~7~
Lunedì. Di nuovo quel maledetto giorno. Mi copro la testa col cuscino per non ascoltare il suono della sveglia, ma alla fine decido di alzarmi. Guardo l'ora e per poco non mi viene un infarto. Le sette e mezza?! È tardissimo!
Mi precipito in cucina per bere almeno un caffè. Non presto attenzione ai rimproveri di mia mamma, che continua a dirmi che se arrivo tardi sono affari miei e che se non sono pronta entro cinque minuti dice a Becca di andare via senza di me. Mia sorella, senza farsi vedere dalla mamma, rotea gli occhi e mi sorride. Mi avrebbe aspettata dietro l'angolo, come fa ogni volta che sono in ritardo. Non mi avrebbe mai lasciata andare a scuola a piedi, anche perché in una città come New York ci avrei messo fin troppo tempo.
Corro di sopra e mi vesto velocemente, buttando poi le ultime cose che mi servono nella borsa. Volo nuovamente di sotto, saluto i miei e raggiungo Rebecca che mi sta già aspettando in macchina. Appena chiudo la portiera, prendo il cellulare e apro la chat di gruppo che comprende me, Jess, Nick e Dan e li avviso che sono in ritardo e ci saremmo visti direttamente a lezione.
Becca ride sotto i baffi.
"Alla sera leoni..."
"Se finisci quella frase, giuro che appena arriviamo a scuola ti strozzo," la ammonisco. Lei ride.
Ha sicuramente ragione. Ieri sera sono stata sveglia fino a tardi per finire di guardare la seconda stagione di Fleabag e non mi sono accorta che si era già fatta l'una e mezza. Non sono riuscita ad addormentarmi prima delle due, quindi, e andare a letto così tardi di sicuro non si sposa bene col doversi alzare presto per andare a scuola.
Mi guardo nello specchietto. Non ho fatto neanche in tempo a truccarmi, spero che nessuno pensi sia malata o qualcosa del genere. Non che di solito mi metta chissà quale quantità di trucco addosso, il minimo per correggere le imperfezioni e far risaltare i miei punti forti naturali, ma questa mattina il mondo dovrà fare i conti con le mie occhiaie.
Appena arriviamo a scuola, mia sorella va subito in aula, mentre io vado a mettere via almeno il borsone da palestra. Non posso portarmelo dietro fino al pomeriggio, quando ho gli allenamenti, sarebbe scomodo oltre che ingombrante in classe.
Corro poi verso l'aula di storia. Apro la porta proprio mentre il professore dice il mio cognome.
"Presente!" esclamo entrando. Qualcuno sobbalza sulla sedia, probabilmente è ancora mezzo addormentato o comunque non se lo aspettava.
Il professor Scott mi scocca un'occhiata arcigna e si sistema gli occhiali sul naso.
"Come mai in ritardo?" chiede.
"Non mi è suonata la sveglia, mi dispiace molto. Le prometto che non succederà più," gli assicuro, andando a sedermi al primo banco libero che trovo.
Di solito, anche se a casa sono in ritardo, riesco ad arrivare a scuola con un magro anticipo, ma oggi purtroppo è stato annunciato uno sciopero dei mezzi e quindi c'era anche del casino per strada.
Insomma, un ottimo modo per iniziare la settimana.
Il professore sembra soddisfatto della mia risposta, tanto che annuisce e borbotta un "sarà meglio" prima di ricominciare con l'appello. Il professor Scott non è uno dei preferiti tra gli studenti. È abbastanza noioso, sembra abbia un solo tono di voce, è abbastanza burbero e stretto di voti. Però è molto buono, è raro che dia note, preferisce limitarsi a rimbrottare vocalmente, e prima di farlo arrabbiare ce ne vuole. Non è di sicuro l'amicone, il professore da cui andare se hai qualche problema, ma è un buon alleato.
