Capitolo 3 - Vale
Calzini con suole antiscivolo bianchi con coniglietti arancioni ricamati, tuta intera grigia con cappuccio fornito di due lunghe orecchie da coniglio, sulle gambe accavallate, Persico, il suo gatto, dormiva acciambellato mentre lei lo accarezzava con una mano e con l'altra teneva il cellulare su cui faceva scorrere le foto di lei e Luca insieme. La modalità tristezza assoluta era attivata ormai. Erano trascorsi quattro giorni e del suo ragazzo nessuna traccia. Vale tirò su con il naso e mentre guardava le immagini di loro due abbracciati, stentava a credere che Luca non le avesse inviato nemmeno un messaggio. Forse qualcuno gli aveva detto ciò che aveva fatto.
Come? Ancora non lo sapeva.
«Sei sicura che non ci sia niente di niente?» chiese a Bea per l'ennesima volta.
«Non c'è niente qui, Vale.» le rispose la voce insofferente di Bea.
Vale sapeva che la sua amica non ne poteva davvero più di assecondarla nelle sue paranoie, difatti, se ne stava stesa da un bel pezzo sul tappeto arancione al centro della sua camera con un braccio a coprirle gli occhi e il cellulare nella mano.
«Hai controllato Facebook?» le chiese e come risposta ricevette solo un mugugno.
«Instagram? Snapchat? Twitter? Tutti i social possibili ed immaginabili?» continuò ad elencare, ma la risposta fu sempre la stessa.
Quella non era la prima volta che lei e Luca litigavano. Accadeva in continuazione, soprattutto per colpa sua. Vale sapeva di essere una persona molto difficile e non l'aveva mai nascosto a Luca, era stata chiara fin dalla prima volta che lo aveva visto e dal primo momento in cui lui aveva mostrato dell'interesse nei suoi confronti. Non si era nascosta, soprattutto per quanto riguardava i suoi difetti, anzi, era stata molto sincera al riguardo:
"Dovrei avere anche dei pregi, credo..." gli aveva detto alla loro prima uscita.
Chiara, sincera, limpida come acqua cristallina, trasparente al punto da poterle vedere dentro. Forse era anche per questo che Vale, fin da piccola, aveva avuto difficoltà a relazionarsi con le altre persone, almeno fino a che non aveva conosciuto Bea. Senza di lei non avrebbe avuto nessuno, né Sam, né Chris e molto probabilmente nemmeno Luca.
Da piccola era stata timida e poi tremendamente cinica e pignola. Aveva imparato a fare da sé ogni cosa, senza contare sull'aiuto di nessuno, era molto più facile per lei, soprattutto perché non avrebbe dovuto dire grazie o scusa nel caso di un errore.
Contare sulle persone, affidarsi a loro e lasciarsi trasportare era inconciliabile con il suo carattere, ma con Bea aveva ceduto. Bea la riempiva sempre di attenzioni, sapeva sempre cosa dire ed era attenta al suo umore, proprio come in quei giorni, dove aveva trascorso con lei l'intero week-end e l'aveva assecondata per ogni suo capriccio.
Di fronte a questo, Vale non aveva potuto fare altro che lasciarsi andare.
Poi aveva imparato a fidarsi anche di Luca, che aveva accettato il suo carattere complicato senza nessun compromesso. Lui accettava le sue dimenticanze e disattenzioni, anche la sua freddezza nei momenti dolci, il suo cinismo di fronte a problemi che riguardavano la sua famiglia. L'amava per quello che lei era; ora però, sembrava essersi volatilizzato.
«Chiamalo!» disse Bea di slancio, alzandosi a sedere sul pavimento. Vale fece finta di non sentirla, continuava ad accarezzare il suo gatto e a far scorrere le dita sul touch.
«Non far orecchie da mercante, Vale. Chiamalo e basta!» le ordinò Bea, alzandosi dal pavimento così velocemente che Persico, dallo spavento, balzò via e si rintanò sotto al letto.
«Hey!» la rimproverò Vale, irritata per averle spaventato il gatto. Bea le si parò davanti porgendole il suo cellulare.
«Chiamalo» ripeté per la terza volta e Vale alzò lo sguardo a guardarla.
«Non ne ho nessuna intenzione.»
E non scherzava affatto. Non lo avrebbe fatto, lei era nella parte della ragione, per quanto riguardava il loro litigio precedente alla festa. Non avrebbe ceduto. Nel caso Luca avesse saputo di quello che aveva fatto quella sera, Vale riteneva che se lui l'amava davvero, come professava, l'avrebbe chiamata per una spiegazione; cosa che non era ancora accaduta. Luca quindi non sapeva nulla e Vale poteva continuare a rimuginare senza sosta sul perché la sua storia stava andando a rotoli in quel modo, senza sosta e senza possibilità di rallentare.
