La cacciata dei Mannari

La foresta era in fiamme. Le folte capigliature degli alberi Tâl ardevano come quelle dei Santi durante la rivolta di Aramundi. Un pugno di draghi sorvolava quel girone infernale mentre colonne di fumo bianco salivano al cielo. Più in basso, i Mannari cercavano riparo sotto la neve. Alcuni scavavano come cani alla ricerca di ossa. Sollevavano cumuli di candido oro bianco, come lo chiamavano quelli del Nord, e si acquattavano nelle buche che ne ricavavano per poi ricoprirsi. Non che servisse a molto. Il respiro dei draghi scioglieva le montagne, figurarsi la neve.

L'ombra di un Mynydd nero e grosso il doppio di un veliero pirata si stagliò su quella che una volta era una radura e che ora era una piazza bianca dalla quale svettavano pallidi monoliti. Il buzzurro che lo cavalcava aveva lunghi capelli grigi riuniti in una treccia che scendeva sino all'osso sacro. Un tempo era stato un marmocchio, ultimo discendente della nobile stirpe degli Storïwyr. Ora era un uomo e cavalcava lo stesso drago che una volta, tanti lustri addietro, l'aveva quasi ridotto in cenere.

Il drago vide un gruppo di Mannari che correva nella radura innevata, attraversando il cerchio di monoliti, e il buzzurro sentì il suo petto gonfiarsi. Parlò allora nella lingua degli affabulatori, che suo padre gli aveva insegnato prima ancora che sulle palle gli spuntasse il primo pelo, e il petto del drago si sgonfiò. L'animale soffiò fumo dalle nari e il buzzurro tirò un sospiro di sollievo. Profanare un anello di monoliti significava attirare su di sé l'ira degli dèi.

I Mannari sparirono sotto le capigliature folte degli alberi Tâl e il buzzurro urlò il suo inno di guerra. Il drago gonfiò il petto e sputò una colonna di fuoco con cui tagliò in due una chiazza di alberi. Gli ululati di dolore dei Mannari salirono insieme al fumo. Li stavano massacrando. C'era voluto un bel po' per spingere quei mostri sino a Nord, tra i ghiacci eterni, ma alla fine c'erano riuscito. Ora i draghi potevano sputare fiamme e incenerirli senza timore di far fuori cristiani innocenti e bruciare intere città. Lì nella foresta Tâl c'era solo legna da ardere. Troppo freddo per viverci.

E a proposito di freddo, il buzzurro lo sentiva mordergli le ossa nonostante la pelliccia d'orso che indossava. Per non parlare del vento gelido. Gli tagliava il viso come la lama di un coltello. Sentiva la pelle bruciare.

Trahayarn il Leggendario sputò una nuova colonna vorticante di fuoco e fece fuori un secondo drappello di Mannari. Chissà quanti ce n'erano nascosti sotto la neve. Oramai erano tanti che risultava impossibile fare una stima precisa. Quei bastardi si accoppiavano come mandrilli.

Il buzzurro vide una roba in lontananza. Era come uno specchio d'acqua... no, come una gelatina che andava sciogliendosi ma non si liquefaceva mai. Era grande come un lago e la superficie mandava riflessi blu come gli occhi di un llew delle nevi. Capì cos'era ancor prima che la mente formulasse un'ipotesi e un'idea gli lambì il cervello.

Parlò allora al drago e Trahayarn virò a sinistra. L'animale spiegò le enormi ali nere e con due colpi effettuò una brusca virata. Il buzzurro strinse le mani intorno ai corni sul dorso squamoso del suo mezzo di trasporto per non finire disarcionato. Intorno, gli altri Mynydd sorvolavano la foresta e incendiavano alberi e Mannari con tutto il fiato rovente che avevano in corpo. Dall'alto potevi vedere strisce di fuoco che si intersecavano e i corpi dei Mannari che bruciavano come spezzatini, lasciando un'impronta nella neve.

Trahayarn e il buzzurro sorvolarono il campo di battaglia. Il drago soffiò fuoco sui Mannari che fuggivano come sorci in tutte le direzioni e, con potenti colpi d'ala che sollevavano vortici di vento e increspavano le capigliature degli alberi Tâl, si involò verso la retroguardia. Molti Mynydd sciamavano tra le nuvole basse e grigie, si gettavano in picchiata, demolivano gli alberi con le ali o il ventre e azzannavano i Mannari. Era una tattica rischiosa, perché i lupi che evitavano l'assalto potevano zomparti addosso, darti la scalata e poi fare bei danni con quegli artigli lunghi e tagliente come coltelli. Ma i draghi dovevano pur mangiare, e l'unica carne a portata di mano era quella nascosta sotto le pellicce fulve, bianche e nere dei Mannari, per cui...

