Gratitude
Era stato un lungo viaggio. Grab City distava quattro lune e svariate leghe da Aramundi, ma finalmente Clay era arrivato a destinazione. Vedeva le imponenti mura della capitale, alte e solide come i buoni propositi del Messiah. Sembravano poter resistere alla carica di un titano. La Torre di Guardia svettava come il randello turgido di uno degli Ultimi Alti. Clay si chiese quante leghe di visibilità concedesse una simile costruzione.
Mentre andava incontro alla città, vide le cupole dorate della Reggia. Anche quelle svettavano oltre le alte mura, sebbene non quanto la Torre di Guardia. Il Sole ci si rifletteva sopra mandando lampi dorati.
«Wow...» mormorò Clay e rise.
Era il tipo di reazione che avrebbe avuto il suo ragazzo. Clay pensò che gli sarebbe piaciuta quella vista. E avrebbe reagito proprio come lui, con un «wow» a mezza bocca.
Spronò il cavallo, che accelerò l'andatura. Il carretto che si trascinava dietro cigolava come se fosse in procinto di cadere a pezzi. Il sacco di tela che conteneva le provviste per il viaggio
L'ingresso della città non era presidiato. La grande porta a due battenti fece sentire Clay piccolo come il moccioso di quella fiaba di cui non ricordava mai il titolo. Ricordava solo che il moccioso s'arrampicava su una pianta e, arrivato in cima, trovava un castello in cui abitava un gigante. Che idea. Un gigante in un castello.
Nel sollevare lo sguardo, Clay si accorse che sulle mura camminavano dei tizi con cappelli dalla tesa ricurva e spolverini coi baveri sollevati. Doveva trattarsi dei Pistoleri Reali di cui aveva sentito parlare. Ne vide uno con un fucile poggiato sulla spalla. Si scambiarono un'occhiata e Clay distolse subito lo sguardo. Nel passare oltre l'immensa porta, si augurò che il tizio non lo impallinasse.
La Via Maestra di Aramundi era affollata. C'erano ambulanti, mesmeristi che vendevano rimedi miracolosi, imbonitori vari e allocchi vari che si bevevano tutte le stronzate che quei tizi propinavano loro. Clay non aveva mai visto un bordello simile. Neanche nelle giornate più incasinate, tipo la feria de fin de ano, Grab City era così scalmanata. Era un tripudio di voci che si confondevano e cristiani che si facevano largo. C'erano tanti colori caldi: quelli dei vestiti e delle insegne, quelli del terriccio rosso e delle baracche ai lati della Via e quello del cielo che osservava tutte quelle piccole formichine indaffarate.
«Non ci passa mica, lì immezzo.»
Clay abbassò lo sguardo. C'era un mulatto di undici o dodici primavere, vicino alla ruota.
«Deve andare a piedi», disse il ragazzino.
«E il carretto?» chiese Clay.
«Glielo guardo io per tre bronzi grandi.»
«Tre bronzi? È una rapina.»
«Sono comprese pure la biada e la strigliata per il cavallo.»
Clay sollevò lo sguardo e vide un'insegna alle spalle del ragazzo. C'erano disegnati sopra un martello e un ferro di cavallo. La baracca dalla quale pendeva aveva tutta l'aria di un piccolo stallaggio. Sulla soglia c'era un tizio ciccione che osservava tutta la scena, le braccia conserte sul pancione. Doveva essere il padrone di tutto quanto l'ambaradan.
Hai capito, pensò Clay. Posizione strategica.
Clay smontò e mollò i tre bronzi grandi al moccioso. Gli avevano detto che lì nella capitale ti rapinavano, ma pensava si riferissero ai borseggiatori, non agli esercenti. Meglio sbrigarsi e togliere il disturbo. Se stava lì anche solo mezza giornata, capace che si ritirava a casa con le pezze al culo. E forse manco quelle.
