Parte 9 - Un frutto ingannevole
Quando l'urlo di Orfeo squarciò l'aria, Ade stava passeggiando lungo il fiume della dimenticanza. Quanto avrebbe voluto che quell'acqua cheta avesse effetto anche sulla sua memoria, che cancellasse la vita che si era scelto e gli occhi acquamarina che gliela stavano sconvolgendo ancora una volta.
Il tempo che Zeus gli aveva concesso per conquistare Koros si avvicinava inesorabile alla fine, proprio come l'acqua che scorreva ai suoi piedi, ma Ade non sapeva cosa fare. Mettersi inginocchio e implorare Koros di rimanere? Possederlo con la forza per legarlo a sé? Il ricordo del bacio che gli aveva dato lo tormentava. Aveva visto le pupille di Koros dilatarsi, il calore scaldargli la pelle. Il suo volto che ricordava un bocciolo di rosa era diventato vermiglio.
Ade non aveva voluto forzarlo, ma adesso il desiderio lo consumava così come l'ansia di poter perdere il giovane.
«Ade», una voce risuonò per le valli.
Davanti al dio comparve Ecate, la sua lunga chioma, gli occhi penetranti, le mani ancora sporche delle erbe con cui praticava le sue arti magiche.
«Cosa c'è? Il mondo dei vivi ti ha già annoiata?»
Ecate gli si avvicinò, accompagnata dal fruscio della sua veste. «La vita lassù è sopravvalutata. Non ti dico adesso poi... i capricci di Demetra rendono arduo trovare anche un minimo filo d'erba e le mie scorte stanno per terminare. Restituiscele il giovane», gli intimò.
Ade si accese d'ira. «Mai». Vide un sorriso stemperare l'espressione seria di lei.
«Se lo ami così tanto, datti da fare per conquistarlo».
«Le tue acute osservazioni non mi sono di nessun aiuto. Credi sia facile? Koros non mi perdona il fatto di averlo sottratto al suo mondo».
«Come dargli torto... non sei il più simpatico degli dei».
Ade fece per andarsene. Compiacere Ecate era l'ultima cosa di cui aveva voglia in quel momento, ma la dea gli si parò davanti, bloccandogli la strada.
«Voglio aiutarti, perché non sopporto gli altri dei, quelli che si credono migliori di noi, e perché poi? Forse non aspettano anche loro l'oscurità per lasciarsi andare alle passioni o per commettere i loro crimini? Non temono anche loro il grande Ade sebbene siano come te immortali?»
«Vieni al dunque».
«Non puoi aver dimenticato qual è l'unico frutto che cresce in questo regno e quale sia il suo potere. Ho disseminato le valli dove Koros ama passeggiare di melagrane, lo stesso ho fatto nella sua stanza. Se avrà fame o meno ne mangerà. Nessuno resiste al frutto che nasconde mille chicchi dal colore del sangue».
«Sarebbe un inganno, Ecate».
«Forse non ti hanno ingannato i tuoi fratelli quando hanno approfittato della tua generosità? O Zeus quando ha ritrattato la parola data su Koros?»
«Adesso basta!», tuonò lui.
Ecate scomparve in una nuvola nera, verso altri dei da infastidire con il suo spirito pungente. Ade riprese a camminare. Nonostante avesse cercato di reprimere i suoi desideri non riusciva a stare lontano da Koros, e adesso che c'era la possibilità che il giovane avesse già mangiato la melagrana, si era accesa nel suo cuore una speranza. Avrebbe potuto avere Koros con sé, forse per qualche mese, forse per sempre.
Arrivato davanti alla porta della stanza del giovane, bussò. Dall'altro lato non udì nulla.
«Koros», chiamò.
«Entra», replicò il giovane dall'altro lato della porta.
Ade non se lo fece ripetere. Entrato, scorse sulla mensa le focacce, la frutta, l'ambrosia. Il mazzo di fiori che gli aveva regalato era ancora fresco nel vaso. Gli occhi cercarono avidi le melagrane. Ne vide una spaccata sul letto, ma non riuscì a capire se Koros ne avesse già mangiato i chicchi. L'attenzione tornò subito su di lui, quando ne vide gli occhi arrossati di pianto.
Koros era sdraiato sul letto, sollevato su un gomito. Ade non pensò di domandargli il permesso per raggiungerlo. Il suo volto, pur sporcato di lacrime, emergeva perfetto tra la luce delle torce, come una rosa tra i rovi. I suoi occhi, un po' arrossati, conservavano la purezza della pietra di cui riprendevano il colore, l'acquamarina.
