La vergine dei ghiacci
«Che cazzo di freddo», fece il tizio, stringendosi nella pelliccia d'orso.
«Ah, te ne sei accorto?»
«Pure il piffero c'ho congelato.»
«Non è congelato, è morto tempo fa e non te ne sei mai accorto.»
Il tizio con la pelliccia d'orso grugnì. Il suo modo per mandarti a fanculo senza usare la lingua comune.
«Se faccio una pisciata, lo schizzo d'acqua si congela prima di arrivare in terra», fece Pelliccia d'Orso.
«E smettila di lamentarti. Siamo nel Profondo Nord, che cazzo ti aspettavi? Palme e sabbia?» disse il tizio che indossava una pelle d'alce lavorata a dovere.
«Non mi ci far pensare. Me lo piango, il deserto.»
«Ma se pure lì ti lamentavi come un gatto in calore.»
«Ma almeno non rischiavo di morire congelato.»
Pelle d'Alce scosse la testa mentre gli scarponi affondavano nella neve, lasciando impronte sempre più profonde.
«La neve qui è più alta», disse Pelliccia d'Orso.
«Non ti sfugge niente, eh?»
«Potevamo rimanere giù, al caldo.»
«Fai ancora a tempo.»
«Con tutte le rockstar che ci sono al caldo, dovevamo venire a cercare l'unico stronzo che si è infrattato nel buco del culo del mondo», fece Pelliccia d'Orso.
«Giù c'è troppa concorrenza. Qui, invece, non ci viene nessuno.»
«Chissà perché.»
«E poi nessuna rockstar di giù ha una taglia così grossa.»
«Se moriamo congelati, della taglia non ce ne facciamo un piffero.»
Pelle d'Alce si voltò e il suo compare quasi gli finì addosso. Se lo ritrovò che lo fissava negli occhi, le punte dei nasi che si sfioravano.
«Ne ho piene le palle delle tue lamentazioni», mormorò Pelle d'Alce. «Se vuoi andartene, ti basta girare i tacchi e seguire le impronte al rovescio.»
«Stavo solo dicendo...»
«Ho sentito quello che stavi dicendo, ma forse l'hai detto una volta di troppo. Ora, o chiudi quella bocca del cazzo e ci facciamo 'sta camminata in grazia del Buon Padre o giri i tacchi e te ne torni a casa.»
Pelliccia d'Orso valutò se dire qualcosa. Aprì bocca, capì da come l'altro lo guardava che non era il caso e la richiuse.
«Saggia decisione», fece Pelle d'Alce.
Si voltò e riprese a camminare. Pelliccia d'Orso lo seguì. La foresta Tâl pareva estendersi, senza fine, in tutte le direzioni. Pelle d'Alce si chiese quanto fosse grande. Aveva la sensazione di camminare da anni e di girare in tondo, pur sapendo che non era così. Come riferimento usavano Artan, che puntava a nord.
Dopo un interminabile e piacevole intervallo di silenzio, spezzato solo dai passi che affondavano nella neve con un rumore di risucchio secco, Pelliccia d'Orso disse: «Secondo te dove si è infrattato?»
«Mi stavo chiedendo la stessa cosa», fece Pelle d'Alce.
«E?»
«E siccome qui in giro non c'è nulla a parte un fracco di alberi, deve per forza essere andato verso le montagne.»
«Che stanno?»
«A nord, no? Che domande mi fai.»
«E noi stiamo andando lì?»
«No, ci stiamo facendo un giro per goderci il panorama, visto quanto è interessante», fece Pelle d'Alce.
Pelliccia d'Orso chiuse il becco. Il suo compagno di viaggio era intrattabile, quella mattina. Se continuavano in quel modo, avrebbero finito con lo spararsi addosso prima di trovare quella rockstar del cazzo.
Visto che non c'era molto altro da fare, Pelliccia d'Orso si concentrò su un pensiero: la taglia sullo scalpo dello strimpellatore e quel che avrebbe fatto con la sua metà. Erano un fracco di bronzi. Poteva metterli nella vasca da bagno e immergersi, comprarsi un centinaio di chianine e metter su un allevamento
(Mica male, questa, pensò)
o comprarsi un saloon e con il resto vivere di rendita. Tra l'allevamento di chianine e il saloon preferiva l'allevamento. Quei bestioni si vendevano bene. Certo, un allevamento avrebbe richiamato i ladri di bestiame, ma poteva assoldare dei pistoleri o dei mulatti come guardiani. Meglio i mulatti. Costavano di meno e non c'era il rischio che ti fottessero da dietro non appena ti chinavi un attimo.
