Capitolo 3 - Sam

«E' tornato, Sam! Improvvisamente. Nessun messaggio, telefonata, avviso, nulla di nulla!» ripeté Chris per l'ennesima volta, agitandosi sulla sedia. Di fronte a lei, Sam cercava di contenere l'agitazione della sua amica per non attirare l'attenzione di tutto il chiosco su di loro.

«Non dovresti dire così, è pur sempre casa sua e voi siete la sua famiglia» disse Sam con tono deciso.

«Avrebbe dovuto pensarci prima... e comunque non c'era nessun motivo per cui dovesse tornare. La sua famiglia l'ha persa quando ha fatto ciò che ha fatto, di amici veri non ne ha mai avuti, non ha nemmeno una fidanzata. Marco non ha alcuna ragione di essere qui!» disse Chris guardando dentro il suo bicchiere.

«Cosa avrà fatto di tanto grave?! Infondo è partito per stare con tua nonna, no?»

Chris sorrise ironicamente alla sua domanda, scuotendo leggermente la testa, e Sam divenne improvvisamente sospettosa, capì che c'era qualcosa di cui non era a conoscenza. Chris sospirò profondamente e alzò lo sguardo su Sam, poi, con l'espressione di una tigre in gabbia, le rivelò la verità:

«Mio fratello non è mai stato da mia nonna.»

«Cosa?! - esclamò Sam, rischiando di strozzarsi con la sua Schweppes al limone - Ma allora, dove è stato per tutto questo tempo?»

«Sam... il fatto è che... Marco era in una comunità di recupero» rispose Chris titubante.

«Intendi dire una di quelle...» Sam non riusciva a completare la frase, le parole le si fermarono in gola.

«Mio fratello era entrato in un brutto giro - sospirò - Io lo sapevo, forse ero l'unica. Ho cercato di aiutarlo, di allontanarlo. Lui era arrivato a chiedermi la paghetta settimanale e... » si fermò guardandosi intorno, come se avesse paura di essere sentita, o magari solo vergogna.

«Speravo che lui smettesse, lo coprivo con mamma e papà. Ho fatto di tutto.» disse Chris, abbassando il volto.

«Ma eri poco più che una bambina... non potevi fare nulla.»

«Lo so, ma era mio fratello e poi lui me l'aveva promesso. Mi diceva che ne sarebbe uscito.» Chris smise di parlare, lasciò andare il bicchiere sul tavolo e si portò le mani sul viso, per nascondere la commozione.

«Poi l'hanno scoperto... i miei.»

Sam le prese le mani e le liberò il viso. Le sorrise dolcemente e allora Chris trovò la forza di ricomporsi. Si asciugò le lacrime e bevve un sorso del suo drink da una delle due cannucce, poi continuò:

«Una sera Marco uscì prima del solito; mi disse "non ti preoccupare, quando torno ti porto un regalo." Mi infilai nel suo letto e mi addormentai con la speranza che quella volta - almeno quella! - Mantenesse la parola. Ricordo di averlo sognato; mi abbracciava e mi diceva che mi voleva bene.» In quel momento Chris alzò gli occhi al soffitto per trattenere il pianto.

«Mi svegliò il grido di mia madre.»

Ormai non poteva più trattenersi. Singhiozzava. Sam la guardava attonita, con gli occhi velati di lacrime, un nodo alla gola le impediva di parlare.

«L'ultima cosa che ricordo è Marco disteso sul pavimento del soggiorno, con mio padre che gli chiedeva cosa fosse successo. Mia madre era entrata in panico e riusciva solo a gridare. Non capivo nulla di ciò che stesse dicendo e la prima cosa che pensai di fare fu prendere il cordless e passarlo a mio padre. In quel momento, mi voltai verso Marco. I suoi occhi mi guardavano ma lui non c'era.

