Parte 20 - Il patto finale (Epilogo)

Koros si strinse ad Ade, dopo l'amore che avevano consumato nei pressi del lago. Il dio lo avvolse nel suo mantello, pronto a portarlo via.

«Restiamo ancora un po'», lo pregò lui, inspirando l'aria della notte. Presto Selene avrebbe oscurato la luna e le stelle l'avrebbero seguita, ubbidienti, come sempre.

«Stai bene?», gli domandò Ade.

Lui annuì. Sentiva dentro di sé qualcosa di diverso, e non aveva dubbi che fosse la nuova vita che stava crescendo in lui, nuovo sangue divino pronto a prendere possesso di un angolo dell'Olimpo.

«Non ti porto nel mio regno», lo riscosse Ade.

Koros sollevò lo sguardo, preoccupato. «Che vuoi dire?»

«Non dubitare del mio amore. Voglio parlare con tua madre, solo così starai bene con me e con lui». Allungò una mano sul suo ventre.

Koros sorrise. «Andiamo».

Ade lo abbracciò e scomparvero in una nuvola scura. Quando Koros riaprì gli occhi si trovavano al confine di un campo di grano, le spighe non ancora mature, ma pronte a essere indorate dal sole del nuovo giorno, a essere nutrite dalla pioggia che sarebbe caduta e dalla terra.

Koros si inginocchiò per prenderne in mano un pugno. Non si era mai reso conto fino a quel momento che non era solo Demetra a favorire la vita, ma anche Ade. Nel sottosuolo tutto arrivava e da lì tutto tornava alla terra in un ciclo di eterna trasformazione. Di eterna vita.

Il cielo intanto cominciò a schiarire. La sagoma di Demetra che passeggiava per i campi, pronta a infondere a essi e agli uomini la benedizione della vita, si delineò tra il verde delle spighe immature. Koros la osservò guardare con amore ciò che la circondava, accarezzare le spighe con tocchi delicati. Non osava immaginare il contrasto tra la grazia di quel momento e la furia che l'aveva posseduta quando lui era stato rapito.

«Madre», la chiamò.

La vide sollevare il capo, sorridere. Ma quando lo sguardo di miele si spostò sulla figura massiccia di Ade il sorriso venne meno, sostituito da una smorfia di terrore e di sdegno. Si avvicinò a loro a grandi passi.

«Lascia parlare me», sussurrò Koros ad Ade.

«Come osi calcare la terra che è mio dominio?», domandò la dea, gli occhi infuocati piantati in quelli di Ade. «Se è mio figlio che cerchi, sappi che le tue voglie dovrai soddisfarle altrove».

«Madre, non è come credete», disse Koros.

Demetra lo attirò a sé, poi gli posò entrambi i palmi sul viso e lo scrutò. «Quale inganno ha escogitato per tenerti avvinto a sé? Per non farti inorridire alla sua presenza? Deve essere stato aiutato da Ecate... non mi è mai piaciuta!»

Koros sentì Ade fremere. Il dio tanto orgoglioso e irruente doveva fare molta fatica a dominarsi.

«Lo amo, madre».

Demetra spalancò le labbra. «Non è possibile. Non è abbastanza che ti abbia sottratto al culto di Artemide? Lascia almeno che sia un dio più degno di te ad averti. Apollo potrebbe...»

Koros prese i polsi di lei e le allontanò le mani dal viso. «Apollo non è quello che credi. Ho dovuto difendermi dalle sue insidie più di quanto abbia dovuto mai fare con Ade. Ade ha sbagliato, ma mi ha anche lasciato libero di scegliere».

«Non lo perdonerò mai!», sibilò lei. La luce del carro di Apollo, ormai salito in cielo, evidenziava i tratti duri del suo bel viso, il germe della disperazione pronto a fiorire. «Se vai via con lui non ho più ragione di dare vita alla terra».

«Non sei la sola che dà vita alla terra!», intervenne Ade, poi scosse la testa come a rimproverarsi di aver parlato.

