Parte 12 - Un assaggio di amore

Rivedere Apollo. Rivedere sua madre e la dea Artemide, Ciane e tutto quello che laggiù gli era negato. Solo pochi giorni prima Koros avrebbe esultato davanti alle parole di Ade, adesso, invece provava un senso di smarrimento.

Il suo petto si alzava e si abbassava ritmicamente, come se avesse corso la strada verso Maratona. Lo sgomento e la furia che Menta aveva suscitato nel suo cuore erano testimoniate dal silenzio della sala, dal banchetto intatto, dalla tunica del concubino abbandonata sul pavimento.

Si era impossessato dei poteri che Ecate gli aveva promesso e come una Medusa crudele aveva pietrificato prima e distrutto poi chi gli era inviso. Per gelosia, aveva detto Ade. Era gelosia dunque la stretta che gli aveva fermato il cuore quando aveva visto il dio sdraiato sul corpo dell'altro? Quando aveva visto le sue braccia possenti, il movimento della sua schiena, la forza delle sue gambe e si era sentito morire perché niente di quello che stava facendo Ade lo riguardava?

Koros inspirò profondamente, nel tentativo di calmarsi. Cercò di concentrarsi su sua madre. Lei era l'unica di cui sentiva la mancanza. Si rendeva conto che la passione lo accecava e che il desiderio di assaporarla annacquava il ricordo dei prati fioriti e dell'acqua cristallina della piana della Nisa.

L'inquietudine gli impediva di tornare nella sua stanza e mettersi a letto. Girovagò per le valli, lungo il fiume, per rivedere tutto ciò che sarebbe stato solo un ricordo il giorno successivo e, sebbene non lo confessasse neanche a se stesso, era alla ricerca dell'odore di Ade, del fruscio del suo mantello, della sua figura cupa e imperiosa allo stesso tempo.

Ripercorse la strada lungo la quale Ade lo aveva condotto dopo l'aggressione di Apollo. Riconobbe il portale di pietra, la luce che veniva dalla stanza dorata. Aprì la porta. Seduto sul letto stava Ade, la testa tra le mani. Koros sentì il cuore saltargli in gola. Qualcosa nel profondo del suo animo gli diceva di scappare via se non voleva che la sua vita cambiasse per sempre, eppure qualcosa di ancora più forte a cui Koros era troppo giovane per poter dare un nome, lo spinse a entrare, a chiudere la porta alle sue spalle.

Ade sollevò gli occhi, le sue iridi nere come le gemme che venivano dalla profondità della terra erano ammantate di malinconia.

«Che fai qui, Koros? Vuoi dormire in un letto d'oro prima che ti riporti nel tempio di Artemide?»

Koros sentì la lingua pesante. Perché vuoi riportarmi indietro?, avrebbe voluto urlargli, ma non era pronto a confessare né ad Ade né a se stesso che aveva paura di essere abbandonato.

«Sei arrabbiato con me? Per questo mi scacci, vero? Menta era il tuo prediletto, avresti dovuto sceglierlo come sposo», gli sputò infaccia.

Il volto pallido di Ade si arrossò. «Sei tu l'unico che volevo, ma sono stanco di vederti soffrire, stanco di essere considerato la fonte della tua infelicità».

«È un po' tardi per pensarci... perché non ci hai pensato prima di farmi questo?», si lamentò lui e sentì le lacrime riempirgli gli occhi.

Ade gli prese il volto tra le mani, il suo profumo di papavero invase le sue narici e Koros se ne sentì inebriato.

«Non ti ho fatto nulla, e lo sai», disse il dio con una voce carezzevole, che Koros non gli aveva mai sentito. Intanto le ginocchia gli erano diventate deboli e più il dio gli stava davanti, più indugiava in quel tocco, più lui capiva con nitidezza che l'idea di essere riportato in superficie lo atterriva tanto quanto quella di rimanere.