L'ambulanza arrivò dopo pochi minuti. Un medico mi portò in camera e mi disse che non dovevo preoccuparmi, che sarebbe andato tutto bene. Rimasi da sola per un po' di tempo, ma mi sembrò un'eternità. Più tardi mi spiegarono che non era successo nulla di grave e che Marco sarebbe andato via per qualche giorno. "Posso salutarlo" chiesi. Mi venne detto di no.

Ero talmente arrabbiata che confessai tutto ciò che sapevo a mio padre.

Gli dissi delle notti in cui avevo visto Marco uscire di soppiatto e dei soldi che mi aveva chiesto. Pensavo che avrebbe dato di matto e, invece, lui uscì dalla mia camera e non lo vidi per tutto il giorno dopo. La mattina seguente, accompagnai mia madre a firmare delle carte in ospedale e lì ci diedero gli effetti personali di mio fratello.»

Chris prese una catenina dalla tasca e la buttò sul tavolo.

«Questo era il suo regalo... peccato che me lo abbia dato insieme alla notte più brutta della mia vita.»

Sul suo volto c'era una smorfia di risentimento ma le lacrime dicevano tutt'altro.

Sotto tutta quella rabbia, Sam vedeva una ragazza che aveva paura di essere ferita di nuovo. Stava male per lei, ma non sapeva come aiutarla.

Fecero a metà una Coca Cola e pagarono il conto. Uscendo, Sam si accorse che Chris aveva gettato la collana nel cestino ai piedi del bancone.

«Vuoi un passaggio?» le chiese salendo sul motorino.

«No, sai che mi piace andare a piedi» rispose Sam.

«Ok. Allora ci sentiamo presto.»

In pochi secondi la vide scomparire fra le auto in coda nel traffico.

Prima di incamminarsi verso casa, Sam ripensò a quella collana, era un peccato lasciarla lì, in fondo era stato un gesto dettato solo dalla rabbia. Tornò indietro con l'intenzione di riprenderla. Non c'era più. La collana era scomparsa. Provava un senso di angoscia che le stringeva il cuore, si sentiva coinvolta - troppo - e non riusciva a spiegarselo. Cercò di reprimere quell'orribile sensazione infilando le cuffie dell' i-pod e alzando il volume al massimo. Mentre si allontanava, venne strattonata violentemente; si voltò di colpo con aria irritata.

«Ma cosa diamine...» le parole le si bloccarono in gola e avvampò.

Era lui.

«Scusa...» disse, togliendosi lentamente gli auricolari.

«No, scusa tu... non volevo spaventarti. Credo tu abbia perso questa» le disse, porgendole la catenina. Sam prese la collana senza dire una parola, non riusciva a credere di averlo incontrato di nuovo. Quante probabilità c'erano?

«È davvero carino il ciondolo a forma di farfalla, ma non mi sembra molto adatto ad una come te.»

«Come fai a dirlo? Tu non mi conosci»

«Beh, forse lo pensi anche tu... visto che l'hai gettato via.»

«In realtà non è mio, è di una mia amica... ma comunque è meglio che lo tenga io.»

«Ha litigato col suo fidanzato?»

«Non esattamente... era un regalo di suo fratello... non chiedermi nulla, è una storia troppo lunga da raccontare.»

Abbassò lo sguardo, consapevole di aver già detto più del dovuto.

Lui la guardò; sembrava turbato da quelle parole. Si accigliò e tese la mascella. Si intravedevano i nervi nelle braccia scoperte. Le mani conficcate nelle tasche dei jeans. D'un tratto trasalì, passò la mano fra i capelli castani, ricci e leggermente scompigliati. Sorrise. Aveva il sorriso più dolce che Sam avesse mai visto.

«Dopo il salato ci vuole un po' di dolce.»

«Cioè?» chiese Sam confusa.

«Stavo cercando di invitarti a prendere un gelato» rispose lui arrossendo. Sam rise e arrossì a sua volta.

«Oh, ok...» rispose con voce tremante.

Cioccolato e stracciatella lui, caffè e tiramisù lei. Restarono per un po' a chiacchierare seduti sulla panchina del parco, poco distante dalla gelateria. Di fronte a loro il mare rifletteva la luce del sole, creando numerosi scintillii sulla sua superficie; ciò rendeva gli occhi di Sam particolarmente azzurri e luminosi.

