Parte 17 - Ritorno alla luce
Il mese negli Inferi passò lento. Ade non permise a Koros di sedersi ai piedi del suo trono e di assistere al giudizio sulle anime. Koros ne soffrì, ma ciò che era peggio per lui era l'indifferenza che Ade gli riservava, il gelo a tavola, gli sguardi distratti.
Koros non l'aveva più raggiunto nella sua stanza né Ade lo aveva cercato. Anche Ecate sembrava avere in antipatia il regno e da giorni non la si vedeva più. Ade gli aveva detto che la dea era spesso impegnata nella ricerca di nuove erbe e radici con le quali affinare le sue arti e creare nuove pozioni, e Koros pensò che una pozione era ciò di cui aveva bisogno per vincere sia la volontà di sua madre che l'orgoglio di Ade.
Il giorno in cui Ade lo fece salire sul carro per riportarlo in superficie fu per Koros il più brutto. Desiderò quasi che le acque del lago lo inghiottissero per sempre e lo sottraessero tanto al dio quanto a chi lo aspettava di sopra.
Ade tirò le briglie e i cavalli al suo comando si fermarono emettendo un nitrito selvaggio.
«Vai», ordinò il dio.
«Questa è l'ultima parola che vuoi rivolgermi?», domandò Koros sbigottito.
Ade serrò le mascelle. «Hai detto tu che un palazzo di luce ti attende. Vai, e non appena i tuoi piedi si poseranno sul prato esso rifiorirà».
Koros allungò una mano verso di lui, voleva sentire un'ultima volta il calore della sua pelle, ma non fece in tempo. Ade gli rivolse uno sguardo duro.
«Vai», gli disse ancora.
A Koros non rimase altro da fare che ubbidire. Con il cuore pesante scese dal carro, giunse sulla riva del lago e aspettò che le acque si richiudessero. Quando vide il carro di Ade scomparire insieme al suo mantello si inginocchiò per sfiorare l'acqua che gli portava via l'amato. Com'era cambiato da quando aveva visto il dio degli Inferi la prima volta, allora ne aveva provato timore, adesso l'attrazione e il sentimento si mescolavano in un nodo che nessuno avrebbe mai sciolto.
«Figlio mio, sei qui finalmente», la voce di sua madre lo riscosse.
Comparve alle sue spalle, il volto preoccupato, le braccia tese verso di lui.
«Non avete mantenuto la vostra parola, madre», la rimproverò Koros guardandosi attorno. Dall'ultima volta che era stato lì gli alberi si erano di muovo spogliati delle loro foglie e i prati dei fiori.
«Era una promessa dura da mantenere. Perché hai mangiato il chicco della melagrana? È stato lui a costringerti?»
Con un sì, Koros avrebbe evitato le sue domande, ma avrebbe anche messo Ade in una situazione terribile. Provò a imbastire una bugia che sperava potesse essere plausibile. «L'ho mangiato per curiosità, Ade non ha fatto in tempo a dirmi cosa sarebbe successo».
Demetra si morse le labbra, non del tutto convinta e sul punto di riversare sul dio degli Inferi una marea di epiteti, ma poi la gioia prese il sopravvento. Con un gesto della mano trasformò il prato brullo in una distesa rigogliosa dove tornarono a fiorire le rose, le viole e tutti i fiori amati da suo figlio e dalle ninfe. Sui rami degli alberi comparvero tenere gemme, promessa di nuova vita e nuovi frutti.
Demetra prese Koros per mano. «Nel tempio di Artemide non puoi più tornare. Ho provato di tutto per convincerla, ma non vuole sentire ragioni. Si è messa in testa che tu hai condiviso il talamo con Ade con piacere. La colpa è di quelle malelingue di Afrodite e Cupido, ma io...»
«Madre», la interruppe Koros, «niente più guerre, vi prego».
Il volto di lei si addolcì. «E va bene, ma lo faccio solo per te. Ti ho già trovato una nuova sistemazione, che farebbe invidia tanto agli dei quanto agli uomini. Potrei lasciarti nel mio tempio, ma per i prossimi sei mesi sarò impegnata a ridare la vita alla terra e non mi va che tu stia da solo».
«E quindi? Vuoi che stia da mio padre?»
La sentì irrigidirsi, fremere ancora di rabbia. «Chi? Quel fedifrago che scappa dietro a qualsiasi gonnella? È stato proprio lui a dare ad Ade il consenso per rapirti, e anche se l'ho convinto a farti tornare qui, non glielo perdonerò mai».
«E allora dove?»
«Dall'unico dio che si è offerto di aiutarmi e ha tentato di riportati da me quando Ade ti teneva segregato laggiù, Apollo».
Koros non ebbe il coraggio di protestare. Non se la sentiva di raccontarle il modo in cui Apollo l' aveva insidiato, temeva, in ogni caso, che lei non avrebbe mai creduto che era stato Ade a salvarlo. Controllò di avere ancora la melagrana nascosta sotto la tunica e si sforzò di sorriderle.
Il tempio di Apollo era il più luminoso che uomini e dei avessero mai visto. Sull'Olimpo pareva una lucciola, una promessa di felicità e luce eterna. Eppure, ormai, Koros sapeva bene cosa si celava dietro la luce accecante e le lusinghe di Apollo.
