Parte 10 - La violenza della luce

Disclaimer: questo capitolo contiene una scena di tentata violenza.

Koros aspettò di udire i passi di Ade allontanarsi. Si massaggiò il collo, si sfiorò le labbra che solo alcuni attimi prima il dio aveva catturato. Adesso che era di nuovo da solo poteva smetterla di fingere che gli incontri sempre più ravvicinati con Ade non avessero effetto su di lui. Di Ade aveva smesso di avere paura, o meglio, adesso ne aveva paura in modo diverso.

Sentiva le sue difese farsi più deboli, e tra la nostalgia di casa sentiva farsi strada sempre più forte il desiderio di lasciarsi andare alla passione. Aveva voglia di sentire le labbra di Ade sul suo corpo, di essere stretto da lui. Poi il senso di vergogna tornava a ricordargli che era un seguace di Artemide e che non avrebbe dovuto avere quei pensieri ben poco casti.

Sedette, si sfiorò il posto vuoto lasciato dalla cintura. Forse Artemide era in grado di vedere in fondo al suo cuore ed era irata con lui. Raccolse i chicchi della melagrana che erano sparsi sul pavimento. Li soppesò. Il loro colore era come una calamita, rossi come il sangue, come il cuore che batteva furioso nel suo petto quando Ade lo sfiorava.

Si avvicinò un chicco alle labbra, ne sentì la frescura, ma poi con un rapido gesto lo lasciò cadere in un piatto. Ade era stato onesto con lui; nonostante avesse potuto trattenerlo nell'oltretomba con l'inganno, aveva deciso di fermarlo perché preferiva conquistarlo piuttosto che approfittare ancora della sua ingenuità.

I narcisi di cui il dio gli aveva fatto omaggio risplendevano nell'antro poco illuminato della sua stanza. Koros sentì il cuore lacerarsi per l'ennesima volta. Una parte di sé voleva tornare a casa, tornare a raccogliere fiori e ad ascoltare la lira di Apollo, dimenticare tutto. Un'altra era attratta dal dio degli Inferi. Perché tra tutti proprio lui doveva essere in grado di risvegliare la sua passione? C'era una cosa che Ade non sapeva e che Demetra gli aveva confidato una volta. Koros, in quanto consacrato alla dea Artemide, si sarebbe dovuto conservare casto, ma la prima divinità che lo avesse posseduto, lo avrebbe tenuto legato a sé per sempre.

E se Ade lo avesse saputo sarebbe stato ancora così rispettoso? La domanda gli frullava in testa e gli impediva di prendere sonno, perché dalla risposta dipendeva il giudizio e la stima che lui aveva di Ade.

Nei pochi giorni trascorsi insieme, aveva scoperto che dietro l'apparenza di divinità implacabile e oscura, batteva un cuore capace di provare pietà, di essere gentile.

Koros si rigirò tra le lenzuola. Percepiva su di esse l'odore del dio e neanche questo lo aiutava a dormire. Aveva caldo e il ricordo delle sensazioni provate con Ade lo tormentava. Chiuse gli occhi e immaginò il dio spogliarsi del mantello, poi della tunica, rivelare il corpo possente come quello scolpito dagli scultori più abili nel bronzo o nel marmo. Gli parve quasi di sentire quel corpo su di sé. Allungò una mano verso il basso, tra le sue gambe. Non sapeva ciò che stava per fare, ma solo che l'istinto e il bisogno guidavano la sua mano. Non gli importava nemmeno più, in quel momento, di oltraggiare Artemide.

Poi un rumore sordo, una sorta di scricchiolio lo riscosse. Sudato e ansante si mise a sedere. I rumori si facevano sempre più vicini dietro la sua porta. E se fosse stato ancora Ade? Come gli avrebbe spiegato lo stato in cui si trovava? Come avrebbe fatto a resistergli?

Tirò su il lenzuolo, fino a coprirsi il petto.

«Chi è?», domandò, con un tono incerto.

Qualcuno aprì la porta. Non era Ade e nemmeno una delle creature che popolavano il suo regno. La figura che gli stava davanti non indossava una tunica scura, ma era avvolta in un chitone bianco e in un mantello. Il suo abbigliamento era di un tale biancore che stonava lì dentro e che poteva appartenere soltanto a un dio.