«Non piangere, ti prego. Avrei solo voluto essere felice con te, ma Afrodite ha deciso diversamente, forse persino il dio degli Inferi deve piegarsi al suo volere».

«Mi abbandoni», gli sfuggì dalle labbra, «mi abbandoni perché la pensi come Menta», sollevò lo sguardo per incrociare i suoi occhi, il sentimento nuovo che gli agitava l'animo lo rese ardito. «Credi che non possa soddisfarti».

Un tenero sorriso piegò le labbra di Ade. «La mia unica soddisfazione è la tua felicità». Il dio non riuscì a trattenersi e posò le sue labbra su quelle di Koros, ma il timore di essere respinto svanì quando sentì l'altro schiudere la sua bocca, rispondere al suo bacio.

Si esplorarono incerti, poi Ade sollevò le mani per afferragli la nuca, guidò i movimenti della testa di Koros e approfondì il bacio fino a quando non lo sentì gemere nella sua bocca.

Koros si afferrò alle spalle di Ade, la passione che lo tormentava da giorni era esplosa lungo la sua pelle e lui si rese conto, che Artemide lo perdonasse, di non essere in grado di fermarla. Di non volerlo fare. Le sue mani incerte risalirono lungo il collo di Ade, fino ad arrivare alla chiusura del mantello, lo slacciò esitante e lo sentì scivolare via sul pavimento. Le spalle rotonde e possenti di Ade si rivelarono alla luce della stanza d'oro e delle torce.Koros sentì il bisogno di essere stretto da lui, ma l'idea di dar voce a quel desiderio lo faceva morire di imbarazzo.

«Fermami, se non vuoi questo», disse Ade con la voce arrochita dal desiderio. Con un tocco delicato fece scivolare via dalle spalle la tunica di Koros, accarezzò le sue braccia nude, poi si inginocchiò ai suoi piedi.

«Ma cosa fai?», sussurrò Koros sorpreso. Nessun dio si era mai inginocchiato ai suoi piedi, tanto meno il più potente. Il terribile, come lo chiamavano gli altri. Non ebbe più il tempo di pensare, quando un paio di labbra calde si posarono sul suo membro. Koros lo sentì presto diventare duro, ma i tocchi della lingua di Ade non facevano altro che riempirlo di una smania a lui sconosciuta. Un gemito gli scappò dalle labbra, e Koros si domandò se fosse appropriato, se era questo che il concubino Menta faceva per soddisfare Ade. D'improvviso un'ondata di piacere lo scosse, infilò le dita tra i riccioli del dio, li strinse con tutta la forza che aveva in corpo. «Ade...», mormorò.

Il dio si allontanò, ma Koros non ne provò alcun sollievo, poi capì che aveva bisogno di vedere Ade nudo, di sentire il suo corpo caldo contro il proprio. Quando Ade si rialzò, infilò le mani sotto la sua tunica e aiutò il dio a liberarsene.

«Puoi ancora fermarmi», disse l'altro, ma Koros quasi non lo lasciò finire, si gettò tra le sue braccia, unì ancora le loro labbra in un bacio che adesso aveva un sapore diverso. Le mani di Ade corsero lungo la sua schiena, gli afferrarono le natiche. Koros sentì l'eccitazione del dio, per un attimo si fermò, incerto. Se si fosse concesso ad Ade si sarebbe legato a lui per sempre, in un modo o nell'altro, eppure in quel momento non riuscì a pensare alle conseguenze del suo gesto. Semplicemente non gli importava. L'unica cosa di cui aveva bisogno era di sentirsi amato, di scacciare la sensazione che le parole di Ade gli avevano lasciato addosso: il senso di abbandono, l'idea di essere stato per Ade solo un esperimento che non aveva funzionato.

Sentì le labbra di Ade spostarsi dalle sue labbra alla sua guancia.«Sei sicuro che vuoi questo?»