Immersa nei suoi pensieri, Vale non si rese conto di quello che Bea stava facendo. Dopo averle posto il cellulare aveva fatto dei passi indietro e aveva iniziato a pigiare dei tasti sul display dopo di che aveva alzato il cellulare al cielo.
«Che cosa diavolo stai combinando?» le chiese Vale corrucciata, guardando Bea issarsi in punta di piedi e con l'intenzione di allungare il più possibile il braccio, come se volesse provare a toccare il soffitto. Non terminò nemmeno di chiedere che dal vivavoce del cellulare di Bea si sentì il suono di una telefonata in partenza.
«No! No! No!» iniziò a gridare Vale, alzandosi di scattò dal letto e lanciandosi su Bea, ormai pronta a tutto. La scansò a sinistra e, mostrando di avere ancora molto talento nella danza, Bea fece una piroetta.
«Bea, no!» ripeté Vale con lo stomaco che sembrava esser diventato un macigno. Non voleva parlare con Luca, non sapeva cosa dirgli. Non voleva mentire ed era certa del fatto che non ci sarebbe nemmeno riuscita, il vero problema era che non sapeva come farsi perdonare, molto probabilmente non ci sarebbe mai riuscita e quell'idea l'atterriva.
Vale si lanciò su Bea a mo di placcaggio e la fece atterrare sul letto, il telefono volò sul pavimento toccando la parete con un rumore sordo. Bea gridò e si slanciò per afferrare il cellulare, Vale le si aggrappò alla vita e le si arrampicò lungo il corpo come se la sua amica fosse una corda e alla fine riuscì a raggiungere il dispositivo. Lentamente e contro le proteste di Bea, riuscì ad alzarsi e stava per pigiare il tasto rosso, quando sentì la voce di Luca dall'altra parte dell'apparecchio: "Bea?! Che sta succedendo? Va tutto bene?"
Vale e Bea si guardarono, e prima che quest'ultima potesse afferrare il cellulare, Vale se lo portò all'orecchio.
«Luca?» disse, pronunciando il suo nome con voce così flebile che Vale si chiese se l'avesse sentita, così lo ripeté cercando di essere più decisa.
«Luca, sono Vale.»
"Ti avevo già sentita la prima volta. Cosa c'è?" le chiese con un tono di voce quasi irriconoscibile, come se non dormisse da giorni o come quando ti sembra che il mondo ti stia crollando addosso, ma in realtà sei solo stanco di non riuscire a controllare la tua vita.
«Vediamoci, ti prego. Dobbiamo parlare.»
***
In un parcheggio: ecco dove erano finiti.
In uno squallidissimo parcheggio non molto lontano da casa sua.
Vale era riuscita a raggiungerlo dopo aver salutato Bea, la quale si era offerta di accompagnarla, molto probabilmente per assicurarsi che Vale non si tirasse indietro.
Dopo aver deciso dove incontrarsi e aver staccato la chiamata, Vale era corsa in bagno, aveva vomitato anche l'anima e poi si era buttata sotto la doccia, tutto sotto gli occhi di una Bea sempre più corrucciata e silenziosa. Vale aveva cambiato una miriade di vestiti, ma non sapeva quale fosse quello giusto per dire al proprio uomo che lo aveva tradito, baciando un altro. Alla fine aveva deciso Bea per lei: jeans, t-shirt e converse, praticamente il solito.
«Non è cambiato nulla Vale. Sei sempre tu. Andrà tutto bene, vedrai. Luca capirà. Non lo volevi baciare... eri alticcia e Bart ne ha approfittato, tutto qui.» la incoraggio Bea, ma Vale aveva una cattiva sensazione. Non aveva paura, ne ansia, ne angoscia. Lo stomaco non le doleva e non sentiva la gola stringersi come quando hai terrore che qualcosa stia per accadere. Era tremendamente tranquilla e nel pieno controllo di se stessa. Si era vestita in fretta, aveva dato una sistemata veloce ai capelli e poi era uscita di casa; alle sue calcagna c'era sempre Bea che sembrava molto più preoccupata di lei.
«Ci sentiamo più tardi. Chiamami quando avrete finito di parlare, ok?» le disse Bea. Vale annuì e senza dire altro si allontanò da lei per seguire la direzione del parcheggio.
