Acrasia (Riley & John Pruitt/Mildred Gunning)
10. Acrasia
Mancanza di autocontrollo.
(Riley & John Pruitt/Mildred Gunning)
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Il Natale non è esattamente la sua festa preferita – lo sanno tutti, ormai, che preferisce la Pasqua, a tutte le altre festività, e forse John deve questa preferenza al fatto che, malgrado abbia vissuto una vita appagante, sente la mancanza di qualcosa che, nella posizione in cui si trova, non può ottenere. Non gli è permesso.
Così la Pasqua è meglio del Natale, perché c'è la resurrezione, il ritorno alla vita – ad una vita diversa. Il Natale è solo la nascita, solo il decollo verso un mondo nuovo che spaventa, disturba, distrugge, e di cui non si conosce assolutamente nulla.
I ragazzini giocano di fronte allo spiazzo appena fuori la chiesa e lui è lì, seduto sui gradini di legno di St. Patrick, che li guarda passarsi il pallone che ha appena regalato loro.
«Non vi fate male, o sarò costretto a prendervi a scappellotti dietro la testa», dice, indicando il figlio del sindaco, che sta palesemente strattonando il nipote del macellaio senza alcuna premura. «Per l'amor di Dio, Leonard, fai almeno finta di avere un po' di spirito sportivo!»
Il ragazzino si ferma, alza le braccia e, guardandolo dritto negli occhi, arriccia le labbra. «Ops! Mi dispiace, padre. Non lo farò più!»
«Sì, certo, certo. È la quarta volta che lo dici. Fate attenzione e non vi fratturate niente. L'ospedale più vicino è sul continente e io non ho ancora imparato a volare», sorride, anche se non dovrebbe. A volte vorrebbe essere più severo, solo che non è nella sua natura. Suo padre, al tempo, lo è stato e, secondo il suo modesto parere, da un genitore severo si può imparare ad amare di più o di meno. Dipende come si decide di usare quell'esperienza e lui, dopotutto, all'amore per il prossimo ci ha sempre creduto in grande.
Non fa in tempo a concedersi un sospiro che, improvvisamente, la sua guancia viene colpita dal pallone e, stordito per qualche secondo, John barcolla. Non è stato un impatto troppo forte, è più lo spavento ad averlo irrigidito. Crockett Island pare spegnersi per secondi interminabili. I bambini si fermano e lo guardano; John ha come l'impressione che qualcuno abbia pigiato il tasto pausa su un vecchio registratore.
Non sente nemmeno più il frinire dei grilli in lontananza. Non sembra nemmeno più estate.
Forse è diventato sordo, dopo quella botta?
«Monsignore, sta bene?»
È la voce di Anthony Creek, il figlio del barista, quella che gli arriva un po' ovattata alle orecchie e, portandosi una mano sulla guancia, se la massaggia leggermente.
«Potrebbe andare meglio. Che cosa è successo?»
«Riley ha lanciato la palla per tirare in porta e l'ha presa in faccia!», urla Leonard, e indica il figlio dei Flynn, che si impettisce immediatamente e gli va incontro, adirato.
John arriccia le labbra. «Non ho chiesto chi è stato, ho chiesto cosa è successo.»
«Spione!», esclama Riley, rivolto al figlio del sindaco, e quello si fa avanti, ma John si alza e si mette immediatamente tra loro, per mettere pace.
«Finiamola prima di iniziarla, questa rissa, okay? Ora tutti a casa, o vi costringo ad entrare e dire cinquanta Padre Nostro e trenta Ave Maria, intesi?» Non ci riesce proprio, ad essere rigido. I ragazzini ridacchiano e, come se un bastone invisibile li stesse minacciando di colpirli, si sparpagliano e corrono via. A parte Riley e Leonard, che continuano a guardarsi in cagnesco in mezzo al prato. Sembrano pronti a sfidarsi a duello e John non ha alcuna intenzione né di raccogliere i brandelli dei due ragazzini, né tantomeno di contattare i loro genitori per avvisarli dell'ennesima zuffa.
Sospira. «Voi due che intenzioni avete?»
«Nessuna», dicono all'unisono e, con un'ultima occhiata di sfida, si danno le spalle e fanno per andare via. Leonard fa qualche passo verso il centro del paese, poi dà un'ultima occhiata a John prima di iniziare a correre. Riley, invece, cammina lentamente verso la parte opposta; dà un calcio ad un sassolino, con le mani infilate nelle tasche dei jeans e, ad un tratto, poi si ferma.
John lo guarda. Ha la schiena curva, riparata da una maglietta color navy ricoperta di fango in più punti. Per un attimo gli ricorda lui da bambino, quando si buttava in mezzo all'erba e giocava col suo cane fino a perdere tutte le forze. Gli scappa un sorriso, che smorza non appena Riley si gira a guardarlo, con il muso lungo.