Si incamminò su per la Via Maestra, guardandosi intorno affascinato. Doveva scartare le persone che affollavano la strada. Alcune erano raggruppate intorno ai mesmeristi e agli imbonitori. Altre tiravano dritte per chissà quale destinazione urgente. Clay si chiese a chi potesse chiedere informazioni e la risposta gli si palesò mentre buttava lo sguardo su un'insegna con un boccale di birra dal quale la schiuma pareva in procinto di traboccare.
Clay mise piede sulla misera passerella e superò i battenti Il saloon era piccolo ma accogliente. Pulito, soprattutto. C'erano pochi cristiani a quell'ora, ma perché era ancora presto. Il tramonto avrebbe richiamato bocche assetate e animi tormentati. Clay raggiunse il bancone e il barista gli si avvicinò.
«Che beve?» chiese.
«In realtà volevo un'informazione», disse Clay.
«È straniero?»
«Appena arrivato.»
Il barista ebbe un moto di impazienza. «E che informazione va trovando?»
Va trovando? pensò Clay e rispose: «Mi serve parlare con uno sciamano.»
Il barista storse la bocca come per aver assaggiato qualcosa di cattivo, tipo uno schizzo di merda.
«Li trova a hen Ddinas.»
«E come ci arrivo?»
«Sicuro che non vuole un goccio? Ho della bionda che ti viene voglia di fottertela per quanto è buona.»
Clay capì che parlava della birra.
«Pure il whisky non è male. Invecchiato al punto giusto.»
Clay capì che era meglio ordinare qualcosa, giusto per accelerare il corso degli eventi.
«Una birra», disse.
Il volto del barista si illuminò. «Arriva subito.»
Riempì un boccale e lo fece scivolare sotto il naso di Clay, che prese un sorso. Il barista non smise mai di guardarlo. Clay capiva che aspettava e disse: «Buona.»
«Visto?»
«Come arrivo a questa hen Ddinas?»
«Segua la strada. Quando arriva al crocicchio, svolti a sinistra e prenda la strada che impenna.»
«Grazie», fece Clay.
Allungò al tizio un bronzo grande, sperando che bastasse. Le sue risorse finanziarie si assottigliavano in fretta ed era lì da tipo mezz'ora. Girò i tacchi e fece per allontanarsi.
«Non finisce la birra?» chiese l'uomo.
«Un'altra volta», rispose Clay.
Il barista lo guardò uscire, scosse la testa e se la bevve lui.
Era buona da fottersela.
Clay risalì la Via Maestra. Un paio di tizi che ciondolavano sotto il portico di una bottega gli tennero gli occhi addosso. Clay si portò d'istinto una mano alla sacchetta con le monete. Qualcuno lo urtò.
«E guarda dove cazzo vai.»
Clay si voltò e vide una montagna di muscoli che lo guardava dall'alto.
«Scusi», mormorò, aggirandolo e proseguendo.
Arrivato al crocicchio, svoltò a sinistra come gli aveva detto il barista. La strada si impennò quasi subito e le botteghe lasciarono presto il posto a casas de adobe: bianchi cubi di pietra un poco storti ma solidi. C'erano parecchi mulatti. Clay contò pochissimi visi pallidi. Notò anche erano vestiti di stracci, come i mulatti. Lo guardarono nel modo in cui uno guarda qualcosa di strambo che è piovuto dal cielo. Qualcosa come uno stronzo di drago ricoperto di gemme.
Clay li ignorò e raggiunse una piccola bancarella di legno, con un telo sdrucito come copertura. Il mulatto che la presiedeva era vecchio come il Buon Padre, aveva una barba lunga e grigia e lo sguardo spento. Clay provò una pena infinita, ma non si lasciò distogliere per più di un secondo. Aveva qualcosa di importante da fare e il pensiero gli ballava in testa un tizio sui carboni ardenti.
«Sto cercando uno sciamano», disse Clay.
Il mulatto lo guardò senza rispondere, con quei suoi occhi umidi, e Clay pensò per un attimo che non avesse capito.
«Sa dirmi dove...»
Il vecchio sollevò le mani e le fece danzare, rivolgendo segni a Clay che rimase interdetto.
«È sordo.»
Clay si voltò. Un mulatto di circa venti primavere gli andava incontro.