«Madre, non sono mai stato convinto di essere un seguace della dea Artemide, che lei mi perdoni, e Ade non ha colpe in questo. Mille dubbi affollavano la mia mente, tentavo di parlarvene, ma voi non avete mai voluto ascoltarmi. Vi prego, dimenticate il passato e lasciate che la terra viva, non per voi stessa, non per gli uomini, ma per lui». Le prese le mani e se le portò al ventre.

Le iridi di lei si tinsero di incredulità. «Le frecce dorate di Eros hanno davvero colpito anche il tuo cuore». Gli occhi le si riempirono di lacrime, si voltò e fece alcuni passi nel campo. «Non so se posso accettarlo, accettare di non vederti più e di saperti tanto lontano».

Koros si sentì sperduto. Aveva creduto che bastasse la notizia del bambino per renderla docile alla sua richiesta, ma si era sbagliato. Si voltò verso Ade, cercando in lui un appiglio.

Il dio annuì. Raggiunse Demetra. «Avrò cura di lui», le disse, «il mio regno grazie a lui non è solo oscurità. Come la vita su questa terra è tutto e niente, luce e ombra, silenzio e rumore, oro e cenere».

La dea strinse i pugni. «Dodici mesi sono lunghi, troppo per un cuore di madre».

Ade trovò nel suo animo la stessa generosità che gli aveva fatto accettare il regno degli Inferi. «Koros ha mangiato sei chicchi della melagrana. Non gli permetterò di mangiarne altri».

La dea si voltò, gli occhi ancora inumiditi, ma già lucidi di una nuova speranza. Tese un braccio verso suo figlio. «E tu, Koros, sei d'accordo?»

Lui le si avvicinò. Gli parve di sentire ancora il profumo del narciso che lo aveva ingannato, causa di sventura all'inizio, e poi di un cambiamento che lo aveva reso felice. La generosità che Ade aveva dimostrato gli scaldò il cuore. «Sono d'accordo». Abbracciò sua madre, che sembrò finalmente placare la propria ira e accettare il destino di suo figlio.

«Per sei mesi la terra fiorirà, per altri sei mesi, quando sarò lontana da te, gli uomini impareranno a sopportare il freddo e la penuria di messi», decretò la dea.

Nessuno di loro osò contraddirla. Zeus accettò persino di celebrare due matrimoni, uno in primavera nel tempio di Demetra, l'altro in inverno, nel regno di Ade.

Al primo banchetto celebrato in inverno tutti gli dei scesero negli Inferi, e per quel giorno nessuna anima fece visita al luogo. Koros ebbe un trono di oro e diamante, accanto a quello del suo sposo. Vide Ade, durante la festa, sopportare per amor suo la confusione nel suo regno solitario.

Apollo non era arrivato, ancora scottato dall'ultimo incontro con Koros, sebbene ormai le sue mani fossero guarite. Chi rimase fino alla fine fu Ecate, che aveva preso sotto la sua protezione il bambino di Koros e Ade, e che, ancora desiderosa di festeggiare, proseguì la notte con Bacco.

Quando tornò di nuovo il silenzio, si aprirono le porte della stanza d'oro, che accolse ancora i due amanti come la prima volta. Il loro amore si rinnovò, sancito dalla cerimonia nuziale. Poi si spostarono nella stanza di Ade, nel talamo che il dio aveva lasciato vuoto a lungo e che adesso ospitava il suo legittimo sposo.

«Mi mancherai quando dovrai tornare in superficie», sussurrò Ade sulla pelle di Koros, dopo l'amore.

«L'attesa sarà colma dei ricordi che mi legano a te», rispose lui, felice di aver ricomposto il conflitto nella sua anima e di aver fatto trionfare la vita nel regno di Ade.

Si strinse al suo sposo, e mentre gli uomini vivevano l'inverno, lui assaporava la sua primavera.

Grazie per essere arrivati alla fine di questa storia, non dimenticate di dirmi cosa ne pensate. Cosa potrei migliorare? Cosa, invece, vi è piaciuto particolarmente?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top