Prologo
Questa mattina sono di pessimo umore, mentre sono seduta all'isola in cucina per fare colazione e aspetto che il caffè sia pronto, vedo un piatto ricoperto da un tovagliolo giallo con su scritto "Per Léa". Sposto il pezzo di carta colorato e scopro dei pancakes. Mia madre li prepara spesso. Prendo lo sciroppo d'acero dal pensile bianco al muro. Lo spruzzo sopra e li mangio frettolosamente, anche se oggi non ho impegni. Sono tornata a casa per il weekend, solitamente vivo in una casa condivisa con Miriam e Kevin, due amici di vecchia data.
Mentre sto masticando il primo boccone, il mio cellulare, poggiato sul ripiano, vibra e riconosco la suoneria della notifica: un'email.
Prendo il telefonino, sblocco il display ed entro nella posta elettronica, il nuovo messaggio appena arrivato riporta come oggetto "Provino", sobbalzo, perché spero che sia proprio ciò che sto aspettando da un mese. Ci clicco sopra e lo leggo all'istante, il cuore mi galoppa nel petto e temo stia per uscirmi dal torace.
Gentile signorina Green,
la sua richiesta al provino per il film "A movie about us" è stata accettata.
La attendiamo il 30 settembre alle sedici nel Gaslamp Quarter nella 5th Avenue 135 /a, citofono Harris, terzo piano, ultima porta a destra.
Si vesta comoda, prepari un monologo di tre minuti e una canzone tratta da un musical.
La attendiamo, buona giornata,
Gwen Morris
Finito di leggere, dimentico come si respira e l'aria si incastra nei polmoni, rimango in apnea, fino a diventare rossa. Mi tappo la bocca con il palmo della mano, prima che un urlo acuto di gioia esca dalla mia bocca. Mi ricompongo e faccio cinque lunghi e profondi respiri, finisco di mangiare e faccio mente locale su cosa fare: devo trovare un monologo! Ho solo tre settimane per prepararmi e per un secondo temo di non riuscire a farcela per tempo. Ripongo il piatto e la tazza nella lavastoviglie.
Mi faccio velocemente una doccia e infilo una tuta al volo, lego i capelli in una coda alta, indosso le scarpe da tennis ed esco di casa a piedi, prendendo frettolosamente lo zaino attaccato all'appendiabiti vicino all'ingresso. La biblioteca centrale di San Diego dista venti kilometri dall'abitazione dei miei genitori. Prendo un taxi senza dover aspettare l'autobus. Mi siedo sul sedile anteriore accanto all'autista, che dopo un quarto d'ora, dovuto al traffico interminabile, si accosta al marciapiede e parcheggia nei posti adibiti a quelle vetture.
Pago al tassista molto gentile sette dollari e mi dirigo verso il grande edificio per cui sono uscita.
La cupola della central library è vistosa e già la si può scorgere a un miglio di distanza. Le vetrate riflettono la luce del sole, che mi fanno bruciare gli occhi perché mi abbagliano. Prendo gli occhiali da sole dallo zaino e me li metto.
Arrivata di fronte alla biblioteca, alzo il viso e gli occhi verso l'alto e, tenendo il naso all'insù, un brivido di paura, mescolata ad ansia mi percorre la spina dorsale, mancano ancora tre settimane al provino, non posso farmi prendere dall'agitazione proprio adesso! È una vita che aspetto un'opportunità del genere e non posso proprio lasciarmela sfuggire, sarei una stupida. Devo solo trovare un monologo adatto a me, uno con cui fare bella figura! Un'ondata di vento mi fa rabbrividire, sebbene sia inizio settembre.
Entro nella biblioteca oltrepassando le porte scorrevoli in vetro. Davanti ai miei occhi si apre una sala enorme, sembra un aereoporto; non sono mai stata qua dentro. Due stili architettonici diversi si mescolano tra loro: uno moderno per via delle numerose scale mobili e gli schermi piatti a ogni angolo, che mostrano la nascita della struttura, la sua storia e l'ideatore.
Vicino all'arcata principale alta circa dieci metri si trovano degli scaffali in legno scuro antico e delle vetrine dello stesso colore e materiale chiuse a chiave da dei lucchetti d'oro. È una meraviglia per gli occhi. Il profumo di carta avvolge le mie narici e mi fa sentire bene, nel posto giusto. Sono esattamente dove dovrei essere e per un istante mi sento più tranquilla e rilassata.
M
i dirigo al punto informazioni a un bancone turchese, dove due ragazze giovani si prestano ad aiutare i visitatori e i clienti.