"Prima di iniziare con la lezione, vorrei darvi un compito. Voglio che scriviate un elaborato che sarà parte integrante del vostro voto finale. Dovrà essere completo di bibliografia, note e tutto il resto. Potete scegliere uno degli argomenti già trattati quest'anno o che tratteremo nella seconda metà dell'anno. Entro Natale vorrei mi diceste cosa avete scelto, ma avete tempo fino a febbraio per cambiare argomento. Me lo consegnerete ad Aprile," dice, guardandoci tutti, "sarà un lavoro di gruppo. Vi dividete quattro a quattro a seconda di come siete seduti ora, quindi le file dispari si girino verso i compagni che stanno dietro di loro."
Mi giro. Il primo banco che avevo trovato era in prima fila, proprio sotto il naso del professore - e per questo è di solito uno di quelli che si riempiono il più tardi possibile. Non mi piace molto quello che vuole farci fare, secondo me è un po' inutile farlo in gruppo visto che si tratta di un lavoro che sarebbe meglio eseguire da soli. Ma credo che voglia farci imparare a lavorare in un team, con altre persone, e non ha tutti i torti.
"Ciao, fatina," dice una voce che conosco fin troppo bene. Rimango immobile, spostando poi lo sguardo sul ragazzo che l'ha pronunciata.
Blake.
Ma è mai possibile che me lo ritrovo sempre in mezzo ai piedi?! E cosa ci fa in seconda fila? Di solito se ne sta dietro, negli ultimi banchi, tranne quando arriva in ritardo e deve accontentarsi di quello che trova. Reprimo un brivido.
Erano anni che non sentivo quel soprannome. Mi chiamava sempre "fatina", perché quando mi muovevo diceva che sembrava stessi volando. Allo stesso modo, Becca era "stellina", amava cantare fin da piccola e Blake le aveva dato quel soprannome perché era convinto sarebbe diventata una star un giorno. Lui per noi invece era "cookie", perché ne andava letteralmente pazzo, infatti quando lo abbiamo conosciuto stava sgranocchiando un biscotto al cioccolato.
"Non credevo te ne ricordassi," rispondo in un sussurro. Lui si stringe nelle spalle e fa per rispondere, ma la voce del professore lo interrompe.
"È inutile dirvi che è assolutamente obbligatorio e che servirà per le vostre domande di ammissione all'università. Ora scrivete i vostri nomi su un foglio così so quali sono i gruppi," ci dice.
Stacco un foglio dal mio quaderno e comincio a scrivere il mio nome, poi quello della ragazza di fianco a me - Elaine Travis - e dell'altro ragazzo - Kyle Harris - per poi aggiungere quello di Blake in fondo. Mi alzo per dare al professore il biglietto e torno al mio posto, ignorando completamente il ragazzo che cerca comunque di attirare l'attenzione.
Per fortuna il docente ci dice di rimetterci ai nostri posti e comincia a spiegare.
Non posso credere che dovrò passare dei pomeriggi interi assieme a quell'idiota. Cerco di evitarlo quanto più posso, eppure sembra che l'universo lo spinga sempre verso di me. L'ho visto più volte in queste settimane che durante tutto il tempo al liceo.
Quando suona la campanella, prima che usciamo tutti, Elaine chiede a noi tre il numero di telefono così da creare un gruppo su WhatsApp per il progetto. Annuisco e glielo do senza problemi, così come Kyle. Blake esita in un primo momento, probabilmente è abituato a ragazze che glielo chiedono solo per uscire, ma alla fine cede e glielo lascia.
Esco poi dall'aula, ma non mi accorgo di essere seguita proprio da Blake. Si affianca a me, facendo finta di niente.
"Non mi sembra che abbiamo le stesse lezioni, Blake," gli dico ad un certo punto, quasi arrivata all'aula di geografia. Una delle poche lezioni che ho assieme ai miei amici e a Dan. È proprio a quest'ultimo che sto pensando. Non voglio che mi veda assieme a Blake, anche se non stiamo facendo niente e anzi, io sto cercando di allontanarlo. Ma so che a Dan lui non piace, si arrabbierebbe di sicuro, e Blake non perderebbe l'occasione di fare il coglione.