«Qualche problema?»
«Dio non punisce gli spioni?»
«Fare la spia è un peccato, sì, ma non per questo Dio condanna chi lo fa, specie se si tratta di un ragazzino di dieci anni. Non è così semplice la giustizia divina.»
«Ma Leonard fa sempre la spia. Si mette sempre contro tutti e poi fa l'amicone. Se ne approfitta solo perché è il figlio del sindaco e io non lo sopporto!»
«Riley...»
«Un giorno o l'altro gli spacco la faccia!»
«Riley!» John si rende conto di aver cambiato tono. È sorpreso, perché non ha mai sentito il figlio di Ed Flynn parlare a quel modo e, sinceramente, lo stupisce che il suo chierichetto si esprima a quel modo. Lo sa che è colpa degli ormoni, della crescita, probabilmente anche di un carattere che man mano si sta costruendo intorno alla sua piccola persona, ma non può negare di esserci rimasto quasi male, a sentirlo così ostile, mentre agita una mano a mezz'aria simulando un pugno. Come a dimostrare che, se avesse tra le mani Leonard, lo strozzerebbe.
«Anche un attacco di rabbia come questo è peccato, lo sai? È un sentimento che danneggia te e chi ti è accanto. La rabbia è pericolosa e mina la felicità delle persone, ricordalo.»
Riley alza le spalle, quasi indifferente. «E allora cosa dovrei fare, tenermi tutto dentro?»
John lo guarda inclinando la testa di lato. Lo studia per un secondo e cerca di capire perché, dentro al corpo di un ragazzino di dieci anni, ci sia nascosto un adulto di cinquanta.
Si piega sulle ginocchia e gli posa le mani sulle spalle. «No, non è quello che intendo. Nessuno dovrebbe mai reprimere niente; a parer mio è ancora più deleterio ma, Riley...» Si morde le labbra, poi si guarda intorno e abbassa la voce. «Non puoi picchiare Leonard, è il figlio del sindaco.»
«E a me che cosa me ne frega? Mica è il figlio dello sceriffo, che può arrestarmi. Il sindaco cosa farà mai, se picchio suo figlio? Mi esilierà sul continente?», chiede, poi sospira stancamente e tira un calcio distratto nell'aria, gonfiando le guance. «Sono stufo di dovermi sempre difendere da quel damerino.»
«Dovresti ringraziarti per riuscirci sempre. Non è da tutti tenere testa a chi ci è ostile.»
«Quindi mi conferma che Leonard Stones è una brutta persona?»
John si alza in piedi e lo guarda con un sopracciglio alzato. Assimila quelle parole, cerca di rimanere la figura adulta che dovrebbe personificare in questo momento ma è più forte di lui, così scoppia a ridere. Si copre il viso con le mani ma ormai è troppo tardi. Riley lo sta guardando con un sorriso machiavellico che non gli piace per niente ma che, da qualche parte, nasconde un'ingenuità che ha sempre fatto parte di quel ragazzino, sotto tutti quegli strati di intelligenza e acutezza.
Leonard Stones è un ragazzino cocciuto, un po' viziato, troppo consapevole del ruolo che suo padre ricopre all'interno della comunità di Crockett. Abusa del potere che ha indirettamente assorbito dalla figura paterna e lo usa contro quelli che dovrebbe semplicemente considerare come amici. Solo che, Riley, questo non lo sa, ma Leonard ha problemi a socializzare, non ha mai avuto un vero amico e se si comporta così è solo per paura di restare da solo; qualcosa che, col tempo e una buona educazione, riuscirà a migliorare ma che ora, per la sua giovane età, non riesce a controllare.
Questo, John, a Riley non può dirlo, perché non capirebbe e lo accuserebbe di star difendendo quel ragazzino. Allora gli fa cenno di seguirlo e si siedono entrambi sulle scale di St. Patrick, uno accanto all'altro, mentre i primi arancioni della sera iniziano a bagnare il cielo di un tramonto che, ahimè, preannuncia pioggia per il giorno dopo.
Sospirano, entrambi all'unisono, come se fossero una macchina perfetta e in simbiosi, solo che John lo fa con leggerezza e Riley con rabbia. Dovrebbe essere il contrario; lui è l'adulto e il figlio dei Flynn il ragazzino. Si ritrova sempre a comportarsi come un bambino, forse perché da piccolo non gli è stato permesso sempre di farlo.
«Riley, che cosa c'è che ti turba tanto?», gli chiede, gentilmente, quando lo sente borbottare a mezza bocca altri insulti verso Leonard.
«Dobbiamo veramente aspettare la fine del mondo perché la gente cattiva venga giudicata?»
«La fine del mondo? Parli del giorno del giudizio?»
«Beh, non è forse la stessa cosa?», chiede Riley e John reprime l'impulso di darglielo davvero, uno scappellotto.