«Parla solo la lingua delle dita.»
«Lingua delle dita?»
Il giovane si piazzò accanto a Clay, richiamò l'attenzione del vecchio e prese a far danzare le mani. Clay osservò affascinato. Le dita del giovane formavano simboli che per Clay non avevano alcun significato, ma che evidentemente dovevano averne per l'anziano mulatto, che annuì un paio di volte e rispose con una danza delle dita molto simile.
«Dice che ne conosce solo una», fece il ragazzo. «Abita più su.»
Il ragazzo fece danzare le mani e il vecchio annuì in risposta.
«La conosco, se vuole l'accompagno.»
Clay mise mano alla sacchetta, ne tirò fuori un bronzo grande e lo porse al ragazzo. Quello agitò una mano e rispose: «Non serve. E comunque è meglio se non li tira fuori con tutta 'sta disinvoltura. Qui intorno girano borseggiatori che sanno rubarti i vestiti mentre ancora li indossi.»
Clay lo ringraziò e mise a posto il denaro, benedicendo il ragazzo per avergli risparmiato l'ennesima spesa inutile e imprevista.
«Venga con me.»
Il ragazzo si incamminò e Clay lo seguì. Arrivarono in vista di una casa de adobe piccolina, con una tettoia di legno sulla quale era tirato un lenzuolo lercio. Il ragazzo bussò alla porta di legno scuro e scheggiato con la base del pugno.
«Ahia», disse esaminandosi la base del pugno. «Mi sono beccato una scheggia.»
La porta si aprì e apparve un mulatto che poteva avere quaranta autunni o giù di lì. Guardò il ragazzo, poi sbirciò oltre la spalla e i suoi occhi si piantarono su Clay. Disse qualcosa al ragazzo nel dialetto dei mulatti. Clay non capì manco una virgola. Quando finì di parlare, il ragazzo si voltò.
«Chiede perché vai cercando uno sciamano.»
«La mia città, Grab City, è infestata da una legione di demoni», fece Clay.
Gli occhi del ragazzo si spalancarono. Riferì all'uomo sulla soglia e quello reagì allo stesso modo, poi parlò in maniera più concitata.
«Digli che possiamo pagargli la cifra che vuole», fece Clay.
Il ragazzo sollevò una mano come per dirgli di star zitto. Quando l'uomo finì di parlare, il ragazzo disse qualcosa, forse quello che Clay gli aveva riferito, e l'uomo sulla soglia scosse la testa. Un gesto che aveva un significato universale: non se ne parla. Poi disse qualcos'altro, che il ragazzo tradusse così: «Dice che sua madre è troppo anziana per spostarsi.»
«Sua madre?» chiese Clay.
Non capiva che c'entrasse la madre.
«È lei la sciamana», spiegò il ragazzo.
Clay fece per dire qualcosa, ma l'uomo parlò prima di lui. Il ragazzo tradusse: «Dice che sei vai a ovest, alle porte dell'Ell, trovi un villaggio di sciamani.»
«Sono quindici lune di viaggio ad andare e altre quindici a venire!» fece Clay.
Il ragazzo tradusse e l'uomo sulla soglia si limitò a un'alzata di spalle. Anche quel gesto aveva un significato universale: mica è un problema mio.
«Abbiamo bisogno di aiuto», fece Clay, scostando il ragazzo e piazzandosi dinanzi all'uomo. «Le daremo tutto quello che vuole: soldi, bestiame...»
Una voce calda, appena un po' roca e autoritaria risuonò alle spalle dell'uomo. Questi si voltò e disse qualcosa. La voce parlò ancora e stavolta l'uomo si fece da parte. Quando abbandonò la soglia, alle sue spalle apparve una donna anziana, bassa e curva come se il peso degli anni le gravasse tutto sulla schiena. Un peso che doveva corrispondere come minimo a ottanta inverni. Venne avanti e, quando l'uomo si allungò per prenderle il braccio e aiutarla, lei rifiutò con un gesto garbato.