Il buzzurro parlò e Trahayarn si fermò a volteggiare sotto una nuvola nera come lui. Ruggì una volta: un verso che sembrò quello di un esercito di llew incazzati a morte e i draghi smisero di seminare morte e fuoco per raggiungerlo. Gli si sistemarono ai lati, volteggiando come lui e formando una fila ordinata. Il buzzurro parlò ancora e l'esercito di draghi scese in terra con fare aggraziato, tra colpi d'ala che sollevarono bufere di neve. Le zampe affondarono nella neve, lasciando impronte grandi come le casas de adobe dell'hen Ddinas.

Il buzzurro parlò: una sola parola nel dialetto degli affabulatori e i draghi cominciarono a sputare fuoco come dannati. Vortici infernali sciolsero tronchi e strati di neve che i secoli avevano accumulato sulle Terre del Nord. I Mannari saltarono su dai giacigli improvvisati e cominciarono a correre a destra e a manca, il pelo in fiamme. Guaivano. Il buzzurro sogghignò soddisfatto e ordinò ai draghi di avanzare. Le sentinelle dei cieli pestarono la neve e si fecero largo incenerendo ogni centimetro di foresta che gli capitasse a tiro. Le fiamme ardevano alte e persino la neve bruciava. I Mannari zompavano fuori dalle tane e come formiche snidate da un formicaio si davano alla fuga prima di accasciarsi a terra e imprimere la loro sagoma nella neve. Il buzzurro non credeva ce ne fossero tanti. erano quasi tutti nascosti.

Sentendo le urla di dolore dei fratelli pelosi, i Mannari nascosti zomparono fuori dalle tane e si diedero alla fuga. Il buzzurro parlò e i draghi ai lati di Trahayarn si distanziarono per disporsi a semicerchio, così da impedire ai Mannari di fuggire sui lati. La manovra a tenaglia diede i suoi frutti. I draghi spinsero i mostri pelosi

(Cristo e Messiah, sono una moltitudine infinita, pensò il buzzurro)

verso quello che sembrava un lago che sgorgasse dai ghiacci eterni ma che era in realtà il twndis, un gorgo che gli hen definivano come il posto dove l'eterno e il divenire confluivano e dove i morti avevano memoria dei vivi. Il buzzurro non aveva idea di che diavolo significasse (e neanche gli importava), ma sapeva che quell'enorme gorgo era un pozzo che ingoiava e uccideva qualsiasi roba gli buttavi dentro. E lui aveva intenzione di spingervi i Mannari.

Lanciò ancora una volta il suo grido di guerra e i draghi ruggirono e sputarono fuoco ardente. Con la coda dell'occhio intercettò un riflesso bianco. Si voltò e vide la strega bianca, unico Hynafol sopravvissuto alla guerra che portavano avanti da una mezza eternità, che come un angelo mandato dal Buon Padre a benedirlo planava sul dorso di un drago cremisi. Candide come la neve, le ali piumate della strega bianca si mossero frettolose e con un suono di lenzuola sbatacchiate nel vento, salvo poi ripiegarsi sulla schiena esile della donna dai capelli d'argento. Il buzzurro notò che era ferita. La veste bianca era macchiata di sangue e un rivolo rosso scendeva giù lungo il braccio sinistro della donna.

Fece per chiedergli se stesse bene, ma la strega bianca non gliene diede il tempo. Parlò nella lingua degli affabulatori (il buzzurro non credeva la conoscesse) e il drago cremisi, che si chiamava Urien, si sollevò sulle zampe posteriori, spalancò le enormi ali membranose e sputò un vortice di fuoco che scavò un solco nella neve. La strega bianca, bellissima e candida come le Terre del Nord, vibrò un grido di guerra. Era come una amazzone. La dea di tutte le amazzoni. Non apparteneva al mondo degli uomini. Ci era finita, vuoi per caso vuoi per volontà, e non aveva intenzione di soccombere come i suoi fratelli che avevano dato la vita per i reami degli uomini.

