Parte 19 - Come la prima volta


«Cosa fai ancora qui?», domandò Ecate. La sua voce riecheggiò per la valle nebbiosa, si perse nel placido gorgoglio del fiume dell'oblio.

Ade corrugò la fronte. «Non devo dare spiegazioni a te. La tua libertà non ti rende padrona di questo regno».

Il dio allontanò con un gesto Cerbero che era corso verso di lui.

«Sei più insopportabile del solito. Non lamentarti poi se gli altri dei non vogliono invitarti ai banchetti», replicò Ecate, il tono serio, ma il volto illuminato da un sorriso impertinente.

Ade prese a camminare ad ampie falcate, ma lei era abituata al suo umore poco socievole e non ebbe timore di seguirlo.

Il dio si voltò all'improvviso. «Perché Koros ha mangiato ancora la melagrana? So che non vuole diventare il mio sposo. Dimmi la verità: sei stata tu a dargliela con l'inganno».

«Non sai niente. Stai diventando presuntuoso come Apollo. Ah, a proposito, sai che Koros vive da lui?»

Ade sollevò un dito e lo premette sulle sue labbra. «Stai mettendo alla prova la mia benevolenza, Ecate».

La risata cristallina di lei riecheggiò tra le valli. «Tu non conosci benevolenza. Non da quando sei qui da solo, abbandonato dallo sposo che desideri. Neanche tu puoi infrangere le leggi divine, quindi che lo voglia o no, dovrai raggiungere Koros e portarlo qui per un numero di mesi pari ai chicchi che ha mangiato».

Lo sguardo di Ade si incupì. Vivere da solo dopo aver conosciuto l'amore era una sofferenza, ma ancor più straziante era dover rivedere l'amato e sapere di non potersi davvero ricongiungere a lui. Era una lenta tortura che Afrodite aveva di certo inventato per tormentare uomini e dei che non sopportava.

Con un gesto chiamò i cavalli. Accarezzò la criniera del suo preferito, quello che avrebbe voluto regalare al suo sposo se l'ira di Demetra e la sua coscienza non si fossero messe in mezzo, come ancelle del fato portatrici di sventura. Il carro dorato rifulgeva anche tra la nebbia densa. Saltò su di esso e tirò le briglie fino a far galoppare gli animali.

Oltrepassò le cavità della terra, le rocce e poi gli strati più morbidi dove i bulbi e i semi attendevano di dare nuova vita alle piante e agli uomini. La terra ai piedi dell'Olimpo si squarciò.

Il cielo era privo di stelle, nascoste dalla luce prepotente della luna, che non ammetteva distrazioni dall'ammirazione che le era dovuta. Candidi apparivano i profili degli alberi e i petali delicati dei fiori, candido il corso d'acqua che attraversava il bosco. Una luce stonata proveniva dal tempio di Apollo, motivo di sdegno per la bella Selene.

Ade scese dal carro e salì i gradoni del tempio. Apollo non avrebbe potuto rimproverarlo, perché il dio degli Inferi veniva a reclamare un suo diritto, e se Apollo avesse provato anche solo a rivolgergli la parola avrebbe avuto ciò che meritava. Ade non aveva dimenticato che il dio del sole aveva tentato di rapire Koros, che gli aveva messo le mani addosso.

Con passo regale aggirò le colonne, attraversò il pronao. Poi raggiunse il retro dove si trovavano le stanze degli ospiti di Apollo. I servi si allontanarono al suo passaggio, proprio come le acque che si aprivano davanti alla corsa del suo carro. Ade non aveva bisogno di domandare loro dove alloggiasse Koros. L'istinto lo guidava sicuro.

Non si curò di bussare alla porta. Il cuore gli galoppava nel petto, ma si impose di dominarsi. Doveva dire a Koros di smetterla con i suoi giochi infantili, di lasciarlo in pace e che questa volta, per rendergli odioso il più possibile il suo soggiorno nel Tartaro, gli avrebbe impedito di passeggiare nei campi Elisi e di accedere alle stanze d'oro. In questo modo avrebbe imparato a non tormentarlo più.

Spalancò la porta. Il fiume di parole che aveva pronto si prosciugò nella sua bocca alla vista di Koros. Il giovane stava semi sdraiato sul letto, il volto roseo, come una mela baciata dal sole, le labbra piene, come il primo bocciolo di primavera. Era tutto quello che aveva sempre desiderato. I suoi capelli dorati incorniciavano il suo volto, un'onda ricadeva sulla fronte. Gli occhi acquamarina si tinsero di sorpresa.