«Devo forse sollevarti dal tuo incarico di chierichetto? Il giorno del giudizio non è la fine del mondo, è il giorno che Dio ha scelto di proporsi nel giudizio della terra abitata, stabilendo chi è degno del regno dei cieli e chi no. Ne abbiamo parlato al catechismo, ricordi?»
«La fine del mondo!», risponde Riley, come se fosse assurdo che John non concordi con lui.
«Non mi sembra di averla mai definita in questo modo ma okay, facciamo a modo tuo. Sì, il vero giudizio finale si concentra in quel giorno, dove ogni azione che l'uomo ha compiuto viene messo sotto processo da Dio stesso. Ma... non è questo il giorno e nemmeno domani, ne hai di tempo da attendere, Riley. Quindi, fino a quel momento, l'unica cosa che puoi fare è vivere al meglio la tua vita senza rimpianti, senza esitazione e senza odio, soprattutto. Non contaminare la tua vita di odio e rabbia, perché quella non è vita.»
«E lei? Lei vive la sua vita senza rimpianti, odio e esitazioni? Non ha mai davvero provato rimorsi o rimpianti? Tutto per arrivare a quel giorno senza peccato?»
«Chi è davvero senza peccato scagli la prima pietra, Giovanni 8,3. Nessuno può ergersi a sommo giudice con la coscienza pulita. Nemmeno io, per quanto sia un messaggero di Dio. Rimango comunque un uomo», spiega, e non riesce più a guardarlo. Si è voltato verso l'orizzonte, ha stretto le dita tra loro, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e, perso, accenna un sorriso che è rivolto a qualcuno che ora non è lì, ma che John vorrebbe accanto con tutto se stesso; qualcuno per cui rinuncerebbe a qualsiasi cosa, persino quell'abito, pur di amare per sempre senza nasconderlo dietro sorrisi di circostanza e occhiate fugaci durante la messa.
«Quindi sarà anche lei soggetto alla fine del mondo?»
«A modo mio. Ho qualche privilegio, con questo abito, ma non dirlo a nessuno!», esclama John, e gli fa cenno di tacere portandosi un dito vicino alla punta del naso. Riley ridacchia e, di tutta risposta, si guadagna un'arruffata ai capelli biondi. «Faccio del mio meglio anche io, come tutti, Riley», sorride e lui annuisce; ha capito. È un ragazzino intelligente, forse il più intelligente di tutti, ma non vuole che la sua immagine venga contaminata dal peccato. Non vuole che Riley sappia troppo; anzi, non vuole che sappia affatto, ma con quel discorso della fine del mondo, John si è reso conto che la sua, di fine, è già arrivata da un pezzo. Combatte con i demoni del passato da quasi vent'anni; combatte con le sue scelte e le conseguenze che queste hanno portato nella sua vita. Ha scelto la strada dell'amore per Dio e non quella dell'amore per Mildred e, se potesse tornare indietro, si spoglierebbe di quel vestito e resterebbe con lei per sempre.
Passerà, smetterò di amarla, prima o poi. Ci ha sperato così tanto, eppure quell'amore non si è mai affievolito e, da quando Sarah è nata, quasi sembra impossibile da sradicare via dal suo cuore. Si chiede se Milly pensi lo stesso, se anche per lei quello che è stato tra loro non sia mai mutato davvero.
La sua fine del mondo c'è già stata, ma Dio gliela fa scontare ogni istante in cui la sua fede vacilla e i suoi occhi tornano su quelli di una creatura mortale che gli ha rubato anima, corpo, fede.
Stringe di più le dita tra loro e, con un cerchio alla testa che gli fa quasi perdere l'equilibrio quando si alza in piedi, si volta verso Riley, ancora seduto, troppo concentrato a guardare il tramonto per accorgersi di quello che sta succedendo nella testa di John.
«Va' a casa, Riley, è tardi. Ci vediamo domani per la messa.»
«Sì. Buonanotte padre.» Riley sorride, si alza in piedi e gli fa un debole cenno con la mano che sta a significare, goffamente, un grazie che John non ha nemmeno bisogno di sentirsi dire. Nessuno dovrebbe essergli grato.
Così entra dentro St. Patrick, rivolge un inchino all'altare e, dopo aver guardato la croce per un tempo infinitamente lungo, ricaccia indietro quella sensazione che gli fa vibrare la schiena e, coperto da un mantello di peccati troppo gravi per poterli sostenere ancora, chiede perdono.
Ancora una volta.
Per l'ennesima volta.
Non sarà mai abbastanza, lo sa. Nemmeno per la fine del mondo.
Fine
[Questa storia partecipa alla Maritombola 12 indetta da Lande di Fandom con il prompt n° 29 "Canzone «The End of the World» Skeeter Davis"]
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