Longanimity (Riley Flynn & Monsignor John Pruitt/Padre Paul Hill)

14. Longanimity

Pazienza o tolleranza di fronte alle avversità .

(Riley Flynn & Monsignor John Pruitt/Padre Paul Hill)


•••

  «Quando ero giovane, mi piaceva da impazzire giocare a baseball.»

   Riley alza le sopracciglia; ridacchia. È assurdo - John lo sa - immaginare un prete che, al di fuori di quella divisa e di quella vita, abbia avuto altri interessi, altre passioni, al di fuori della fede. Come se un prete non potesse amare nient'altro che dio.

   «So che non dovrei pensarlo, ma ammetto che la cosa mi faccia un po' strano, padre», ammette, infatti, e lo fa ridere.

   Sono seduti uno accanto all'altro, sulle scale della chiesa. La messa della domenica è finita un'oretta fa, ma loro due sono rimasti a parlare fuori dalla porta, e alla fine John si è seduto sui gradini; è rimasto abbastanza stupito dal fatto che Riley lo abbia imitato senza troppe cerimonie. Si vede che, da quando hanno iniziato gli incontri per l'AA, quel ragazzo sta pian piano cambiando il suo modo di vedere il mondo. Pian piano, passo dopo passo, supererà quel senso di colpa che lo attanaglia, John lo sa, quasi lo percepisce, ma c'è bisogno di tempo.

   Un omicidio non si dimentica facilmente e forse, alla fine, Riley non dimenticherà mai di aver ucciso qualcuno – per sbaglio, ma l'ha fatto. Però, chissà, magari riuscirà a convivere con quel fatto e continuare a vivere lo scorrere del tempo con un peso sempre minore, colmare quei vuoti ricercando un nuovo scopo nella vita, di cui ora è privo. John vorrebbe promettergli che riuscirà a dargli quella possibilità, vorrebbe dirgli che l'eternità è l'unica via e che lui ha in mano la chiave per ottenerla, ma non lo farà ora. Non è ancora il tempo, ma arriverà anche quel momento. Non vede l'ora di regalare a Riley, alla gente di Crockett e alla donna che ha amato – e che ancora ama, una nuova possibilità, unica e ultima, ma che è perfetta, proprio come lo è Dio. Un modo di ricominciare sempre, di provare e riprovare a capire la vita, e infine saperla prendere. Non basta il tempo che ci viene concesso per comprendere, ma ne serve infinito.

   Lui può darglielo. Lui può fare dono a quella gente di quel miracolo.

   «Lo so, è difficile immaginarmi giovane e senza il vestito, vero?»

   «Giusto un po'», ridacchia Riley, indicando con pollice e indice uno spazio minimo.

   «Pensa che ho insegnato ai ragazzi della prigione dove facevo messa a giocarci. Abbiamo anche fatto una partita tra carcerati e sentinelle.»

   «Lei era tra le sentinelle o faceva l'arbitro?»

   «Oh, nessuno dei due. Ero con i carcerati, e abbiamo anche vinto. È stata una bella giornata, ci siamo divertiti, per un po' hanno dimenticato tutti dove eravamo e perché», racconta, con un velo di nostalgia nella voce che tradisce il fatto che, a dire il vero, sono passati più anni di quelli che Riley possa credere. «È stato un giorno indimenticabile.»

   «Perché ha smesso di dire messa laggiù?»

   «Mi hanno trasferito, nulla di eclatante. A volte sembra quasi che non vogliono farti affezionare ai fedeli dai quali ti mandano», ammette, poi gira il viso verso quello di Riley, che ricambia immediatamente e, esitando un secondo, si lascia sfuggire una domanda che forse non è ancora il momento di fare. «E tu? In carcere hai fatto niente del genere?»

   Il giovane arriccia le labbra, ma non sembra per nulla toccato da quel quesito. Non in modo negativo, almeno. Sospira e stringe le mani tra loro; se le guarda, abbassando la testa. «No, in verità no. Ho passato molto tempo chiuso nella mia cella a cercare... non so. Tante cose; una redenzione, un perdono... Dio. Chiunque egli fosse in quel momento.»

   «Non l'hai trovato, però.» Non è una domanda, è un'affermazione e John sa benissimo che Riley ha smesso di credere e non vuole convincerlo di nulla. Non ha passato quello che ha passato lui, non può sapere cosa significa uccidere qualcuno, specie senza volerlo, per colpa di un incidente. Non vuole infierire dicendogli che non ha trovato Dio perché era già dentro di lui, a proteggerlo, a sostenerlo, perché sa già quale sarebbe la risposta. E l'ultima cosa che vuole è vedere Riley allontanarsi, proprio ora che si è avvicinato così tanto.

   Proprio ora che, per lui, ha in serbo così tanto...

   «No, padre. Non l'ho trovato.»

   «Non importa. C'è tempo per trovarlo e... no, non guardarmi così, non ho alcuna intenzione di fare alcuna morale, voglio solo dire che la fede non è cosa da tutti e a volte c'è bisogno di un segnale più forte, per non indugiare e credere. Giuro, non voglio farti la morale!», insiste, quando Riley alza gli occhi al cielo, un po' scocciato da quel discorso, anche se sta leggermente sorridendo. Forse è più un gioco, ora, questa differenza tra di loro. Forse hanno trovato un equilibrio nelle loro differenze. Forse è solo che hanno capito entrambi che questa è l'unica cosa che li dividerà sempre, ma almeno cercano di rispettarsi a vicenda.

