Capitolo 3 - Bea
Il cuore le batteva all'impazzata nel petto, le sudavano le mani e sembrava che qualcuno le avesse dato un pugno nello stomaco perché le faceva male al tal punto che le mancava il fiato.
Bea aveva paura, dannatamente paura di cosa sarebbe successo tra Vale e Luca, di cosa si sarebbero detti. Ma, più di tutto, di cosa le avrebbe raccontato lui.
Si chiese se le cose si sarebbero sistemate, ma dentro di lei sapeva che era impossibile. Luca era un bravo ragazzo, ma non uno che perdona una leggerezza come quella commessa da Vale, della quale, tutti erano certi, lui si fidasse ciecamente; fosse stata nei suoi panni, nemmeno Bea l'avrebbe perdonata, di questo era sicura.
Bea aveva osservato Vale attraversare la strada per raggiungere Luca, ma non era riuscita ad andare via lasciandola da sola ad affrontare la verità; aveva fatto il giro dell'isolato e si era nascosta dietro un muretto che dava proprio sul parcheggio isolato dove si erano dati appuntamento i due.
"Andrà tutto bene" si ripeteva nella mente come fosse un mantra. Lo sperava soprattutto per Vale, la quale non meritava tutta quella merda.
"É tutta colpa mia e della mia stupidità!"
Accucciata quel tanto che bastava a non farsi vedere, cercò di ricordarsi il momento esatto in cui tutto aveva preso la piega sbagliata.
Da quando Lorena era arrivata nella loro classe, Bea aveva iniziato a commettere una miriade di scelte sbagliate e solo per puro caso - o per miracolo - nessuno ne era venuto a conoscenza. Aveva cominciato a farsi domande anche su alcuni suoi pensieri verso Vale, e su degli atteggiamenti che a lei sembravano naturali. Prima di Lorena, tutti i suoi dubbi le sembravano normali, quelli di una qualunque adolescente che stava scoprendo sé stessa; ma Bea sentiva che stavano affiorando lati di sé che non conosceva.
La prima volta che aveva visto Lorena entrare in classe, quest'ultima aveva lunghi dread legati in una crocchia sopra la testa e gli occhi circondati da eyeliner nero, che metteva straordinariamente in risalto il colore quasi smeraldo delle sue iridi. Sorrideva in maniera smagliante, un sorriso così largo che sembrava arrivare alle orecchie, ma, nonostante ciò, sembrava molto triste.
Quando le si era seduta accanto, si era presentata con voce dolce e Bea poté notare che, in effetti, Lorena aveva le lacrime agli occhi, ma si sforzava di non lasciarle cadere lungo le guance. Quello fu il primo colpo per Bea, che guardava quella giovane donna che pareva provenire da un altro pianeta. Ogni giorno che passava per lei diventava sempre più difficile mentire a sé stessa; provava delle sensazioni che non capiva e a cui non sapeva dare un nome.
Nei giorni seguenti avevano iniziato a conoscersi e Lorena le aveva confessato che quel giorno, il suo primo giorno di scuola, aveva davvero pianto; aveva dovuto lasciare la scuola un anno prima, per volere dei suoi genitori e per risolvere dei problemi che, secondo loro, lei avesse. Un anno era passato e Lorena era ancora Lorena, solo meno forte e con più muri da abbattere. I suoi amici erano tutti all'ultimo anno di liceo, anche suo fratello Bart, che amava immensamente per tutto quello che aveva fatto per lei quando stava male e quando non le era permesso uscire di casa. Anche lui si era messo spesso nei guai, come i debiti di gioco contratti che Lorena si sentiva in dovere di risolvere.
Se il fato non avesse deciso per loro, Bea e Lorena non si sarebbero mai incontrate e, quando Bart si fosse indebitato per l'ennesima volta, Lorena non avrebbe trovato Bea pronta ad aiutarla. All'inizio Lorena si era tenuta tutto per sé e quando Bea faceva domande su tutto quello che la riguardava, tergiversava su argomenti inutili e senza senso. Molto spesso era nervosa e si chiudeva in se stessa, senza mai far trapelare quello che sentiva e provava. Ma un giorno Bea lo aveva scoperto, aveva visto con i suoi occhi quello che le stava accadendo e non aveva potuto far altro che intervenire.
Era arrivata a scuola anticipando di almeno venti minuti le sue amiche; se ne stava ferma sul marciapiede, gli occhi scuri piantati sul display del cellulare e le dita veloci pigiavano con insistenza sul touch per mandare tanti messaggi in meno tempo possibile.
Quella mattina Bea venne sorpresa dall'arrivo di Lorena, giunta a scuola prima del solito. Era da sola, senza la "palla al piede" di nome Bart.
Bea l'aveva vista avvicinarsi a un paio di ragazzi che sembravano attendere proprio lei, evidentemente nervosa e agitata.