Koros si allontanò. Si sdraiò sul letto alle sue spalle e aprì le gambe. Desiderava che il dio lo stringesse tra le braccia, che facesse con lui quello che aveva fatto con Menta. Ade si sdraiò sopra di lui, travolto dal desiderio che finalmente poteva correre a briglia sciolta e che aveva, invece, dovuto ingabbiare nei giorni precedenti. Anche quando era stato con Menta, non aveva fatto altro che bramare l'amore di Koros.

Prese a baciargli il collo, poi passò al petto, soffermandosi sui punti che Koros sembrava gradire di più.

«Non volevo fare questo con Apollo, ma con te sì», sussurrò Koros tra i gemiti.

Ade si inumidì le dita con la saliva. Sapeva di dover usare delle attenzioni per quello che considerava il suo sposo e che era ancora inesperto. Risalì su di lui e fece scivolare le dita dentro il suo corpo. Koros spalancò gli occhi, poi si aggrappò alle sue spalle.Intanto Ade lo preparava e con l'altra mano gli massaggiava il petto, rendendo turgidi i suoi capezzoli.

«Ti ho desiderato dalla prima volta che ti ho visto», gli sussurrò Ade sulle labbra.

«Ai piedi dell'Etna?»

«Ti sei accorto, quindi? Credo che sia stato allora che Eros abbia trafitto il mio cuore con le sue frecce».

Koros si morse le labbra per non gemere ancora. «Ho pensato ai tuoi occhi tutta la notte... ho bisogno di...»

«Lo so», disse Ade, e scivolò dentro di lui.

Koros affondò le unghie nelle sue spalle, ma le spinte di Ade non arrivarono. Il dio attese che il giovane si abituasse a quel nuovo contatto, e solo quando lo sentì rilassarsi cominciò a muoversi. Controllò le sue spinte, osservando il viso dell'altro peraccertarsi di non fargli male, ma presto Koros, spinto dall'istinto e da un bisogno che lo divorava per la prima volta, allacciò i suoi polpacci attorno al bacino del dio, sollevò il proprio per incontrare le sue spinte.

«Mi vuoi, Ade?», domandò in preda al bisogno di essere rassicurato. I tocchi di Apollo gli erano sempre stati indifferenti,fino a quando non gli erano diventati addirittura insopportabili, ma con Ade era sempre stato diverso, fin dall'inizio, e adesso finalmente capiva cos'era la passione su cui si era interrogato durante la sua vita in superficie.

Mentre Ade spingeva dentro di lui, stimolando parti del suo corpo che Koros non sapeva di avere e che non immaginava potessero dare tanto piacere, voleva essere perfetto, voleva tenerlo avvinto a sé, fargli cambiare idea. Sperava di sentirgli dire che non lo avrebbe più rimandato nel mondo degli dei luminosi e bugiardi, ma che gli avrebbe concesso di vedere sua madre qualche volta.

Ade affondò le dita nelle sue cosce, strappandogli un altro gemito.«Ti ho voluto sempre, Koros». Nei suoi occhi balenò una luce di amore e piacere, e a Koros parve di vedere le stelle nelle sue iridi scure. Poi un'ondata di piacere più forte lo riscosse, gli annebbiò quasi la vista.

«Che mi succede?», domandò ad Ade, spaventato ed estasiato al tempo stesso.

Ade posò una mano sul suo petto, sul suo cuore che galoppava impazzito, sulla sua pelle arrossata che non ricordava più la pallida luna, ma il rosso dei papaveri. «Ci sono io con te», lo rassicurò, gli afferrò il membro e mosse la sua mano su di esso allo stesso ritmo delle sue spinte.

L'urlo di piacere di Koros riecheggiò nella stanza dorata, seguito dai sospiri pesanti di Ade. Il dio affondò la testa nell'incavo del collo di Koros, facendo aderire i loro corpi. Koros lo strinse, sfinito, travolto dalle sensazioni che aveva vissuto per la prima volta.