   «Lo so, lo so», dice Riley, poi alza una mano e lo indica con un gesto teatrale. «Non sarebbe da lei, se non provasse a farmi diventare un fan di Dio, no?»

   «Uno ci prova», ironizza John, poi aggiunge, «Però se ti piace il baseball, in quello crediamo entrambi!»

   «Non mi dispiace», ammette l'altro, «Sono un fan casual, mio padre mi ha insegnato qualcosa, ma sono negato per gli sport.»

   «Magari un giorno possiamo fare una partita, qui dietro la chiesa. C'è abbastanza spazio per imbastire un campetto, che ne pensi? Sono convinto che Warren, Ooker e Alì non direbbero mai di no.»

   Riley sbuffa una risata divertita. «Pur di fare qualcosa di diverso, farebbero qualunque cosa. Non che li biasimi, eh!»

   «Molto bene! Ci infiliamo dentro te, la signorina Greene, la figlia della signora Gunning. Come si chiama? Sarah, giusto?», chiede, anche se sa benissimo il nome di sua figlia. Gli piace, però, il suono che fa quando esce dalla sua bocca. Lo percepisce da solo, quel vibrante tono d'orgoglio, quando lo fa.

   «Se gioca Erin, io mi astengo. Sono certo che mi straccerebbe», sorride Riley, e guarda altrove, quasi come se volesse nascondere gli occhi che gli brillano, ma John lo sa che accade sempre, quando parla di quella ragazza.

   Sa benissimo cosa significa, brillare per qualcuno.

   «Faremo in modo che giochiate assieme! Dunque, voi giovani contro noi anziani?»

   «A me lei pare parecchio in forma, padre. Averla in squadra non sarebbe male!»

   «A patto che tu venga a raccogliere i miei brandelli a fine partita.» Raccoglie la provocazione e poi entrambi ridono.

   Poi Riley si ferma e la sua solita melanconia torna a mettergli addosso quel velo di tristezza che lo tiene prigioniero da quando è tornato a Crockett.

   «A volte sembra quasi di dover fare tutto, anche le cose più impensabili e che sembrano impossibili, perché il tempo è limitato.»

   «Credimi, non sarà per sempre così.»

   «Prima o poi si muore, padre.» Riley non lo guarda affatto, mentre lo dice. La sua voce è amara, distrutta; sembra quasi cadere in mille pezzi dalla sua bocca, quando pronuncia quelle parole. La sua condanna: il tempo. Limitato, forse ormai piatto, finito, morto. Come la sua anima, che ha lasciato su quella strada, dove il corpo di quella ragazza lo fissa, illuminata dalle luci gialle e blu dell'ambulanza che non è riuscita a rianimarla, dopo che lui l'ha colpita con la sua auto.

   Non si muore più, Riley. Tra poco non moriremo più, e avrai tutto il tempo per riscattarti e giocare quella partita con la gente che ami.

   Non lo dice, lo pensa, quasi glielo dice con gli occhi; se solo Riley lo guardasse...

   «Allora bisogna organizzarsi per giocarla, questa partita.»

   «Sì, forse dovremmo», lo asseconda Riley, ma John sa che non accadrà mai, non adesso, almeno. Forse nemmeno dopo, quando tutti avranno bevuto il sangue di Dio e avranno ricevuto il dono dell'immortalità.

   Forse non basta una vita intera per espiare le proprie colpe, e forse nemmeno l'eternità, ma John ci vuole provare a cambiare le cose e, giura su Dio, sul suo Dio su cui ha adagiato ogni sua speranza, che ci riuscirà.

   Cambierà le cose, donerà loro l'infinito e, insieme, costruiranno un mondo diverso. Non gli interessa se saranno grati o no; John vuole solo un'altra possibilità. No, John vuole infinite possibilità e Dio l'ha scelto.

   Non lo deluderà.

   Poggia una mano sulla spalla di Riley, gli sorride, poi si alza in piedi.

   «Ci vediamo domani sera per l'incontro, tu intanto pensa a una strategia vincente.»

   Riley ridacchia, poi si alza anche lui e gli mostra la mano, che John stringe come se gli stesse promettendo che quell'eternità gliela donerà per davvero, senza che Riley sappia quante cose stanno cambiando a Crockett, silenziosamente, dietro le quinte di quell'altare umile che John stesso ha fatto costruire quasi sessant'anni fa.

   «Faccia lo stesso, padre. Buonanotte», si congedano così, e John lo guarda andare via. Riley Flynn, con le sue spalle alte, insicure, che cercano di proteggerlo da se stesso e da quello che è stato e che non sarà mai più.

   Farà in modo che quelle spalle siano larghe e leggere, un giorno e, ne è certo, per l'eternità.

Fine

( Scritta con il prompt ETERNITA' (M2) del COWT 12 indetto da Lande di Fandom. )

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