Il buzzurro sentì il sangue ribollirgli nelle vene e per un attimo dimenticò la guerra, i Mannari e il twndis. C'era solo la strega bianca, bellissima e selvaggia in sella al drago cremisi, che vibrava tutta come un magico bastone da rabdomante.

Fu un verso sgraziato e dolorante a riportarlo alla realtà. Si voltò e vide Auryn, uno splendido drago dalle squame dorate, che si contorceva nella neve. Una muta di Mannari gli formicolava addosso, saltando da una parte all'altra del fianco squamato e sul dorso esposto. Auryn rotolò di lato più volte, schiacciando alcuni lupi e disarcionandone altri. Usando la coda puntuta come una ramazza ne fece volare via quattro o cinque. Gli altri li divorò.

«Da dove cazzo...?» fece il buzzurro e poi comprese.

Si voltò di scatto e vide un esercito di Mannari lanciati al galoppo sulle quattro zampe. Li stavano prendendo alle spalle. Quei figli di puttana erano più astuti di quel che pensava.

«Gwyn!» chiamò e la strega bianca si voltò.

Sul suo viso ardeva il fuoco della battaglia. Il buzzurro puntò un dito e lei ne seguì la direzione. Vide i Mannari lanciati alla carica, ventre a terra, e spalancò le ali d'angelo. Con due poderosi colpi d'ali spiccò il volo, lasciando il dorso del drago, e si involò verso l'esercito di Mannari. Il buzzurro si voltò completamente. Non voleva perdersi la scena.

La strega bianca puntò dritta verso i mostri. E urlava.

La dea delle amazzoni, pensò il buzzurro con un brivido.

Sguainò dal fodero sul fianco la spada. L'acciaio nobile scintillò, e questo nonostante non ci fosse alcuna fonte di luce a vibrare sulla superficie. Il buzzurro lo vide: uno sfavillio blu guizzò sulla lama.

Come un uccello del paradiso, la strega bianca si lanciò in picchiata: un proiettile candido, la dea della collera, un angelo bellissimo e mortale. Passò tra i Mannari lanciati all'attacco e la lama della sua spada tranciò teste e arti, rallentando la folle corsa dei mostri che presidiavano l'avanguardia. Il buzzurro la vide trafiggere un Mannaro e sollevarlo su, in cielo, mentre il mostro sbavava, ringhiava e menava zampate selvagge. Una vibrò molto vicina al volto della strega bianca, ma lei riuscì ad evitarla per un soffio. Il buzzurro tirò un sospiro di sollievo e la vide sfilare la spada con un gesto secco e improvviso dallo stomaco del mostro. Il Mannaro ricadde nella neve, si contorse in uno spasmo e non si mosse più. I suoi fratelli pelosi lo superarono senza degnarlo di un'occhiata.

La strega bianca si lanciò di nuovo all'attacco, ma l'avanguardia dei mostri era ormai passata oltre e si avvicinava ai draghi, che spingevano i Mannari vero il twndis. Il buzzurro parlò ancora una volta e Trahayarn si voltò.

«Arrostisci quei bastardi pelosi», disse il buzzurro.

E nonostante avesse parlato nella lingua comune, il drago fece quel che sapeva fare meglio. Spalancò le fauci e dalla grotta dentata sgorgò un inferno di fiamme: una colonna poderosa, che scavò una trincea nella neve e incenerì mezza avanguardia. Il drago fece oscillare la testa a destra e a sinistra, trasformando la colonna in un ventaglio di fuoco. La neve si squagliò e una moltitudine di mostri pelosi arse viva. La strega bianca riuscì a schizzare in cielo prima che la tempesta di fuoco la travolgesse. Salì in un frullare d'ali, poi si lanciò di nuovo all'attacco, menando fendenti e tagliando sushi di Mannaro.

Nel giro di pochi minuti (o almeno al buzzurro parvero tali) i mostri erano carne carbonizzata, buona per sfamare i draghi.

Trahayarn tornò tra le fila di draghi e la strega bianca volò sul dorso di Urien. La sua veste, una volta bianca, era una tela con chiazze sparse di sangue di Mannaro.