«Riesco ancora a camminare da me», disse nella lingua comune. Si fermò sulla soglia e sollevò il viso verso Clay. «Gli anziani hanno risorse che i giovani non si aspettano.»
Sorrise e il viso le si trasformò in una maschera di rughe. C'era però qualcosa, oltre quell'impasto crepato. Qualcosa di antico, che era sopravvissuto agli aggravi del tempo e ancora scalpitava. Clay lo vide guizzare negli occhi della donna quando questa sorrise.
«Perdoni mio figlio. A volte la capoccia gli va in affanno, ma non è una cattiva persona.»
Clay decise seduta stante che quella donna gli riusciva simpatica.
«Dove si trova questa città di cui parlava?» chiese la donna.
«Grab City? È a circa quattro lune di viaggio da qui, nell'Entro-Terra.»
L'uomo alle spalle della donna disse qualcosa in dialetto mulatto. La donna neanche gli rispose. Continuò a guardare Clay. Gli occhi, intrappolati nella ragnatela di rughe, brillavano. Non somigliavano agli occhi del venditore ambulante, che pure doveva avere i suoi inverni sulle spalle.
Questa donna ha qualcosa, pensò Clay. Ed è qualcosa di molto speciale.
«E quant'è grave la situazione?» chiese la mulatta.
«La città è tutta infestata», fece Clay. «Siamo costretti a dormire all'aperto, perché le case sembrano come possedute. Le porte si aprono e chiudono da sole, le imposte alle finestre pure. I letti tremano e gli oggetti volano da una parte all'altra.»
La donna annuì come se ci fosse passata. La comprensione che Clay le vide in volto, e la solidarietà che le navigava nello sguardo, rincuorarono Clay e gli diedero fiducia: era nel posto giusto.
«Non posso cavalcare, sono troppo vecchia, ma se avesse un carretto...»
«Ce l'ho», disse Clay di slancio.
La vecchia annuì. «Mi dia il tempo di prendere un paio di cose.»
«Vuol dire che accetta?»
«Dopo quello che ho sentito, non posso rifiutare. Avete bisogno d'aiuto.»
Girò i tacchi e con passo lento come quello di una tortuga si allontanò. Il mulatto che era so figlio le andò dietro, parlando a raffica. Clay sentì una sventagliata di parole che per lui non avevano senso e sembrava pure alterato. Ogni tanto si prendeva una pausa, ma la replica dell'anziana non arrivava, e così lui riprendeva più accalorato di prima.
«Che sta dicendo?» chiese d'un tratto Clay al ragazzo mulatto.
«Che se viene con te ci lascia la pelle», disse il ragazzo.
Qualche minuto e diverse lamentele in dialetto mulatto dopo, la donna tornò da Clay. Era tutta bardata. Era avvolta in un mantello con cappuccio e portava a tracolla una piccola borsa di cuoio. Clay si domandò cosa ci tenesse dentro. A seguirla c'era il figlio mulatto, che aveva ancora abbastanza saliva da sproloquiare.
La mulatta si voltò e gli disse qualcosa in dialetto, e allora l'uomo tacque. Si guardarono e, infine, l'uomo si accosciò per abbracciarla. La donna gli diede un paio di affettuose pacche sulla schiena, poi lo mollò e si rivolse a Clay.
«Possiamo andare», fece. «Temo però che dovrà adattarsi al mio passo. Sono più lenta di una tortuga dai mille inverni.»
Clay la vide avviarsi senza attenderlo e udì un tonfo. Si girò e vide che il mulatto aveva sbattuto loro la porta in faccia.
* * *
Ci misero più loro ad arrivare al carretto che una tortuga a farsela a nuoto dalla Costa Orientale sino all'isola più vicina. Clay offrì il braccio alla donna, che lo rifiutò garbatamente. Clay la guardava terrorizzato quando passava in mezzo a fiumi di cristiani, pensando a come avrebbe fatto se si fosse rotta un'anca o peggio. Ma nessuno la sfiorò neanche per sbaglio. Era come se un cerchio magico la proteggesse. Qualcuno le cedette addirittura il passo e pure con rispetto. E si trattava di visi pallidi, che di solito non avevano simpatia per i mulatti. Se Clay avesse saputo che quella donna aveva curato mogli o figli di qualcuno di quei tizi, non avrebbe reagito con altrettanto stupore.