«Comunque... io sono Samantha, tu chiamami Sam» si presentò, porgendogli la mano libera dal gelato. Lui la guardò esitando un attimo.

«Io sono Riccardo, ma gli amici mi chiamano Riky.»

«E' stato bello parlare con te, Riky, ma ora devo andare.»

Sam si alzò e fece un passo indietro.

«Vai già via?» le chiese lui, alzandosi di colpo e afferrandole la mano. Per un attimo rimasero a guardare quelle dita intrecciate, poi distolsero lo sguardo, imbarazzati. Riky si ritrasse e fece a sua volta un passo indietro. Sam lo guardò rossa in viso e sorrise.

«Non ho detto che sarei uscita, i miei si preoccuperanno.»

«Oh, allora ok. Spero di rivederti presto.»

«Chissà...»

Si salutarono solo con un cenno e lei andò via cercando di dissimulare il tornado di sensazioni che aveva dentro.

Sam camminava lentamente, sforzandosi di non voltarsi a cercare di nuovo quegli occhi estranei, ma così familiari; il cuore le batteva forte e il rossore non era ancora scomparso dalle guance. Era da molto che qualcuno non le facesse sentire le "farfalle nello stomaco", ed ora non sapeva come gestire la situazione; doveva dirlo alle sue amiche, loro avrebbero saputo dirle cosa fare.

Raggiunta finalmente casa sua, Sam vide Bea in piedi, accanto al suo motorino, particolarmente sorridente.

«Cosa ci fai tu qui?» le chiese, sorpresa.

«Ti stavo aspettando. Poco fa sono passata per il parco.» le disse Bea con aria maliziosa.

«E suppongo che tu sia qui perché ci hai visto... come ti sembra?» le chiese Sam imbarazzata.

«È bello!» disse Bea, entusiasta « Ma dove vi siete conosciuti?»

«Ricordi la festa?»

«Ora ricordo! Quindi è per lui che rientrasti completamente scombussolata. Perché non hai detto nulla?» Bea sembrava un'isterica senza controllo.

«Non significava niente, non sapevo nemmeno il suo nome... ma ora... ora è diverso. Ma tu, piuttosto, cosa ci facevi al parco?»

«Ti stavo cercando. Ho pensato che potremmo stare un po' insieme, tutte e quattro, dato che l'altro giorno sono scappata via in quel modo; vorrei farmi perdonare» disse Bea con il suo solito sguardo da cerbiatto.

«Certo che se mi guardi così non posso certo deluderti! Ora mando un messaggio a Chris e vediamo lei cosa ne pensa.»

«In realtà, l'ho chiamata mentre ero qui ad aspettare che tornassi. Ha detto che possiamo stare da lei. Sembra che suo fratello Marco sia tornato, ma che non passi molto tempo a casa, mentre Carlo è da un amico.»

«Perfetto! Vale ci sarà?»

A quella domanda Sam vide Bea cambiare repentinamente espressione; le sembrò talmente evidente che fu sul punto di chiedere il motivo di tale reazione, ma qualcosa le diceva che non era nè il luogo è nè il momento adatto.

«Non ne ho idea. Ho chiesto a Chris di chiamarla.»

Se alla prima poteva avere qualche dubbio, ora Sam era più che certa che Bea avesse qualcosa da nascondere. Rimase per qualche secondo in silenzio sperando che la sua amica si decidesse a dirle qualcosa; la guardò fingere indifferenza e capì che sarebbe stato più facile cavare un ragno da un buco che ottenere una confessione.

«Com'è andato l'appuntamento di domenica? Anche lui era bello?» Urlò Sam, cercando di riportare Bea sulla Terra.

« È finita ancora prima di iniziare» rispose lei, smorzando una smorfia di disappunto.

«Mi dispiace.»