Mi avvicino a una giovane donna, che indossa una camicia bianca e un foulard celeste come i suoi occhi, è bionda e ha i capelli raccolti in uno chignon. La guardo e lei capisce che necessito la sua assistenza.
«Salve, posso aiutarla?»
«Sì, può dirmi dove trovare la sezione teatrale e cinematografica per i monologhi?»
«Certo, al primo piano, dopo le scale mobili subito a sinistra, in seguito dopo l'angolo a destra.»
«La ringrazio» stendo le labbra in un sincero sorriso.
Prendo le scale mobili e seguo le informazioni che mi sono state date. Arrivo a uno scaffale in legno pregiato chiaro.
Un ragazzo mi si avvicina, mentre prendo in mano un libro e afferma:
«Quel libro non è un granché, i monologhi all'interno sono noiosi e poco originali. Ti consiglio questo» stringe un volume spesso e me lo mostra.
Lo afferro e lo apro, sorridendogli.
«Grazie! E sai anche darmi un consiglio su quale monologo specifico?»
«È un pochino difficile, non ti ho mai vista recitare!» sogghigna, giusto il tempo che io abbassi gli occhi verso il pavimento, vergognandomi.
«Se non ricordo male, però ce n'è uno di Frida Kahlo, molto bello, sarebbe in contrasto con i tuoi capelli e gli occhi, ma è proprio quello l'interessante: portare in scena ciò che non si è, che si discosta in modo assoluto da noi»
Tengo il libro tra le braccia, come se fosse la cosa più preziosa sulla faccia della Terra.
Adocchio un tavolino in legno libero accanto alla grande vetrata dalla quale si vede la strada e la piazzetta davanti all'edificio. Il sole è alto e attraversa la finestra con facilità perché non c'è uno strato di polvere.
Trovo, con tanta fatica, il testo a pagina centotrentadue. prendo delle monete dal portafoglio e vado a cercare una fotocopiatrice; la trovo appena svoltato l'angolo. Il ragazzo gentile di poco prima si trova proprio lì e assiste le persone che vogliono fotocopiare alcune pagine. Mi avvicino al mio turno e quando sta a me, lui mi sta fissando, alzo gli occhi su di lui e il ragazzo di cui non conosco il nome distoglie lo sguardo. Mi sorride mostrando tutti i denti bianchi e dritti, potrei quasi dire che siano finti! Una vampata di calore mi saetta dentro il corpo. Lui indossa una maglietta bianca che mostra i bicipiti muscolosi, e un paio di jeans neri, ha i capelli corvini spettinati in testa, nei quali di tanto in tanto ci passa le mani.
«Non mi hai detto come ti chiami» mi rivolgo a lui
«Greg» inalo un profondo respiro perché è una risposta inaspettata.
«Greg come Gregory?» mi porto una ciocca di capelli, sfuggita dalla coda, dietro l'orecchio.
«Semplicemente Greg» assorbo la sua risposta e rimango in silenzio.
«Delusa? si porta una mano tra i capelli, scompigliandoli ancora di più e mi rendo conto che mi ricorda qualcuno, ma non ricordo chi di preciso.
«No, cioè, pensavo avessi più un nome da Justin, John, Liam o David»
«Mi stai dicendo che il mio nome non mi sta bene?» alza un sopracciglio
«No...cioè in realtà... sì, è così.» balbetto e alla fine annuisco addolorata.
«E tu.. ti chiami... Sandy, Shelley, Sandra..»
«Stai dicendo tutti i nomi di Grease per caso?» lo guardo di sottecchi e scuoto il capo.
«C'ho provato» fa spallucce
«Léa»
«Léa come-» si guarda attorno in cerca di una risposta da rifilarmi, ma non posso osservargli le pupille perché anche se al chiuso, porta gli occhiali da sole. Forse si è dimenticato di torglierli...
«Solo Léa.» gli porgo le pagine che vorrei fotocopiare e lui sorride.
«Lo hai trovato!» esclama gioioso
«Sì, lo proverò...» asserisco, inserendo le monete nella stampante.
Raccolgo i fogli e riprendo il libro che lui mi tende e tento di reggere il suo sguardo intenso, che non vedo, ma che sento addosso perché il viso è rivolto verso di me; mi giro di spalle, alzo la mano in un vago saluto e mi dirigo verso il tavolo dove ero seduta poco prima. Lo sento gridare dietro di me «In bocca al lupo per qualunque cosa sia!»
«Grazie Gregory.» mi volto con un sorrisetto malizioso.
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