Parte 6 - L'ira di Demetra

Ade lo condusse lungo le valli. Vicino ad alcune si percepiva odore di fumo, vicine ad altre quello più intenso del papavero, uguale a quello che emanava lo stesso dio. Attraversarono corridoi rocciosi, altre valli fino ad arrivare al pioppo bianco.

Il silenzio che regnava tra loro era teso, sospeso tra le parole di corteggiamento che Ade avrebbe voluto usare e quelle di rifiuto che Koros non aveva il coraggio di pronunciare. La nebbia lattiginosa gli ricordava la rugiada, il modo in cui l'erba era bagnata, tenera e fresca. Ricordò il narciso che aveva strappato al prato, come ultimo cimelio della sua vita spensierata, e con un tuffo al cuore ricordò di averlo tenuto stretto lungo il tragitto sul carro dorato e poi ancora quando era stato portato nella sua stanza. Era ancora lì, ma chissà fino a quando avrebbe conservato i suoi fulgidi colori.

«Questo è l'ingresso del Tartaro», Ade interruppe le sue riflessioni. Aveva indicato il pioppo bianco. Poi lo guardò, e i suoi occhi parvero addolcirsi. «È difficile vivere qui, ma non devi pensare che non vedrai mai più un prato o la luce. A destra del pioppo c'è il Lete che segna l'ingresso nei Campi Elisi».

«Cosa vuoi dire?»

«Quando la nostalgia diverrà forte, potrai calpestare quei campi, solo per poco, solo poche volte, ma potrai farlo».

«È un'amara consolazione». Appoggiò la schiena al tronco dell'albero, spinse gli occhi verso i campi dei beati di cui poteva intravedere una punta di verde. «Come fai a restare qui? Perché ti sei sacrificato per Zeus e Poseidone?»

Ade posò una mano sul tronco dell'albero. Koros si accorse che i loro corpi si erano avvicinati. Attraverso la tunica di Ade sentiva il calore del suo petto, pensò confusamente che il corpo del dio dei morti non sarebbe dovuto essere così caldo. Per la prima volta ne osservò le labbra, piene dal color cremisi. Sentì il suo fiato sul volto, e questa volta non ne provò alcuna irritazione.

«Non l'ho fatto per loro, ma per queste povere anime, affinché abbiano una vita tranquilla senza l'ennesima guerra divina che stravolge cielo e mare».

Sei generoso, avrebbe voluto dirgli Koros, ma le parole gli morirono in gola. Perché doveva fare un complimento al dio che lo aveva privato della libertà? Sentì il cuore battere veloce, mentre le iridi color onice di Ade si incatenarono alle sue, come se il dio volesse scavare dentro di lui, toccare con gli occhi il suo cuore. Si concentrò su tutto ciò che Ade gli stava facendo per ritrovare il livore. Gli venne in mente la cintura che il dio gli aveva strappato con violenza, le compagne e la madre che non avrebbe più rivisto. Le immagini del giorno prima gli tornarono nitide alla mente, un nodo gli serrò la gola. Le dita di Ade lo sfiorarono proprio lì e a lui mancò il respiro.

«Il narciso che ho strappato alla terra sarà già secco, non ho neanche un ricordo», disse, e odiò che gli fosse tremata la voce. Non voleva mostrarsi debole davanti al dio.

Ade gli prese il volto tra le mani. «Quel narciso no, non seccherà mai. Non era opera di Gea, ma mia. È il mio regalo per te».

Koros sgranò gli occhi. Il suo cuore era in tempesta. Da un lato il tocco della mani di Ade risvegliava la sua pelle, come mai le dita di Apollo avevano fatto, dall'altro si sentiva ingannato, strappato alla sua vita. «Mi hai teso una trappola con quel fiore», realizzò.

«Ho dovuto».

Koros posò le mani sul suo petto, lo spinse via. «Hai voluto, perché non hai scelto qualcun altro? Nessuno vuole stare qui con te», gli ringhiò addosso.

Ade gli afferrò i polsi, un'ombra adombrò il suo sguardo. Di sofferenza, di senso di colpa. Koros temette la sua prossima mossa, le loro labbra erano pericolosamente vicine, ma la curiosità di sapere quale sapore avessero era annacquata dalla rabbia di aver subito un'ingiustizia.

Ade lo lasciò d'improvviso. «Affacciati nei campi Elisi, forse troverai un po' di pace, ma sappi che da qui non te ne andrai».

«Nessuno potrà mai amarti», sentenziò Koros, poi gli voltò le spalle e si rifugiò nella stanza che gli era stata assegnata.