Ade sedette al suo fianco. «Hai udito anche tu l'urlo di Orfeo».
Le labbra di Koros si piegarono in una smorfia di disillusione. «Mi avevi avvertito, ma non ho voluto crederti. Perché si è voltato? A nessuno gli dei concedono il lieto fine?»
Ade gli prese il volto tra le mani. Fu sorpreso dal fatto che Koros glielo lasciasse fare. «Il mio mondo spetta a pochi. I vivi vi possono entrare solo rare volte e solo perché io lo voglio. Tra gli dei Ecate è l'unica che passa con indifferenza dagli uni agli altri. Non piangere, ti prego».
«E a te importa se io piango? Sei tu che mi hai fatto versare più lacrime da quando sono venuto al mondo».
Ade diede un'occhiata al frutto accanto a lui. Koros non aveva mangiato neanche un chicco della melagrana. Il cuore gli si lacerava davanti alle sue lacrime, ma il desiderio di stringerlo e di non poterlo fare gli era altrettanto insopportabile. Non riuscì a resistere, il profumo di Koros lo aveva inebriato fin da quando lo aveva strappato alla terra e l'aveva adagiato sul suo carro. Lo attrasse a sé. Koros non si oppose, mentre Ade posava ancora le labbra sulle sue, mentre poi gli baciava il collo, diventando abbastanza audace da usare la sua lingua per accarezzarlo.
Udì Koros gemere, sentì le sue mani posarsi sulle sue spalle.
«Cosa fai?», domandò il giovane.
«Ti voglio», ansimò Ade, «permettimi di amarti».
Koros sollevò le mani, le passò tra i capelli del dio, per un momento si lasciò andare alle sue sensazioni, al modo in cui si sentiva in quel momento, al calore che si spandeva nel suo stomaco, all'idea che se fossero stati entrambi in superficie, forse le loro nozze lo avrebbero fatto felice, ma quando la stretta del dio si fece più possente, quando Koros sentì le sue mani insinuarsi sotto la tunica, fu preso ancora dal terrore, uguale a quello che lo aveva colto quando il dio lo aveva toccato la prima volta.
«Lasciami», disse.
Ade sospirò sul suo collo, quanto gli sarebbe piaciuto essere un essere spregevole, come Zeus, come Apollo; quanto gli sarebbe piaciuto dare sfogo al suo desiderio, strappare la tunica e affondare dentro il corpo del giovane di cui si era innamorato. Poi la vergogna per quei pensieri lo fece ridestare. Si allontanò da Koros e si alzò dal letto.
«Scusami, non volevo, credevo che anche tu...»
«Non dire niente», lo interruppe Koros, ancora sconvolto per il turbinio di emozioni contrastanti che lo agitavano. Anche lui si alzò. «Non possiamo fare niente per Orfeo?»
«Hai già fatto troppo, più di quanto era lecito». Ade rivolse uno sguardo alla tavola, nella speranza di poter riportare la conversazione su un tono cordiale. «È di tuo gradimento quello che hai da mangiare?»
Koros tornò a fulminarlo con lo sguardo, come faceva nei primi giorni, come se i baci tra loro non fossero mai esistiti. «Non è quello che mangio a preoccuparmi». Si avvicinò alla mensa e allungò una mano su un'altra melagrana, la spaccò ed estrasse una manciata di chicchi.
Ade sperò che gli buttasse giù, poi la vergogna tornò a invaderlo. Con un balzo gli fu affianco e gli afferrò il polso lasciando che i chicchi macchiassero il pavimento e la tavola.
«Non mangiarne, questo frutto non è come gli altri. Per ogni chicco che mangerai, rimarrai altrettanti mesi qui con me».
Koros spalancò gli occhi, spostò lo sguardo dapprima sui chicchi dal colore del sangue, poi lo incatenò a quello di Ade. «Non credevo che potessi essere capace di tanta onestà».
Ade gli lasciò il polso. «Non sono il mostro che tu credi. Non sei qui per essere trattato come un concubino, voglio che tu sia il mio sposo». Voglio che mi ami, avrebbe voluto gridargli, ma l'orgoglio glielo impedì. Sentiva che Koros gli stava scivolando via tra le dita, ma lui non era come Apollo che aveva insidiato Dafne e tante altre, o come Zeus che non si faceva scrupoli a soddisfare le sue voglie. Chissà se Koros avrebbe mai capito che gli inganni peggiori si celavano proprio tra la luce del mondo dei vivi.
«Ti farò portare altri frutti che siano di tuo gradimento», disse.
Poi lasciò la stanza prima di cadere ancora nella tentazione di stringere Koros e di vedersi respinto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top