All'inizio avrebbe venduto gli animali a un prezzo sotto la soglia di quello di mercato, così da richiamare i compratori. Poi, quando la qualità del bestiame fosse venuta a galla, avrebbe aumentato i prezzi. Il suo sarebbe diventato il più grosso e famoso allevamento di chianine di tutto l'est. Sarebbero accorsi da ogni parte per comprare le sue bestie. Carne di prima qual...
«Ci siamo», fece Pelle d'Alce.
Pelliccia d'Orso ripiombò nel presente come da un sogno bagnato. Per un istante maledì l'amico, poi lanciò lo sguardo oltre le capigliature degli alberi e vide le montagne. Le cime innevate si stagliavano contro un cielo limpido, col Sole sospeso come una moneta lucente e fredda. Pelliccia d'Orso pensò che era lo stesso Sole del deserto. Lo stesso che ti faceva venir voglia di scavare una fossa e nasconderti nella sabbia, tre metri sottoterra, per sfuggire alla calura asfissiante. Solo che lassù non scaldava manco per il cazzo.
Pelle d'Alce tirò fuori il revolver e controllò il tamburo. Poi disse: «Andiamo a stanare quel figlio di puttana.»
Fece due passi e un'ombra grande e grossa si stagliò sulla neve, coprendo entrambi. Abbassarono gli occhi, la guardarono passare e poi sollevarono il mento in su. Videro un ventre ricoperto di scaglie e una lunga coda sfilare oltre le cime degli alberi, e sentirono il rumore di ali, come quello di lenzuola sbattute da un vento forte. Il drago salì di quota, virò a sinistra, si lanciò in picchiata e sputò un tornado di fuoco che incenerì un fracco d'alberi e sciolse la neve.
Pelliccia d'Orso e Pelle d'Alce si guardarono, attoniti. Pelliccia d'Orso fece per parlare, ma il casino che seguì gli mozzò le parole in gola. Da sud arrivava una marmaglia di creature pelose. Lupi, per la precisione, ma più grossi dei loro fratelli che abitavano quelle terre algide. Correvano sulla neve, ventre basso, come se fuggissero da qualcosa. Pelliccia d'Orso e Pelle d'Alce se li videro schizzare davanti, a neanche dieci metri di distanza. Ansavano come invasati e zompavano da una parte all'altra. Andavano così veloci che le zampe non affondavano nella neve. Pelliccia d'Orso restò affascinato dal fenomeno.
Poi gli alberi iniziarono a cadere con lunghi craaack! e un gran stormire di foglie. I due asesinos lanciarono lo sguardo verso sud e videro, dietro gli alberi che cadevano come sagome di cartone, un gruppetto di draghi che avanzava compatto.
«Che cazz...» mormorò Pelle d'Alce.
Un drago nero come la notte aprì la caverna che aveva per bocca e vomitò un inferno di fuoco. La colonna rovente morse il culo ai lupi che correvano via e li investì, arrostendoli e sciogliendo la neve che pestavano. I due spiantati sentirono il calore delle fiamme pizzicargli il volto, e per un attimo il freddo fu solo un ricordo. Poi la colonna si esaurì, il freddo piombò sui due asesinos e con esso una voce sottile, quasi un mormorio. Risuonò nella mente di Pelle d'Alce e lo chiamò per nome. L'asesino si voltò, inebetito, e vide una donna. Era pallida come la neve, eppure bellissima. Nuda come la prima donna nella Radura, chiamava il suo nome con una voce che somigliava a quella di un cristallo quando lo si accarezza con un legno arrotondato.