Non vide il volto di Ade contorcersi dal dolore. Il dio che tutti temevano e che si era condannato a un destino buio si liberò con rabbia del suo mantello. Il prezzo per salvare gli uomini era stato alto. Si era attirato l'odio degli uomini e l'invidia degli dei. Ade si accasciò accanto al pioppo. Non aveva dubbi che il suo cuore colmo di amore e desiderio per Koros fosse il frutto di uno scherzo di Eros e Afrodite. Tuttavia, osservando le iridi acquamarina del giovane, il disprezzo che covava, si rendeva conto che la vera punizione non era stata l'essersi innamorato, il sentirsi vivo per la prima volta dopo secoli, ma il rifiuto dell'altro. Il rifiuto di Koros, il giusto sdegno per essere stato strappato alla sua vita, le parole di odio che gli rivolgeva, tutto fece capire ad Ade che lui, il più potente e temuto tra gli dei, era destinato a una perenne infelicità. Le anime condannate al lamento eterno, perlomeno, si erano guadagnate quella sorte con le azioni malvagie compiute durante il tempo concesso loro sulla terra. Ma lui, cosa aveva fatto per meritarsi questo?

Il cane Cerbero, che davanti a tutti mostrava un volto torvo, gli si avvicinò, piantandogli il muso sul grembo. Ade gli accarezzò la testa, una delle tre con cui la belva accoglieva le anime all'ingresso del suo regno. Un frastuono però lo indusse ad allontanare il fido guardiano. Dalla superficie della terra una folgore annunciava una visita non prevista.

Zeus gli comparve davanti, la veste svolazzante, i capelli candidi in disordine. «Se avessi saputo che il tuo compito era startene seduto tutto il giorno, lo avrei preso io questo regno», esordì, il solito sguardo divertito.

Cerbero abbaiò rabbioso. Ade balzò in piedi. «Non sentivo il bisogno della tua ironia. Se sei venuto per questo puoi tornare là sopra. Sono sicuro che un impegno più piacevole ti aspetti».

«Mi godo l'eternità, non credo questa sia una colpa. Spero che non vorrai parlarmi di morale proprio tu. In ogni caso, mi basta mia moglia Era».

«Allora? Cosa ci fai qui?»

Il volto di Zeus si fece serio. «C'è un problema con il nostro accordo. Koros non può rimanere qui».

Ade sentì il sangue correre veloce nelle vene. «Mi avevi dato la tua parola».

«Lo so, ma Demetra e Artemide mi danno il tormento. Di Artemide non mi curo... è abituata a perdere le sue adepte, ma Demetra...»

«Demetra cosa?», domandò lui al colmo della rabbia.

«La sua vendetta è tremenda, il suo dolore straziante. Ha cercato suo figlio per nove giorni e nove notti con una fiaccola in mano, e quando ha saputo da Ciane che il responsabile del rapimento sei stato tu, è venuta da me. La sua ira è furiosa».

«Sei abituato a quella di Era...»

Zeus corrugò la fronte. «Questa volta sei tu che non devi fare ironia. Demetra non si cura più dei suoi compiti, le messi di grano sono bruciate, i fiori appassiti, i frutti marciscono prima ancora di maturare. Ha reso la terra un deserto. La gente ha fame. Non ci sono quasi più animali che possano essere sacrificati al nostro culto».

Un sorriso ironico affiorò sulle labbra di Ade. «E questa è l'unica cosa che ti interessa. Sei il padre degli dei o no? Trova tu un modo per placarla».

«Ci ho già provato, ma a nulla sono valse le mie promesse di estendere il suo culto in nuove zone».

Ade si avvicinò a suo fratello. «Abbiamo fatto un accordo e mi hai dato la tua parola», gli soffiò in faccia.

«È per questo che ancora non ti ho sottratto Koros, ma questa situazione non può durare a lungo. Ti concedo una settimana: se non riesci a convincere il giovane a rimanere qui con te di sua spontanea volontà, dovrò violare il nostro patto».

Ade strinse i pugni. Si trattenne dall'ordinare a Cerbero di affondare i denti nei polpacci di Zeus. «Va' via adesso», si limitò a dirgli. Lo vide scomparire in una nuvola di luce, dopo aver rivolto uno sguardo sospettoso a Cerbero.

Come avrebbe fatto a convincere Koros? Era chiaro che il giovane provava solo astio nei suoi confronti e che lo incolpava della sua infelicità. Le parole di disprezzo che gli aveva vomitato addosso poco prima ancora gli laceravano il cuore. Koros era l'unico essere che lui sentiva di amare e desiderare, l'unico con il quale si sentisse vivo e non soltanto un guardiano di anime silenziose. Non avrebbe permesso che Zeus glielo portasse via. La sua vendetta sugli uomini sarebbe stata ancora più cruenta di quella di Demetra.

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