«Non preoccuparti, non piangerò per lui!» Si sforzò di sorridere in modo convincente e quasi ci riuscì.

«Non te lo permetteremo.»

Bea fece segno a Sam di salire sullo scooter e le passò il casco, che Sam afferrò goffamente.

"Non pensarci, si aggiusterà tutto". Sam cercava di autoconvincersi, mentre allacciava con parsimonia il casco. Afferrò saldamente i fianchi di Bea e la sentì irrigidirsi, ma scelse, ancora una volta, di ignorare il segnale. Poggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi mentre Bea guidava veloce verso casa di Chris.

Qui decisero di preparare una macedonia e, proprio mentre stavano sbucciando la frutta, udirono un rumore provenire dal fondo del corridoio, poi il suono del campanello.

«Questo è quell' idiota di Marco che avrà sicuro dimenticato qualcosa, gli avevo detto di starsene lontano per un po'!» si lamentò Chris, che si pulì nervosamente le mani e andò ad aprire.

Le ragazze si precipitarono anch'esse, curiose di vedere il famoso fratello tanto odiato. Quando la porta si aprì la figura di Marco si stagliò davanti a loro quattro.

Lui era alto e con un fisico atletico; indossava una t-shirt e un paio di jeans troppo larghi per le sue gambe lunghe e snelle; un accenno di barba copriva le guance, il piercing brillava sull'orecchio sinistro.

Quei capelli ricci e scompigliati. Quegli occhi scuri e tanto familiari.

Sam rimase attonita, il viso le diventò rosso. Sentiva le orecchie in fiamme, ma non era per l'imbarazzo. I loro occhi si incrociarono e rimasero a guardarsi come inebetiti.

«Non mi avevi detto che c'erano anche le tue amiche!» disse Marco, rivolgendosi bruscamente a Chris. Cercò di non urlare trattenendo le parole tra i denti.

«E a te cosa importa?» rispose lei, irritata.

«Niente.» fece una piccola pausa e ingurgitò un boccone di aria. Provò a ricomporsi; ormai era tardi per rimediare al danno.

«Ero venuto a dirti che farò tardi, esco con degli amici.»

Senza nemmeno attendere la risposta di Chris, si voltò e si dileguò in un attimo.

«Sempre il solito. Andiamo ragazze, c'è una macedonia che aspetta» disse lei sbattendo la porta.

Bea guardò Sam, che era diventata scura in volto e rigida come il marmo.

«Ma Sam...»

«Sì, lo so...»

Tornarono in cucina; Sam aveva un nodo alla gola che le impediva di parlare.

"Come è possibile? Perché ha sentito il bisogno di mentirmi? Non ha alcun senso". Sam non riusciva proprio a crederci.

Riccardo, in realtà, era Marco.

«Sam, stai bene? Sei bianca come un lenzuolo.» Le chiese Chris preoccupata.

«Ho solo un po' di nausea, deve essere qualcosa che ho mangiato. Credo che andrò a casa a riposare.» rispose accennando un finto sorriso.

«Ti accompagno!» le disse Bea, forse per non lasciarla sola.

«Non ce n'è bisogno. Sono solo pochi passi.»

Salutò le amiche in fretta e si precipitò fuori, cercando di dissimulare il più possibile. Dovevano credere che stesse bene, altrimenti non l'avrebbero mai lasciata andare via. Quando fu sicura che le altre non potessero vederla, si fermò per un attimo; le gambe molli e il fiato corto; cercò di sostenersi poggiando la schiena contro un muro e scoppiò a piangere. La rabbia e la delusione schizzarono fuori in un pianto smodato. Cercava di coprirsi gli occhi con le mani, ma quei mattoni ingrigiti erano l'unico sostegno che ancora le permetteva di rimanere in piedi.

Quando si fu calmata, decise di andare in cartoleria dove comprò un album e due matite. Erano giorni che non disegnava, ma ora sentiva il bisogno di farlo; doveva farlo. Era l'unica cosa che le permetteva di estraniarsi dal mondo e sentirsi meglio.


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