Il fatto che quella tizia apparsa dal nulla avesse un paio d'ali di farfalla, sottili e trasparenti, non turbò minimamente Pelle d'Alce. Era troppo impegnato ad ammirarne le forme: il pallido monte di venere dal quale facevano capolino due labbra rosa appena dischiuse, i seni sodi e i fianchi sottili. Il richiamo selvaggio del sesso invase la mente e i lombi dell'asesino, che si incamminò verso la donna come ipnotizzato. La voce continuava a chiamarlo e gli prometteva ricompense che neanche le più scalmanate puttane dell'Entro-Terra potevano offrire. E mentre Pelle d'Alce avanzava, la Vergine dei Ghiacci si sollevò a un metro da terra sbattendo le ali sottili e arretrò.
«Cristo e Messiah», mormorò Pelliccia d'Orso. «Quelli sono draghi.»
Si voltò e non trovò più l'amico accanto a sé. Vide solo un paio di impronte. Le seguì con lo sguardo e vide l'amico che camminava verso una tizia pallida e nuda, che svolazzava a un metro da terra. Pareva una farfalla coperta di neve. Una farfalla con due tette da paura. I lombi gli si riempirono di lava rovente e di colpo desiderò scoparsela. Sentiva che avrebbe potuto uccidere il suo compare o chiunque altro si fosse mezzo fra lui e quel desiderio inappagato.
Tirò fuori il revolver e lo puntò verso Pelle d'Alce, pronto a impallinarlo, ma non arrivò neanche a mettere il dito sulla mezzaluna del grilletto. Un Mannaro che fuggiva dalla furia dei draghi se lo trovò davanti e con una zampata gli fece partire mezza faccia. Gli artigli dilaniarono la carne come se fosse burro e il lupo continuò la sua fuga. Pelliccia d'Orso dondolò per qualche attimo, la pistola che scivolava via dalle dita inermi e impattava sulla neve. Poi cadde come gli alberi che i draghi travolgevano.
«Aspetta», ansimava frattanto Pelle d'Alce. «Fermati un secondo.»
Inciampò, gattonò e si rialzò per rincorrere la Vergine dei Ghiacci. Gli occhi non lasciarono mai, neanche per un secondo, il corpo della donna. Facevano la spola tra le labbra rosa e i seni.
Quando l'ebbe attirato lontano dalla battaglia, la Vergine rimise piede sulla neve. Le ali smisero di vibrare e sparirono dietro la schiena. Pelle d'Alce accelerò l'andatura, inciampando goffamente e rialzandosi. La Vergine allargò le braccia e il suo corpo pallido cominciò a brillare come se fosse cosparso di piccoli diamanti. La luce accentuò le forme già generose e Pelle d'Alce si sentì travolgere dal desiderio. La raggiunse in due secondi e le zompò addosso, gettandola nella neve.
«Ti ho presa», disse con un sorriso da mentecatto.
Aveva la lingua di fuori e gli occhi di un pazzo assatanato. Una mano scese a strizzare un seno della Vergine.
Pelle d'Alce sentì che gli veniva su duro. Si slacciò la cinta, si calò i pantaloni, entrò nella Vergine e subito capì che qualcosa non andava. Il sorriso da mentecatto si appiattì. Un freddo intenso lo avvolse, congelandogli prima il pisello e poi le palle nel giro di pochi secondi. Provò a tirarsi fuori, ma la Vergine lo strinse a sé usando braccia e gambe, piazzandogli i talloni sul culo.
«Lasciami», disse Pelle d'Alce.
Provò a liberarsi e non ci riuscì. Era come se fosse preso nell'abbraccio di un orso.
«Mollami, stronza!»
Il panico lo invase assieme al gelo, ma il gelo si diffuse prima. Pelle d'Alce lo sentì intrufolarsi nelle ossa, congelargli il sangue e le terminazioni nervose. D'un tratto non sentì più le gambe. La Vergine lo strinse più forte, gli afferrò la testa con entrambe le mani e posò le sue labbra pallide su quelle viola di Pelle d'Alce. Il bacio fu lungo e pieno di passione. Gli occhi di Pelle d'Alce divennero opachi e si spensero. Smise di ribellarsi. I capelli, lì dove la Dama Pallida li toccava, ingrigirono velocemente.
La Vergine liberò il corpo privo di vita dall'abbraccio di morte e se lo scrollò di dosso.
S'alzo e, mentre la battaglia tra draghi e Mannari imperversava, tornò alla sua gelida alcova nascosta tra le montagne.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top