Non credeva di averli mai visti, forse i due erano più grandi di qualche anno rispetto a lei, oppure frequentavano una scuola diversa dalla sua, fatto sta che non le piacevano affatto. Se ne stavano fermi accanto a un motorino parcheggiato in malo modo, indossando entrambi delle giacche di pelle nera e jeans strappati; uno dei due, quello più alto e snello, portava legata alla cintola una catenina con cui giocava insistentemente con le dita, mentre l'altro ragazzo, basso e tarchiato, fumava e si muoveva sul posto in modo nevrotico.
Bea aveva cercato di non guardare, di non impicciarsi dei fatti altrui, ma quando il ragazzo tarchiato aveva scrollato con violenza il braccio di Lorena, non aveva potuto fingere e si era avvicinata.
«Hey, che sta succedendo qui?» aveva chiesto, alzando la voce per cercare di farsi sentire da più persone possibile, nella speranza che, nel caso le cose si fossero messe male, qualcuno avrebbe potuto interve e non per fare video da condividere sui social.
«Bea, va tutto bene. Stavano solo scherzando» disse Lorena, che si era scrollata di dosso il ragazzo e lentamente, tenendosi con la mano il braccio che quell'idiota aveva stretto evidentemente troppo forte, le si era avvicinata.
Bea non sopportava le ingiustizie e la violenza, non sopportava l'arroganza e la prepotenza e per questo non aveva creduto minimamente alle parole di Lorena.
«Che cosa volete da Lorena?» aveva chiesto, avvicinandosi ai due ragazzi che si erano scambiati un'occhiata veloce.
«Non sono affari tuoi questi. Stanne fuori.» aveva risposto il ragazzo più alto. Ora che le si erano avvicinati era sicura di averli già visti, ma non ne era molto convinta, forse in qualche foto o in un locale, ma non riusciva a ricordare dove.
«Sì, è vero, non sono affari miei, ma lo saranno dei carabinieri se li informo che avete provato ad aggredire la mia amica, quindi ditemi immediatamente che cosa volete da lei!» li aveva minacciati, abbassando il tono di voce. Di fronte a quei due e dopo essersi resa conto delle parole che aveva pronunciato, il gelo del terrore era sceso su di lei. "Perché cavolo mi sono messa in questo pasticcio?!"
«Niente carabinieri, noi vogliamo solo i nostri soldi» aveva detto il ragazzo basso e il suo amico aveva provato subito a fermarlo, ma ormai aveva già detto tutto quello che a Bea serviva sapere. Lei aveva aperto la sua borsa e aveva tirato fuori il portafogli.
«Quanto vi deve la mia amica?» aveva chiesto decisa. Aveva sentito la mano di Lorena fermarsi sul suo braccio, ma l'aveva subito scrollata via; non voleva essere toccata da lei, non in quel momento.
«Non credo che tu abbia abbastanza soldi in quel coso.»
«Mettimi alla prova e vedremo.»
Lorena le si era avvicinata alle spalle e le aveva confessato la cifra. Bea era rimasta ferma a guardare i due energumeni negli occhi, dopo di che aveva rimesso via tutto.
«Ci vediamo pomeriggio al parco, avrete quello per cui siete venuti.»
Si era voltata e, prendendo per la prima volta la mano di Lorena, l'aveva tirata via dai guai.
Non voleva sapere come aveva fatto ad accumulare un debito del genere, né il motivo, voleva solo esserle d'aiuto. La lasciò andare davanti all'entrata della scuola, ma anziché entrare, era passata oltre, arrivando fino al parcheggio isolato dei professori.
«Bea! Aspetta!» l'aveva chiamata Lorena, ma Bea non aveva voluto ascoltarla. La paura le stringeva lo stomaco e stava per vomitare anche l'anima che pochi minuti prima era convinta di aver venduto al diavolo.
«Bea!»
Lorena le aveva afferrato la spalla per attirare la sua attenzione. Lei si era voltata e, senza riuscire a trattenersi, aveva rimesso tutto quello che aveva in corpo.
«Scusa... io... non volevo vomitarti sulle scarpe...» le aveva sussurrato poco dopo, quando era riuscita ad allontanarsi dal suo vomito e aveva raggiunto la parte più nascosta del parcheggio.
«Non fa niente, non preoccuparti per loro, ma tu perché lo hai fatto, Bea?» le aveva chiesto, avvicinandosi a lei e al suo alito cattivo. Bea aveva aperto veloce la borsa senza risponderle; la verità era che non lo sapeva, non riusciva a capire cosa le fosse venuto in mente. Non erano decisamente affari suoi e non avrebbe dovuto intromettersi nella vita di Lorena, che Bea credeva essere una persona in gamba, ma che in realtà era una ragazza che poteva portarle solo guai.
Il suo nervosismo era accentuato dal pacchetto di gomme che non riusciva a trovare all'interno della borsa e al fatto che Lorena le fosse troppo vicina.