Eppure non era più il ragazzo ingenuo che aveva conosciuto. Dietro la sorpresa nelle sue iridi si scorgeva un lampo di soddisfazione, la determinazione di perseguire un obiettivo.

«Ci hai messo tanto», disse Koros.

«Non sarei venuto se le leggi divine non me lo avessero imposto», rispose lui con durezza. Desiderava stringerlo, sentire ancora l'odore della sua pelle, ma non poteva permettersi un altro distacco. Se si fosse congiunto a Koros un'altra volta solo per esserne abbandonato, il suo talamo gli sarebbe diventato insopportabile, e non sarebbe stato capace di scontare la sua condanna in eterno.

Si guardò attorno, ignorando la ferita negli occhi di Koros. Si avventò sull'anfora e dentro vi trovò ciò che cercava. Avrebbe portato via da lì le melagrane degli Inferi in modo che il giovane non ne avesse più potuto mangiare i chicchi.

Koros si alzò a sua volta. Gli balzò vicino. Ade sentì il suo profumo, più intenso delle rose di primavera, e capì che il giovane doveva essersi preparato con unguenti speciali. Immaginò la sua pelle morbida, immaginò di averla sotto le labbra e i denti, di affondare dentro di lui, ma la sofferenza prese il sopravvento. Afferrò il frutto.

Koros gli prese il polso. «Cosa stai facendo?»

«Porto via da qui ciò che è mio, in modo che tu possa smetterla di giocare».

«Giocare? Tu mi ha rapito dalla mia terra, mi hai sottratto alla vita che conoscevo, e adesso che il mio cuore batte per te, mi rifiuti. Il tuo è un gioco, Ade, e molto crudele». I suoi occhi scintillarono e Ade non sapeva dire se fosse per le lacrime o lo sdegno.

Anche il mio cuore batte per te, avrebbe voluto dire, ma sarebbe servito solo a renderlo più determinato nel tormentarlo.

«Il battito del tuo cuore è come quello di un fanciullo che si affaccia all'amore. Incostante, come le onde del mare, che sono pronte a battere su ogni riva offra loro rifugio. Il tuo amore per me svanirà».

Koros gli strappò il frutto dalle mani. «Non è vero».

«Non sei pronto a essere il signore degli Inferi, e non posso biasimarti per questo. Su di noi pende la maledizione di Demetra, avevi ragione. E poi...»

«Poi cosa?», domandò l'altro esasperato.

Ora era il momento, pensò Ade. Il momento di infrangere le illusioni di Koros e condannare se stesso alla solitudine eterna. «Io non ti amo, eri per me solo un gioco, non più importante dell'ultimo concubino che ho posseduto». Vide Koros mordersi le labbra, temeva che potesse piangere, ma la reazione del giovane non fu quella che si aspettava.

Koros fece un passo indietro. Sorrise. «Menti, e niente può convincermi del contrario».

«Sei un illuso», sibilò Ade. Istintivamente colmò ancora la distanza che li separava.

«Vuoi sapere perché sono tanto certo che tu mi ami?», gli respirò sulle labbra. Non aspettò la sua risposta. «Non è solo perché mi hai lasciato andare. I concubini con cui giaci per te non significano nulla. Non più, almeno. Con loro sussurri il mio nome».

Ade avrebbe voluto negare, ma il profumo di Koros lo inebriava e le sue parole gli toccavano l'animo. «Cosa ne sai tu?», si limitò a dire.

«L'ultimo concubino, quello che hai posseduto sul triclinio, senza volerne vedere il volto per poter immaginare il tuo sposo, ero io». Koros gli prese il volto tra le mani, soffocò le domande che Ade avrebbe voluto fargli con un bacio.

Si esplorarono a lungo, soddisfacendo un bisogno che li assetava quando erano lontani. Le mani di Ade risalirono lungo i fianchi di Koros, fino ad ancorarsi alla sua vita. Udì il giovane gemere nella sua bocca, ma lo allontanò dolcemente.

«Questo cosa cambia, Koros? Vuoi che confessi il mio amore per te, che mi metta in ginocchio? E poi? Vuoi seguirmi negli Inferi per un po', il tempo di soddisfare le tue voglie per poi tornare qui e lasciarmi con il cuore straziato?»

Gli occhi di Koros si incendiarono di sdegno. «Voglio essere il tuo sposo. C'è un modo per placare le ire di mia madre, se solo tu lo volessi...»

«Quale?»

Koros prese una mano di Ade e se la portò sul ventre. «Un bambino, sangue del mio sangue, la placherebbe. Per lui non ridurrebbe la terra a un deserto, per lui farebbe crescere sugli alberi frutti e sull'erba fiori».