Sua madre lo salutò con un bacio sulla fronte, credendolo al sicuro. Koros si sistemò nella sua stanza, resa piacevole da fori sparsi sul letto e sui mobili. Petali di rosa. Eppure lui si scoprì a provare una forte nostalgia per i narcisi che Ade gli aveva regalato e che erano rimasti nascosti nelle cavità sotterranee della terra. Nessun prato fiorito gli avrebbe mai dato la stessa pace dei Campi Elisi, a cui Ade gli aveva concesso di accedere per mitigare la nostalgia dei prati tra cui era cresciuto. Dalla finestra entrava un fascio di luce caldo, uno di quelli che i primi tempi trascorsi negli Inferi, Koros aveva anelato. La luce si riverberava sui vasi, sul triclinio, ma niente poteva essere più luminoso della stanza dorata, scavata nei metalli e nelle gemme più preziose che le viscere della terra producevano. La stanza dove per la prima volta si era concesso ad Ade e aveva scoperto cosa fossero l'amore e la passione in un'unica volta.
Sedette sconsolato sul letto e si accarezzò il ventre. Quanto avrebbe dovuto aspettare per capire se il suo piano aveva funzionato? Quando avrebbe sentito la vita creata da lui e Ade muoversi dentro il suo grembo?
La porta si aprì all'improvviso, sottraendolo con forza da quei pensieri. Sulla soglia comparve Apollo, il sorriso di chi aveva vinto gli increspava le labbra.
«Questo è il tuo posto, Koros. Se solo lo avessi capito, avresti risparmiato a te stesso e agli uomini molte sofferenze».
Koros balzò in piedi. «Sono qui solo per non dare un dispiacere a mia madre».
Apollo gli si avvicinò, gli sfiorò il volto con le mani. «Qui la tua bellezza rifulge». Lo afferrò per i fianchi. «La tua bellezza è seconda solo a quella di Eros».
Un sorriso di scherno comparve sulle labbra di Koros. «Questo l'hai detto anche a Dafne prima di causare la sua rovina?»
Apollo arrossì di rabbia. «Nelle tue vene scorre sangue divino, ma non sfidarmi, Koros. La pazienza non è mai stata la mia dote prediletta».
Koros posò le mani sulle sue spalle, come per allontanarlo. «Lasciami, Apollo», gli disse stancamente, «non ho cambiato idea da quella notte quando piombasti nella mia stanza nel regno di Ade».
«Quale veleno ti ha fatto bere il dio dell'oscurità per farti diventare così? Un tempo desideravi le mie carezze».
«Non l'ho mai fatto, ricambiavo solo la tua gentilezza, ma sbagliavo. Ora ho capito che non c'è gentilezza in te, la tua luce nasconde più oscurità di quanta ne abbia mai visto laggiù».
Apollo strinse la presa, allungò le mani fino alle sue natiche. «Sei sotto l'effetto di un maleficio, ma io posso aiutarti. Ti avrò nel mio talamo, Koros, farò in modo che il nostro sangue si mescoli in una nuova vita».
Koros inorridì. «Non concepirò mai un bambino con te», sibilò. Tentò di spingerlo via, ma l'altro lo afferrò ancora per un braccio. «Aspetto già il figlio di Ade», gli gridò allora.
Apollo rimase immobile, il suo sguardo passò dall'incredulità allo scherno. «Impossibile», gli disse, e Koros non riuscì a comprendere il significato di quelle parole. Perché sarebbe stato impossibile? Si era congiunto ad Ade più di una volta e l'ultima con cura particolare per raggiungere il suo scopo.
Apollo gli fu di nuovo addosso, ma non riuscì a spingerlo sul letto. Koros invocò ancora Ecate, la dea il cui potere gli aveva permesso di pietrificare Menta. Non si sarebbe piegato alla volontà di Apollo, a costo di causare una nuova guerra tra gli dei. Afferrò una mano del dio e lo fissò negli occhi.
«Adesso basta», sibilò, fissandolo negli occhi. Sentiva dentro di sé un'energia nuova, simile a quella che lo aveva attraversato quando Menta si era pietrificato e sbriciolato davanti ai suoi occhi.
Apollo spalancò la bocca, in un'espressione mista di paura e sorpresa. Era come se avesse davanti Medusa. La sua mano si pietrificò e divenne incapace di afferrare il corpo di Koros come aveva desiderato fare.
«Non sono più quello che conosci, hai ragione», disse Koros.
Apollo si osservò le mani. «Devo suonare la lira, guidare il carro di luce nel cielo. Poni fine a questo maleficio, ti supplico», lo pregò.
«Chiedi a Zeus di farlo, e poi digli anche perché sono dovuto arrivare a tanto», replicò lui.
Apollo scappò via, terrorizzato come tante ninfe avevano fatto nei secoli davanti a lui. Koros se ne sentì soddisfatto. Nessuno l'avrebbe toccato né avrebbe compromesso il suo progetto. Amava Ade, lo sapeva con certezza. L'unica cosa che gli rimaneva da fare per ricongiungersi a lui era trovare un accordo con sua madre.
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