Spinsero i Mannari rimasti verso il twndis. Quando i mostri ci arrivarono, vedendosi accerchiati dai draghi, non poterono fare altro che saltare in quella gelatina che, come un imbuto, sprofondava nella neve. I primi ad entrare non fecero una bella fine. Quando si tuffarono nella gelatina, si sciolsero tra lamenti funerei come rocce bruciate dal respiro di un drago. La pelle si staccò dalle ossa, colò via e rimasero i soli teschi vibranti a galleggiare sulla superficie prima di sprofondare.

«Cristo e Messiah», mormorò il buzzurro.

Il resto dei mostri restò sul ciglio del twndis. L'istinto disse loro che erano in trappola. I draghi si fecero sotto. Il buzzurro e la strega bianca vibrarono l'urlo di guerra. L'inferno travolse i mostri. Alcuni finirono nel twndis sbalzati dall'impeto, altri si accasciarono e bruciarono nella neve come fuochi da bivacco.

«Sono tutti morti?» chiese alla fine la strega bianca.

«Non sono sicuro», fece il buzzurro.

«Mi faccio un giro», rispose la dea delle amazzoni.

Parlò al drago. Urien si alzò in volo, maestoso e regale. Il buzzurro lo osservò stagliarsi contro il cielo grigio. Il fragore della battaglia gli ronzava ancora nelle orecchie, come l'eco distorta di un altro quando. L'adrenalina gli scorreva nelle vene.

Forse alcuni erano sopravvissuti. E se così era, probabilmente stavano nascosti sotto metri e metri di neve. O forse avevano trovato rifugio in qualche anfratto montuoso. Le Terre del Nord erano sconfinate e i ripari non mancavano. Se avevano raggiunto le montagne...

Al diavolo, pensò.

Non potevano setacciare tutto il Nord alla ricerca di quei bastardi pelosi. Ci avrebbero messo un'eternità e quella guerra durava già da un secolo. Era stanco. Lo erano anche i draghi. L'unica che pareva piena di energie era la dea delle amazzoni. Ripensò a come volteggiava tra i Mannari, la lama di acciaio nobile che scintillava e tranciava teste di lupo. Ragazzi, che spettacolo.

Quando la vide tornare, volando al fianco di Urien, le espose i suoi dubbi.

«L'ho pensato anch'io», rispose la strega bianca. «Ma se li lasciamo in vita, nel giro di pochi anni ci ritroviamo invasi e dovremo cominciare un'altra guerra.»

«Non possiamo stanarli tutti», fece il buzzurro.

«Forse c'è un altro modo.»

«E cioè?»

La strega bianca lo fissò per un lungo momento e il buzzurro sentì il desiderio ardergli nei lombi. Quegli occhi grigi e brillanti.., la voleva. Ora, nella neve.

«Una faglia», disse lei, dissolvendo la fantasia erotica del buzzurro.

«Una faglia?» ripeté lui.

«Tra il Nord e le altre Terre.»

Il buzzurro spalancò gli occhi. Fece per dire qualcosa e gli scappò una risatina isterica. «È una roba impossibile», disse poi.

«Forse no. Se conosci l'incantesimo giusto, forse si può fare.»

«E tu lo conosci?»

«Forse», disse la strega bianca.

Un sorrisetto le increspò le labbra e il desiderio sopito inondò i lombi del buzzurro come magma rovente.

«Ci vorrà un po', ma penso di poterci riuscire», aggiunse.

Il buzzurro non replicò. Era impegnato ad ammirare quel tripudio di bellezza indomabile e coraggio ardente. Il modo in cui la veste bianca le aderiva ai fianchi, la forma dei seni che si intuiva sotto il tessuto...

«Così mi fai arrossire», fece la strega bianca.

«Che?» fece il buzzurro, scuotendosi.

La dea amazzone sorrise. «Meglio che vada, sennò finisce che devo infilzare pure te. Posso prendere il tuo drago? Può essermi utile per quello che devo fare.»

Il buzzurro fece per dire che non era "suo", che nessuno poteva possedere un drago, ma riuscì solo ad annuire.

«Ne avrò cura, non preoccuparti.»

Carezzò il dorso di Urien e le disse qualcosa nel dialetto degli affabulatori. Il drago spalancò le grosse ali, prese a correre sulla neve lasciandosi dietro impronte enormi e si librò in volo. Il buzzurro restò a guardare la dea amazzone allontanarsi in groppa al maestoso animale.

Li vide trasformarsi in un puntino scuro e continuò a fissare il cielo anche quando furono spariti.

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