fossero state abbastanza sensate da interessarlo. Tenne quindi lo sguardo fermo su di loro, adocchiando di tanto in tanto il giudice che, ancora in piedi in mezzo alla stanza, era rigido come ghiaccio.

«Come potenzialmente qualunque altro essere umano, te compreso. Ma questo non ci impedisce di convivere in maniera civile.»

«È un discorso diverso, lo sai benissimo. Io non devo uccidere per sopravvivere. Neanche Victoir deve farlo, e lui è la cosa più vicina a un morrwen in questa stanza!»

«I morrwen possono nutrirsi senza uccidere.» tuonò il giudice, ristabilendo un silenzio attonito.

Victoir si raddrizzò sulla poltrona, squadrando poi l'uomo come se avesse appena dichiarato che la terra è piatta. Sondò la sua espressione, ora nitida nella luce fiammeggiante, alla ricerca di una traccia anche vaga di insicurezza, ma ciò che vide fu solo incontestabile certezza.

«Un morrwen può non solo scegliere quali emozioni divorare, ma anche in che quantità. Richiede anni di programmazione mentale, ma non è impossibile. Queste sono le mie conclusioni, e non ci sarei mai giunto senza Thomas.» continuò il giudice. «Elijah lo ha ripetuto fino alla nausea in tribunale, io stesso ho proposto di dare una chance alla sua tesi... ma potete immaginare com'è andata. Nessuno intendeva mettere a repentaglio una vita per quello che reputavano il disperato tentativo di un padre di nutrire il suo piccolo mostro.»

Il suo piccolo mostro, quelle parole rimbombarono nella mente del mezzo vampiro nella forma di echi dal passato. Non era la prima volta che le udiva, ma era la prima volta che non venivano rivolte ai suoi genitori.

«No, non lo accetto.» ribadì Alaric, la sua voce fu per un momento scossa da un tremito. «Mi dispiace, non voglio sminuire la tragedia dei Griffiths... ma neanche quelle famiglie meritavano la morte. Elijah Griffiths avrà passato l'inferno, ma questo non lo autorizza a fare strage di innocenti. Chi uccide deve pagare... e anche lei deve pagarla, amministratore Coleman.»

L'interpellato buttò fuori lo sbuffo di una risata. «Per la prima volta siamo d'accordo su qualcosa, ironico che si tratti della mia punizione...»

Il medium scosse con decisione la testa. «Non mi fraintenda: non intendo immolandosi per il suo senso di colpa, ma scontando una pena adeguata a qualcuno che ha studiato un bambino come se fosse stato una cavia da laboratorio e coperto chissà quanti omicidi. I pazienti di Griffiths saranno stati moribondi, ma questo non giustifica il loro omicidio.»

«Elijah divorava solo le emozioni negative, in modo da donare loro un ultimo momento di serenità.» ribatté il giudice, di nuovo calmo. «Non lo dico a mia discolpa, a essere sincero anch'io ho avuto le tue stesse remore prima di vederlo coi miei occhi. Ma Elijah non era un mostro, non ha mai voluto esserlo... i mostri non nascono, vengono creati.»

Victoir cercò di nascondere l'onda di turbamento che lo travolse, deviando lo sguardo sulle fiamme; c'erano troppe affinità tra la sua storia e quella del morrwen per i suoi gusti. Se anche lui avesse ceduto alla rabbia, persone dallo spiccato senso della giustizia come Alaric gli avrebbero voltato le spalle?

«Con o senza attenuanti, un omicidio rimane un omicidio... e lei dovrebbe saperlo.»

«Lo so molto bene.»

«Fosse per me, lo denuncerei oggi stesso.»

La conversazione proseguiva intanto come se lui avesse cessato di esistere.

«Non sono d'accordo.» si inserì di nuovo con pacatezza Lorraine. «È vero che il giudice ha agito contro la legge, ma se la legge è ingiusta non è altrettanto ingiusto non fare niente per cambiarla? Per quanto sia terribile da dire, il passato è passato e niente riporterà in vita quelle famiglie o il piccolo Thomas. Ma se questa ricerca può salvare delle vite future... se fosse così, sbattere il giudice in una cella significherebbe condannare a morte altri innocenti. Perciò non sono d'accordo con te, Alaric. Arthur Coleman pagherà comunque: il senso di colpa lo perseguiterà fino alla fine dei suoi giorni... ma non in una cella, non se dipendesse da me.»

Altro silenzio, poi la voce di Alaric trafisse il cacciatore.

«Victoir, tu che ne pensi?»

Victoir strinse i pugni e le spalle, vagando ancora per un po' sulle coreografie sinuose delle fiamme prima di costringersi a voltare con lentezza la testa verso Lorraine, Alaric e il giudice Coleman.

Sapeva che cosa si aspettavano da lui: una disamina lucida e imparziale, all'insegna di un'indifferenza che andava al di là di concetti come il bene e il male. Un'impresa titanica per chi si lasciava traviare dalle emozioni, ma che per lui, dall'alto della sua razionale impassibilità, era naturale come respirare.

C'era solo un problema, ovvero che quello non era il tipo di persona che Victoir aveva mai aspirato a diventare: lui desiderava essere come tutti gli altri. Voleva perdersi nei meandri dei dilemmi morali. Voleva sentirsi combattuto, sperduto nell'indecisione, terrorizzato dalla possibilità di sbagliare e infiammato di spirito combattivo. Voleva sentire qualunque cosa, anche a costo di soffrire fino a spezzarsi.

E invece era ancora lo stesso Victoir Evans che aveva lasciato Londra. Mentre Lorraine aveva dato voce alle sue più intime fragilità, Alaric aperto uno spiraglio verso l'Overworld che tanto lo spaventava e Arthur Coleman condiviso i suoi demoni, lui continuava a essere un fantoccio senza cuore.

Quella fiamma che voleva divampasse violenta dentro di lui ardeva timida e silenziosa, insufficiente persino per trasformare in lacrime il fievole odio che provava per se stesso.

Inspirò piano, rassegnato; se era una risposta lucida e imparziale che volevano, allora gliel'avrebbe data.

«Il mio lavoro è obbedire, non capire. Un pericoloso assassino sta venendo qui e io ho promesso alla gente di Alcor East che proteggerò tutti, questo non è il momento di fare politica.» disse, soffermandosi infine sul suo protetto, stanco come se alla fine la guerra con se stesso l'avesse persa in partenza. «Giudice Coleman, lei è stato l'unico a concedere a Elijah Griffiths una chance e per questo la rispetto. Le buone intenzioni non hanno sempre un esito positivo, ma aver comunque tentato di cambiare l'Overworld fa di lei un grande uomo. Riparleremo della sua sorte quando Lorraine scriverà il rapporto, ma fino ad allora voglio continuare a essere il suo scudo.»

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