La figura si abbassò il mantello, rivelò i suoi capelli biondi, il volto regolare e bellissimo.

«Apollo...», mormorò Koros, sorpreso.

Apollo gli si avvicinò fino a sedersi sulla sponda del letto, gli prese le mani. «Ti ha fatto del male?»

«No, ma tu come hai fatto a entrare qui?»

Fino a pochi giorni fa, Koros avrebbe provato sollievo, lo avrebbe implorato di portarlo via con sé, adesso non riusciva a mettere ordine tra le emozioni che provava. Di certo sapeva che quando Apollo lo aveva sfiorato, aveva rivisto il cielo azzurro, le acque cristalline, i fiori profumati, un intero mondo racchiuso nei suoi occhi brillanti, così diversi da quelli cupi e penetranti di Ade.

Apollo sorrise. «I guardiani di questo regno non sono difficili da corrompere per un figlio di Zeus che abbia un poco di astuzia». Si alzò, diede uno sguardo alla stanza, poi individuò la tunica di Koros e gliela porse. «Indossala e vieni con me. La tua prigionia qui è finita. Tua madre è disperata e tutti gli uomini soffrono gli effetti della sua furia».

Koros afferrò la tunica, ma Apollo continuava a fissarlo, come se volesse imprimersi ogni particolare del suo corpo nella mente. Koros ne sentì addosso gli occhi invadenti. «Puoi girarti?», gli domandò.

Apollo fece come gli era stato chiesto, ma non poté evitare un commento sarcastico. «Non credevo che conservassi ancora la castità che Artemide desidera».

Koros odiò che l'altro parlasse in quel modo, che insinuasse che Ade lo aveva preso con la forza. «Ti ho detto che non mi è accaduto nulla». Il pensiero di sua madre gli strinse il cuore. «Dimmi di mia madre, ti prego, cosa sta facendo agli uomini?»

Apollo si voltò. «Non ci sono più messi né fiori, gli alberi seccano, tutta la terra non è che un'arida distesa, che neanche le copiose lacrime di Demetra riescono a inumidire».

«Le parlerò io, tutto tornerà come prima», disse Koros.

Apollo lo prese per mano. «Bene, adesso è il momento di andare».

Uscirono nel corridoio dalle pareti di pietra. Le fiaccole appese ai muri tremolavano. Dalla parte opposta c'erano le stanze di Ade. Koros lo immaginò dormire, ignaro di quanto stesse accadendo, lo immaginò poi svegliarsi, correre a cercarlo per fargli assistere ancora una volta al giudizio delle anime o per fargli visitare i Campi Elisi, come gli aveva promesso. Non lo avrebbe trovato. Si sarebbe disperato a vedersi di nuovo da solo nell'immensità delle nebbie del Tartaro? Koros provò pena per lui.

Si fermò, tirando al mano di Apollo.

«Cosa c'è?», domandò l'altro sorpreso. «Sono sicuro che la strada sia questa».

«Andiamo via così?», domandò Koros, stupidamente.

«E come vorresti fare? Sbrighiamoci, prima che Cerbero abbia dei ripensamenti e vada a svegliare il suo padrone». Lo afferrò di nuovo per una mano e camminò a passo svelto.

Attraversarono le valli, udirono il mormorio del fiume Lete. Il pioppo bianco che segnava l'uscita era poco lontano. Camminarono ancora, arrivarono presso la riva del fiume. La nebbia si era diradata ed entrambi scorgevano le acque cristalline del corso d'acqua. Quando i morti vi si abbeveravano, esse diventavano per un momento torbide, poiché raccoglievano tutti i loro ricordi.

«Ci siamo quasi», disse Apollo. Gli accarezzò il volto e Koros glielo lasciò fare, credendo che fosse un gesto d'affetto senza secondi fini, uno dei tanti che Apollo gli aveva riservato quando gli insegnava a suonare la lira.

«È giusto andarsene così? L'ira di Ade non sarà pericolosa quando si accorgerà di quello che abbiamo fatto?»