Ora eccola lì, poco lontana a guardare Luca seduto sul cofano della sua auto parcheggiata. Aveva dei jeans neri e una polo avvitata che metteva in mostra il suo corpo snello, aveva i capelli troppo lunghi e la barba, che di solito radeva tutti i giorni per tenere il viso pulito e liscio, era decisamente trascurata.
Vale gli si avvicinò lentamente, mentre con le mani stringeva forte un coniglietto di peluche che Luca le aveva regalato al loro primo appuntamento.
«Ehi...» lo salutò titubante. Lui fece solo un cenno con la testa, restando in silenzio a guardarla da capo a piedi come se non la riconoscesse, come se avesse davanti a sé una sconosciuta incontrata così per caso.
«Credevo mi avresti chiamato. Sono passati giorni e tu...» aveva iniziato Vale, restando ferma impalata di fronte a lui come se ci fosse una sbarra ad impedirle di avvicinarsi a lui.
«Io cosa? Non ti ho chiamata!?» la interruppe Luca fuori controllo. Aveva provato sicuramente a trattenersi quando l'aveva vista, ma era evidente per Vale che non ci era riuscito. Erano bastate poche parole ed ecco che stava per assistere, per la prima volta, all'esplosione di un vulcano, una bolla di emozioni che le stava scoppiando proprio davanti, inesorabilmente.
«Uh guarda, Luca, il mio fidanzato scemo non mi chiama, eppure sa di essere nel torto, lui è sempre nel torto! È nel torto quando prova a tenermi la mano in pubblico o a baciarmi; lo è se è troppo dolce o se cerca di assecondarmi e anche quando prova a farmi capire che mi desidera; persino quando cerca di presentarmi ai suoi genitori! È così stupido che mi da la piena fiducia e vuoi sapere come lo ricompenso!?» le chiese, dopo aver parlato a raffica senza fermarsi nemmeno per respirare.
Rosso in volto e decisamente fuori di sé dalla rabbia, Luca si staccò dall'auto e con uno scatto le si pose a pochi centimetri dal viso, con la schiena dritta e la testa china per guardarla dall'alto verso il basso, costringendo Vale a fare qualche passo indietro.
«Cosa hai Vale? Paura del tuo fidanzato scemo?» le chiese ancora, avvicinandosi sempre di più. Vale non riusciva più a muoversi. Di fronte alla sua paura, Luca le si scansò rapido, iniziando a tirare calci alle pietre del parcheggio, alla ruota anteriore della sua auto e poi un pugno allo specchietto laterale destro che si ruppe e gli ferì la mano.
Quello non era il suo Luca. Lui era buono, gentile, dolce, paziente, generoso, simpatico e difficile all'ira. La persona che aveva di fronte era... non aveva la più pallida idea di chi fosse.
Vale vedeva il sangue scorrere lungo la mano di lui. Tentò di avvicinarsi, nonostante fosse sconvolta. Per la prima volta aveva dimenticato di portare la sua borsa in cui avrebbe trovato fazzoletti e cerotti.
Luca la vide avanzare, ma questa volta fu lui a tirarsi indietro. Le fece segno di fermarsi e, prima di cominciare a parlare, fece due enormi respiri.
«Scusa. Non volevo spaventarti...» le disse con voce flebile, mentre si teneva stretta mano, rigirandosela davanti agli occhi.
«Ti ho vista... venerdì sera» aggiunse con voce pacata e gli occhi ancora fissi sulla sua mano.
Non le stava più di fronte, Luca si era spostato di profilo, molto probabilmente per poter alzare lo sguardo davanti a sé e non vederla.
Fu in quel preciso momento che Vale la sentì, quell'orribile sensazione di vuoto, del nulla più assoluto. Un enorme buco nero aveva lacerato la terra sotto i suoi piedi e la stava attirando dentro di sé. Tra non molto di lei non ci sarebbe stato più nulla.
«Non credo che debba aggiungere altro. Non voglio sapere il perché, me ne sono fatto un'idea.»
«Luca, io...» provò a dire qualcosa nella sua più totale incoscienza.
«Non parlare Vale. Non c'è niente che tu possa dirmi in questo momento per farmi cambiare idea. Sono stanco, dannatamente e profondamente stanco di rincorrerti, di arrancare dietro di te come un cane affamato e bisognoso. Ho bisogno di pace e serenità, due cose che non sei in grado di darmi. Mi dispiace.» disse e non aggiunse altro.
Rimasero in silenzio per un po'.
Ad un certo punto Vale credette di sentire Luca offrirle un passaggio fino a casa, ma lei aveva scosso la testa, o almeno credette di averlo fatto.
Lui, alla fine, se ne andò davvero e lei rimase da sola nel suo buco nero per lasciarsi risucchiare.
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