«Non avresti dovuto...» le sussurrò, sfiorandole la guancia. Bea aveva fatto qualche passo indietro, continuando a tenere gli occhi puntati all'interno della borsa.
«Si invece. Nessun altro ti avrebbe aiutata.» le aveva fatto notare e poi aveva tirato fuori finalmente quello che cercava.
«Lo so, ma non avresti dovuto lo stesso, sono troppi soldi... Prometto che te li darò al più presto.» le aveva assicurato, mentre la scrutava attentamente in volto. Lorena aveva alzato la mano e l'aveva avvicinata al suo viso, le aveva scostato una ciocca dei suoi ricci biondi e gliela aveva sistemata dietro all'orecchio. Fu in quell'istante che Bea aveva sentito ciò che non avrebbe voluto, quello che non credeva dovesse provare.
Brividi le scossero il corpo e il cuore aveva iniziato a batterle nel petto tanto forte che le era sembrato di avere delle botti di legno che le risuonavano proprio nelle orecchie.
Tum. Tum. Tum.
«Sapevo che eri perfetta, ma non credevo lo fossi per me. Grazie.»
Tum. Tum. Tum.
Poi Lorena si era ritratta, ponendo della distanza tra loro due che Bea aveva apprezzato moltissimo; finalmente poteva ritornare a respirare.
«Io li conosco bene quei due e non sono cattivi, lo fanno solo perché sanno che, minacciando me, Bart gli ridarà ciò che è loro.» aveva aggiunto poco dopo Lorena, mentre si erano dirette verso la scuola.
Bea si era voltata di scatto verso Lorena, la quale teneva la testa bassa.
«Bart? Il debito è suo?» le aveva chiesto allarmata Bea, fermandosi poco distante dall'entrata.
«Sì, certo. Credevi che potessi essere in grado di fare una cosa del genere io? E per cosa poi?» le aveva risposto sorridendo, nonostante l'evidente imbarazzo.
«Ti prego solo di non farne parola con nessuno. Mio fratello è un ragazzo problematico, ma molto buono... te lo posso garantire!» aggiunse prendendole la mano per condurla all'interno, ma Bea l'aveva ritratta.
«Non l'ho fatto per lui... lo sai, vero?»
Per l'ennesima volta non sapeva perché si fosse data premura di farglielo notare.
Bea voleva aiutarla a prescindere dalla gratitudine che Lorena avrebbe potuto provare.
Bea aveva sempre desiderato essere come Bruce Wayne e Peter Parker, come Clark Kent e tutti quegli eroi che indossavano una maschera pur di far del bene senza avere nulla in cambio. Qualcuno lo chiamava altruismo, altri stupidità.
Per lei, quella mattina, era stata solo Lorena e i suoi occhi brillanti di felicità, il suo sorriso e la sua simpatia.
Aveva sentito qualcosa scuoterle dentro e ciò le era bastato.
Scosse la testa e cercò di allontanare quel pensiero da lei. Non era il momento di pensare a quello che sentiva per quella ragazza, Vale restava ancora la cosa più importante.
Riportò l'attenzione alla coppia nel parcheggio e quello che vide fu un ragazzo furibondo, fuori di sé dalla rabbia, atterrito dal dolore.
La sofferenza di Luca per il tradimento di Vale, per la fiducia riposta male, per l'amore e il rispetto mancato.
Dall'altra parte c'era Vale, immobile, inerte di fronte ad un uomo distrutto; per l'ennesima volta un muro di cemento armato che nemmeno le urla, le grida e le lacrime erano riuscite a scalfire.
Alla fine Luca se ne andò, lasciando la sua migliore amica da sola in quello stesso buco di asfalto isolato, circondato dai palazzi che man mano si tingevano di arancio, rosso e viola, i colori del sole che tramontava.
Bea rimase a guardarla da lontano per un paio di minuti; le veniva da piangere e lo avrebbe fatto se non fosse stato per la vista di Vale che, smarrita fece dei passi indietro e poi di nuovo in avanti, la mano a mezz'aria, come se volesse aggrapparsi a qualcosa o a qualcuno.
Solo così Bea si riscosse finalmente dai suoi sensi di colpa e corse da lei.
«Vale...» sussurrò, mentre ancora scendeva dal motorino. Le prese la mano e lentamente avvicinò il corpo dell'amica al suo, così lentamente che sembrava avesse paura di essere attaccata, aggredita se non anche respinta dalla frustrazione di Vale; solo quando fu abbastanza vicina, la abbracciò stretta e le accarezzò i lunghi capelli e il volto rigato di lacrime, mentre dalle labbra della sua amica non fuoriusciva nemmeno un ansito.
Fu in quel momento che Bea sentì come un boato enorme, un vetro che andava in frantumi in mezzo al nulla più assoluto, non capì da dove provenisse e non gli diede peso.
Prese Vale per mano e, abbandonando il suo motorino nel parcheggio, la riportò a casa, un passo dietro l'altro.
Bea ne era sicura, quello non era altruismo.
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