Una smorfia si dipinse sul volto di Apollo. «Ed è giusto quello che ha fatto lui? Portarti via dal tuo mondo? Costringerti a questa vita?», replicò. «Forse che ti ha fatto innamorare? Mi hai mentito prima... Ade ha già consumato le vostre nozze».

«Niente affatto!», si indignò lui. Sentì le gote diventare rosse. Non gli piaceva quest'Apollo che insinuava, che lo guardava come se fosse di sua proprietà. Ricordò Dafne, le prepotenze su uomini e dei che il dio del sole non aveva mai lesinato. «Credi di essere tanto migliore di lui?», domandò senza pensare.

Il volto di Apollo si contorse in una smorfia oltraggiata. Strinse i pugni, poi gli respirò in faccia: «Ti piacciono i modo rudi? È questo il modo in cui ti si fa innamorare? E pensare che con me eri tanto algido».

Koros arretrò, ma Apollo lo prese tra le braccia, gli attaccò le labbra, in un bacio sgradito che gli tolse il fiato.

«Cosa fai?», riuscì a dire Koros quando ne ebbe la possibilità.

Il dio aveva piantato gli occhi nei suoi, le pupille dilatate dal desiderio, le iridi infuocate dalla prepotenza. «Mi assicuri che Ade non ti abbia toccato?»

Koros tentò di sottrarsi alla sua stretta, ma non ci riuscì. «Ti ho già detto che non l'ha fatto».

Un lampo soddisfatto illuminò gli occhi di Apollo. «Bene, ora sistemeremo questa faccenda». Lo spinse sul terreno e si sistemò tra le sue gambe. «So una cosa che Ade non sa e che tua madre si è fatta sfuggire in preda al dolore: so che il primo dio che ti avrà, sarà colui a cui sarai legato per sempre».

Koros ansimò, tentò ancora di spingerlo via. «Lasciami, non voglio». La consapevolezza di quello che stava per accadere gli paralizzò le viscere. Apollo, il dio che di cui si fidava, il dio luminoso che avrebbe dovuto scacciare le tenebre ora non si sarebbe fatto scrupoli a fargli del male pur di raggiungere il suo scopo. Voltò ancora il capo per evitare di toccare le sue labbra, ma ad Apollo non sembrò interessare.

Il dio del sole gli sollevò la tunica, gliela fece scivolare sulla gambe, poi insinuò una mano tra di esse fino ad afferrargli il membro. «Sarai mio, Artemide si rassegnerà, tua madre mi sarà grata per la salvezza che ti offro», disse con voce roca.

«Sei pazzo», gemette Koros, mentre sentiva le dita dell'altro insinuarsi tra le gambe, muoversi sul suo membro e poi, non invitate, tentare di scivolare dentro di lui. La tunica gli venne strappata, la pelle rabbrividì di orrore e di freddo. Poi, d'improvviso arrivò la salvezza.

Koros lo capì udendo il fruscio di mantello e i passi che gli erano famigliari. Apollo fu sollevato e scaraventato nel fiume da Ade.

«Che Zeus ti fulmini, dio del sole!», Ade si scagliò contro di lui, «come hai osato violare il mio regno e tentare di oltraggiare il mio sposo».

Apollo tentò di ribattere, ma un'onda del fiume lo travolse e l'abbaio rabbioso di Cerbero si fece più vicino. Ad Apollo, sconfitto, non rimase che sparire in una nuvola di luce.

Koros si mise a sedere, ma non osava sollevare lo sguardo. Ade gli si avvicinò e lo avvolse con il suo mantello. «Mi dispiace, vorrei dire qualcosa di più, ma la mia eloquenza non è pari a quella di altre divinità».

Koros sentì il calore del suo corpo attraverso la stoffa pesante del mantello e provò un senso di conforto. Avrebbe solo voluto essere un umano, bere l'acqua del fiume e dimenticare ciò che gli era accaduto. Sentì le labbra di Ade posarsi sulla sua fronte. «So che ti manca la tua casa. Ricordati che non voglio costringerti a fare niente che tu non voglia».

«Vuoi rimandarmi da loro?», domandò Koros e si sorprese a pensare che in quel momento una risposta positiva lo avrebbe fatto sentire abbandonato.

«Ci penseremo tra un po'. Adesso vieni con me», disse, e gli porse la mano.

Koros l'afferrò.

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