"Non posso andare dove voglio, fatina?" chiede, sfoderando uno dei suoi sorrisetti da sfottò. Roteo gli occhi.
"La smetti di chiamarmi così? Non siamo amici, mi stai abbastanza sulle palle e mi da molto fastidio," gli dico con molta calma. Non serve arrabbiarsi con persone del genere non serve urlare, basta usare un tono fermo che non ammette repliche.
Lo supero poi, lasciandomelo dietro con probabilmente tutti gli insulti possibili e immaginabili che gli girano per quel piccolo cervelletto che si ritrova.
Entro in aula e lascio scivolare i libri sul banco di fianco a quello di Jess. O lei o Dan mi tengono sempre un posto, ma dal suo sguardo capisco che questa volta ha fatto apposta ad essere lei a stare seduta di fianco a me. Probabilmente mi vuole parlare di Nicholas e di come gli ha chiesto di andare al ballo. Spero solo che lui non le abbia detto di no, anche se da come mi sta guardando capisco che non sono buone notizie.
Saluto il mio fidanzato e il mio migliore amico prima di sedermi di fianco alla ragazza, che sembra quasi abbia trattenuto il respiro fino al mio arrivo.
"Allora?" le chiedo. Non ho bisogno di darle indicazioni, so che ci arriverà lei a dirmi tutto.
"Allora niente. Ci ho provato, ma non ci sono riuscita. Le parole non sono uscite, ho fatto la figura dell'idiota con la bocca aperta come un pesce!" borbotta, passandosi una mano sulla fronte. Reprimo una risatina: chi avrebbe mai detto che Jessika Ramirez, la ragazza più bella e corteggiata della scuola, avesse così paura di invitare il suo migliore amico ad un ballo?
"Ci stai pensando troppo, Jess. Cerca di prenderla più alla leggera. Se tu per prima pensi che sia una cosa importante, allora farai ancora più fatica."
"Ma è importante!"
"Lo so! Ma tu devi convincerti che non lo sia. Pensa di invitarlo fuori..."
"Peggio mi sento!"
"Come abbiamo sempre fatto! Dio santo, Jess, lasciami finire di parlare prima di intrometterti!" sibilo inviperita. Forse la vicinanza con Blake e la consapevolezza di dover passare tanto tempo con lui mi hanno fatto precipitare l'umore giù per un burrone, "Scusa, sono un po' nervosa," aggiungo, notando lo sguardo ferito della mia amica. Lei scuote leggermente la testa.
"No, hai ragione," prende un grosso respiro e giocherella con il gancio della lampo dell'astuccio, "mi potresti aiutare?"
"E come?"
"Non so... Prova a dargli qualche indizio, magari viene a lui l'idea."
"Jess, lo sai che Nick non coglie i suggerimenti di questo tipo. Però sarò lì con te. Potresti provare a chiederglielo a pranzo, così non sarai da sola e ci saremo noi a sostenerti."
"Certo, per poi fare la figura dell'idiota quando mi dirà di no?"
"Non potrà certo andarti peggio di Peter Cook, te lo ricordi?"
Ci pensa un attimo. Peter era un ragazzo più grande di noi, era al terzo anno quando noi abbiamo iniziato. Voleva chiedere alla sua ragazza di andare al ballo di fine anno con lui e aveva organizzato una sorta di spettacolo del Super Bowl per farlo - cannoni con petali di rosa, cheerleader, un aereo che volava sul campo da football con uno striscione attaccato. Aveva invitato tutta la scuola ad assistere, solo che non solo ricevette un no come risposta ma fu doppiamente umiliato perché la ragazza gli disse di essere innamorata di suo padre. Scoppiammo a ridere entrambe.
"Sì, hai ragione. Peggio che a Cook non può accadere!"
Note
So che sono passati mesi dall'ultimo aggiornamento, ma è stato un periodo molto frenetico e sono finita per dimenticarmi di questa storia.
Perdonatemi ❤ Spero che il capitolo vi piaccia~
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