Rimasero immobili, scossi dai loro respiri che tentavano di tornare alla normalità. Fu Ade il primo a sollevarsi sui gomiti, a sfiorare il corpo di Koros ancora tremante. Pensò che nessun concubino gli aveva fatto provare mai niente di simile, mai era stato annebbiato in modo totale di amore, da brama di possesso e allo stesso tempo generosità di lasciarlo andare per renderlo felice. Dopo l'amplesso si delineata nella sua mostruosità l'atto egoistico che aveva compiuto strappando Koros al suo mondo. Si chinò su di lui e gli diede un bacio leggero sulle labbra, ma trattenne le parole d'amore che gli sgorgavano dal cuore. Afrodite era stata crudele a farlo innamorare di chi non poteva avere. Lo amava così tanto che si rifiutava di costringerlo a rimanere lì con lui.

Koros intanto lo osservava con gli occhi ancora appannati dall'estasi, il volto ancora arrossato. Cercava di mettere ordine tra i suoi pensieri, tra la vita di un tempo che lo aveva visto devoto casto di Artemide, e quella che Ade gli offriva, fatta di conflitti,di amore, ma anche di un buio appena rischiarato dalle torce e dalle gemme e i minerali preziosi di cui Ade era padrone. Ma non ebbe il tempo di dire nulla, perché Ade lo precedette.

Il dio gli diede ancora un bacio, scostò un ciuffo dei suoi capelli,e poi lo condannò, senza neanche saperlo, all'infelicità:«Ricorderò questo per sempre, l'unica scia luminosa, come una cometa, nel cielo oscuro degli Inferi».

Koros sentì un sorriso farsi strada sul suo volto, ma durò un attimo.

Ade proseguì: «Domani, non appena Apollo prenderà il posto dell'Aurora nel cielo, ti ricongiungerai a tua madre».

«Che significa?»

«Ti riporto a casa, Koros. Quello che c'è stato stanotte non deve farti sentire in obbligo nei miei confronti». Il dio si alzò, e Koros fu investito dall'aria fredda, lontano dal corpo amato. Il cuore venne stretto in una morsa, ma si impose di non piangere, di non dirgli: non sono stato all'altezza del tuo concubino? Non avrebbe sopportato un definitivo rifiuto.

Ade indossò la sua tunica, poi si sistemò il mantello con gesti regali che ipnotizzavano Koros. I suoi occhi lo seguirono fino a quando Ade non si fermò sulla soglia, giusto il tempo di dirgli:«Puoi dormire qui per il resto della notte».

Koros rimase nudo ed esposto, così dovevano sentirsi le ninfe usate e abbandonate da Zeus, pensò, mentre tratteneva le lacrime, e più gli veniva da piangere, più si arrabbiava con se stesso per i sentimenti confusi che gli impedivano di pensare lucidamente. Fu quando era sul punto di abbandonarsi ai singhiozzi che una nuova forza d'animo lo indusse ad alzarsi, a indossare la sua tunica e poi a uscire. Camminò lungo le valli nebbiose, fino al punto in cui ricordava di aver incontrato Ecate, lì si ergeva un melograno. Allungò le dita fino a strappare un frutto. Si guardò attorno,timoroso di vedere sbucare Cerbero o addirittura Caronte. Poi sgranò il frutto, avido. Affondò le dita nei chicchi. Un mese nel regno degli Inferi per ogni chicco mangiato. Non sopportava che Ade potesse abbandonarlo in quel modo, e, soprattutto, non sopportava di non vedere mai più i suoi occhi, di non sentire più le sue labbra.La mano tremò, ma lui aveva ormai preso la sua decisione. Solo un chicco, si disse. Uno solo per trascorrere qui un altro mese e prendere la mia decisione.

Lo ingoiò, senza neanche masticarlo. Ne sentì il sapore amaro,seguito da un dolce retrogusto, e poi tornò a rigirarsi nel letto.

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