«Saresti legato a me per sempre», disse lui, la voce strozzata dall'emozione. «Lo vuoi davvero?»

«Lo voglio».

Quelle parole furono per entrambi più importanti di qualsiasi cerimonia di nozze ufficiale.

«Non voglio farlo qui, però», disse Koros.

Ade lo avvolse nel suo mantello e in un momento si trovarono sulla riva del lago Pergusa, in Sicilia, dove tutto era cominciato. La bianca luna si rifletteva sullo specchio d'acqua, rivelando le onde leggere increspate dalla brezza. Le erbe selvatiche costeggiavano le sponde del lago, ma tra di esse spiccavano macchie di colore, punti di luce, come se tra il prato scuro vi fossero le stelle.

Entrambi riconobbero i narcisi che crescevano lì dal giorno in cui Ade aveva tentato di attirare Koros a sé. Il loro profumo inebriava entrambi. Si ritrovarono adagiati nella radura, al riparo dagli occhi curiosi degli dei e da quelli più benevoli di Selene.

«Hai ancora i miei narcisi?», domandò Koros.

Ade gli diede un bacio leggero sulla fronte e poi lo aiutò a sdraiarsi sul prato. «La tua stanza è come l'hai lasciata. Nessuno vi può entrare».

Il volto di Koros accarezzato dalla luce della luna non gli era mai parso così bello o, forse, era l'amore che vi leggeva a farglielo apparire in quel modo. Gli accarezzò le labbra.

«Sei sicuro? Non potrai tornare indietro».

Koros annuì, lo attirò a sé per riprendere da dove si erano interrotti. Si accorse che aveva ancora in mano la melagrana, allora l'adagiò nell'erba accanto a lui.

Ade gli sfilò via la tunica, e lasciò che Koros a sua volta lo spogliasse.

«Se non funziona...», mormorò Ade sulle sue labbra.

Koros posò una mano sulla sua bocca. «Funzionerà», gli disse con decisione.

Si amarono in silenzio, dolcemente come la prima volta. Ade gli sollevò le gambe e scivolò dentro di lui. Koros sollevò il bacino per incontrare le sue spinte lente e profonde. Tra le braccia di Ade il giovane abbandonava nel passato la sua vita di devoto ad Artemide, di giovane dio pronto a soddisfare i desideri di sua madre Demetra.

Le loro iridi si incrociarono e a Koros gli occhi di Ade non parvero più cupi come la prima volta, adesso vi baluginava la luce dell'amore. Chissà se Afrodite l'aveva previsto o aveva immaginato per loro un finale infelice. Forse era stato Eros a vegliare su di loro. Il figlio della dea aveva accettato di scagliare le frecce nei loro cuori sapendo che la felicità sarebbe arrivata.

Koros e Ade non l'avrebbero mai saputo. Sapevano solo che nel silenzio della notte, a eccezione della risacca tranquilla del lago e del canto degli uccelli notturni, si udivano i loro gemiti soffocati.

Ade sentì di essere arrivato al culmine e con una spinta più forte fu travolto dall'estasi e si abbandonò tra le braccia dell'altro.

«Sarò la stella che illumina il tuo cielo buio», disse Koros ancora affannato.

«Lo sei sempre stato, anche quando eri lontano».

Koros allungò una mano verso l'erba, afferrò la melagrana. «Lascia che io sia la tua compagnia negli Inferi».

Ade capì quello che voleva dire. Nonostante sentisse che in quel momento tra loro era nata una nuova vita, dovevano assicurarsi che nessuno potesse separarli. Sgranò il frutto, macchiandosi le sue dita di rosso. Posò un chicco sulle labbra ancora turgide di Koros. Nel buio ne vedeva il volto arrossato dall'amore.

Koros aprì la bocca, ingoiò il chicco che gli assicurava un altro mese di permanenza nel regno del suo sposo. «Un altro», pregò.

Ade sentì l'eccitazione scorrere ancora nelle sue vene, la sua erezione crescere, la spinse contro Koros. «Ancora?»

«Sì», l'altro ansimò, accogliendolo ancora dentro di sé. Aprì le labbra e ingoiò dalle dita di lui un altro chicco. «Ne voglio ancora».

Un altro chicco e poi un altro, fino a quando Koros non ne mangiò sei. Qualunque cosa fosse accaduta da lì in poi, qualsiasi reazione sua madre avesse avuto, si era appena assicurato di trascorrere metà dell'anno in corso con il dio che amava. Il suo sposo legittimo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top