Quando finalmente giunsero allo stallaggio, Clay si fece restituire il carretto e aiutò la donna a montare in cassetta, quindi la raggiunse. Girò la testa al mulo, come si usava dire da quelle parti, e attraversò la grande porta. Si lasciarono il chiacchiericcio degli imbonitori alle spalle. Clay lo udì sfumare con profonda soddisfazione e gratitudine. Non capiva come la gente riuscisse a restare sana di mente in quel bordello.
«È sempre così incasinata?» chiese all'anziana mulatta.
«A volte anche peggio», fece la donna.
Clay rabbrividì. C'erano anche dei vantaggi ad abitare in una cittadina sperduta dell'Entro-Terra, ma non li aveva mai colti prima. Quella gita gli aveva aperto gli occhi.
Viaggiarono a lungo e, quando il Sole si trasformò in un tuorlo d'uovo stiracchiato ai lati, Clay fece una sosta. Si sistemarono all'interno di una piccola formazione rocciosa. Ce n'erano diverse, sparpagliate in quella parte di deserto che stavano attraversando. Emergevano dalla sabbia e avevano la forma di arcate dentali. O almeno a Clay davano quell'impressione. Lo disse alla mulatta e lei gli diede ragione.
Dopo aver acceso un fuoco, Clay si allungò sul pianale del carretto per recuperare le scorte di cibo. Per lo più carne secca. C'era anche pane di mais, ma doveva farlo fuori in fretta, o sarebbe divenuto duro come roccia e avrebbe dovuto usare l'acqua per ammorbidirlo. Cosa che non aveva intenzione di fare. Sprecare l'acqua per ammorbidire il pane, con tutta la strada che li separava da Grab City, era una follia.
Sedettero accanto al fuoco. La donna era imbacuccata anche se la temperatura era gradevole.
I vecchi hanno le ossa sensibili, si disse Clay.
Offrì del pane di mais alla donna, ma questa rifiutò con un gesto della mano.
«Ho anche della carne secca», fece Clay.
«I miei denti non me lo perdonerebbero», disse la donna.
«Ma deve mangiare. Non può stare quattro lune a digiuno.»
«Gli anziani hanno risorse che i giovani non si aspettano.» Clay si accigliò. La sciamana sorrise, guardò il fuoco che ballava sui legni scheggiati e disse: «Non si dia pena per me. Ho patito di peggio.»
Entrambi lasciarono cadere la cosa, ma Clay si domandò cosa fosse quel qualcosa di peggio che l'anziana sciamana aveva patito. Andò a dormire con quel pensiero che gli ronzava in mente e, quando si svegliò, l'anziana mulatta era già in piedi.
«Buongiorno», disse a Clay.
«'giorno», rispose Clay, la voce impastata.
Si sollevò a sedere. La luce del primo Sole lambiva la parte alta della formazione rocciosa. Clay mangiò qualcosa. La sciamana no. Clay non volle insistere. Si disse però che, se avesse rifiutato anche il prossimo pasto, la volta dopo avrebbe insistito.
Montarono in cassetta e ripartirono, spediti fino a sera. Fecero un paio di soste, giusto per riposarsi le chiappe. L'anziana mulatta non pareva sofferente quanto Clay, che aveva il culo piallato e si vergognava un po' di sé. Aveva tipo quaranta autunni in meno a quella donna e stava lì pensare al suo culo, mentre lei non fiatava manco per sbaglio.
A sera, quando si fermarono per riposare, Clay le offrì di nuovo del cibo. Stavolta la donna accettò una striscia di carne secca. Clay fu felice e la osservò mettersela in bocca e succhiarla. I suoi denti non le permettevano altro.
Quando arriviamo in città, pensò, le faccio preparare un pentolone di stufato solo per lei.
Avevano allestito una specie di mensa all'aperto. Mettevano un pentolone sul fuoco e cucinavano di tutto. Lo stufato con carne era il pezzo forte. Clay ne avrebbe mangiato a quintali.
«Posso chiederle una cosa?» fece Clay.
La sciamana smise di succhiare la carne e lo guardò.
«Cos'ha in quella borsa?»
«I ferri del mestiere, diciamo così», fece la donna.
«Robe per scacciare i demoni?»
«Esatto.»
Clay la guardò ancora per un secondo. Fece per dire qualcosa, poi rinunciò all'ultimo. La donna forse intuì la curiosità che si annidava nei recessi dell'altro, perché pigliò la borsa da cui non si era mai separata e la aprì. Ne tirò fuori una boccetta con dentro del liquido scuro che ondeggiò alla luce del fuoco da bivacco e la mostrò a Clay.
«È una pozione di mia creazione», spiegò. «Serve a benedire gli ambienti infestati e a tenere lontani gli spiriti maligni. Ne ho portata una scorta, non si sa mai.»
«L'ha fatto altre volte?»
«Scacciare i demoni? Un paio», disse la donna e ripensò a quella volta che un ricco signore dell'Isel Ddinas l'aveva fatta chiamare.
Quello che infestava la sua lussuosa dimora era un tywyll, una creatura fatta di puro male, difficile da distruggere. L'aveva infatti confinato in una stanza della villa. E se Malloran (ecco come si chiamava) era abbastanza furbo, aveva fatto murare l'ingresso di quella stanza. Se anche i demoni di Grab City erano tywyll, c'era poco che potesse fare. Forse un tempo, quando il peso degli inverni non l'aveva ancora piegata, avrebbe potuto. Ma adesso...
Si disse di non pensare a quel che non poteva fare e di concentrarsi su quel che era in suo potere. E comunque non era detto che fossero demoni tywyll. Poteva trattarsi di demoni fisici, come i djinn. In quel caso sarebbe bastato un semplice esorcismo e tanti saluti al secchio.
Arrivò il tempo della nanna. Prima di addormentarsi, la donna consegnò al cielo i propri pensieri. La Stella del Vespro, le cui quattro punte parevano altrettante lame lucenti di acciaio nobile, parve brillare con più intensità quando la donna le affidò i propri dubbi.
L'ultimo giorno di viaggio si consumò in fretta e senza accadimenti di particolare rilevanza. Solo una volta, quando avvistarono una piccola lapide che sporgeva dalla sabbia come un molare, la donna chiese: «La città si trova sulla Tratta del Messiah?» Clay le disse di sì e che a breve avrebbero l'avrebbero vista spuntare all'orizzonte come un miraggio.
Pensava che la donna avrebbe accolto bene la notizia, e invece la vide accigliarsi.
* * *
Giunsero in vista di Grab City che il giorno volgeva al termine. Il Sole era un bubbone infiammato sul culone celeste di Madre Natura. Quando superarono l'arco con l'insegna, la donna stava pregando mentalmente. Era il suo modo di prepararsi. Clay condusse il carretto lungo quella che era la Via Maestra di Grab City, sino al cimitero fuori mano. A pochi passi dalla staccionata che delimitava il camposanto, c'era accampato un mucchio di cristiani. Era come nei villaggi dell'Ell, dove la gente viveva in pratica all'addiaccio e ogni tanto rincasava nelle capanne. C'era pure una cucina improvvisata, con le ceneri di un fuoco e un pentolone sospeso sopra tramite una struttura improvvisata ma ben congegnata.
L'anziana mulatta sorrise. S'erano organizzati bene.
Notò che c'erano parecchi bambini e qualche anziano, e che erano tutti impegnati a guardarla. I bambini la osservavano con curiosità, gli anziani con speranza e fiducia. Si augurò di poter restituire loro la città, o almeno gran parte di essa.
A raggiungerli per prima fu una donna. Si portò sul lato dell'anziana mulatta e le tese le mani, quindi l'aiutò a smontare con l'aiuto di un uomo che si fece subito sotto.
«Benvenuta a Grab City», disse la donna.
Aveva l'aria disfatta. Due mezzelune scure campeggiavano sotto gli occhi nocciola e i capelli sembravano un nido di uccelli. Un nido preso d'assalto da un falco. Anche gli altri non sembravano proprio freschi come una rosa. Avevano bisogno di un bagno, come prima cosa, e di tornare alle loro vite di sempre come seconda.
La donna che li aveva accolti si attardò un attimo a baciare Clay, poi disse: «Stavamo mettendo su la cena.»
«Che tempismo», fece Clay.
La donna raggiunse la sciamana e le offrì il braccio. Clay aspettò di vedere quel gesto che aveva imparato a conoscere, lo sfarfallio della mano col quale l'anziana rifiutava, ma la sciamana lo sorprese. Accettò il braccio della donna e andò con lei.
Che tipo, pensò Clay.
Le due donne raggiunsero il gruppetto di spiantati radunati nei pressi del pentolone. Un tizio stava accendendo il fuoco: chino, la testa infilata sotto il pentolone sospeso, soffiava sulla sterpaglia. La donna recuperò una seggiola sgangherata e la offrì alla sciamana, che ci posò sopra le chiappe ossute. Quindi le due donne cominciarono a parlare fittamente. Clay notò però che Rhoda, la sua signora, si era inginocchiata dinanzi alla nuova arrivata. Sorrideva amabilmente e teneva una mano posata su quella dell'anziana. Quella scena lo riempì di uno strano miscuglio di orgoglio e tenerezza. Rhoda ci sapeva fare con la gente. Aveva una specie di talento naturale. Intuiva subito il carattere della persona che aveva di fronte e si... com'era quella parola? Ah, si allineava.
«Dici che ce la può fare?»
Clay si voltò. Jude Crosby gli stava accanto e guardava l'anziana.
«E chi lo sa», fece Clay. «Ma o mi caricavo lei, o mi toccava arrivare fino ai confini dell'Ell o della Costa Orientale per trovare qualcuno. E non è detto che riuscivo a convincerlo.»
«Quanto vuole?»
«In realtà non ne abbiamo parlato.»
Jude masticò amaro. «Mi sa che questa ci apre il culo.»
«Sono pure disposto a indebitarmi», fece Clay.
Ma non credeva che la donna avrebbe preteso una somma oscena. Il modo in cui gli aveva parlato, e la comprensione dimostratagli quando si erano conosciuti, non andavano in quella direzione.
L'anziana disse qualcosa a Rhoda. Ci fu uno scambio rapido di battute e infine Rhoda si alzò per raggiungere Clay.
«Dice che vuole vedere com'è la situazione in città», fece Rhoda.
«Forse è meglio se prima mangia qualcosa», disse Clay. «Non ha quasi toccato cibo dopo che siamo partiti. Ancora non capisco come fa a stare in piedi.»
Rhoda si voltò. L'anziana stava parlottando ora con una bimba. Le toccava i capelli biondo cenere e la bimba pareva lusingata da tanta attenzione. Era una scena che ti faceva sorridere il cuore, non fosse stato per il sorriso stanco dell'anziana. Clay ci vide dentro tutti gli inverni che quella donna si trascinava dietro e la cosa gli provocò una morsa al cuore.
«Le ho detto anch'io di riposarsi e mangiare un po' di stufato», fece Rhoda, «e mi ha risposto che prima vuole che tu la accompagni in città.»
Clay sospirò. Lui sì che era stanco e affamato.
«E va bene», disse. Raggiunse la donna. «Rhoda mi ha detto che vuole dare un'occhiata.»
L'anziana si alzò e accettò l'aiuto di Clay quando questi la sostenne per un braccio.
«Non vuole prima mettere qualcosa sotto i denti?»
«Dopo», fece la donna e si avviò verso la città senza attendere Clay.
Lui le andò dietro, ma prima si girò e lanciò a Rhoda uno sguardo. Ci mise dentro tutta la pazienza che aveva.
Mentre pestavano una via laterale, che poi era quella che saliva sino al cimitero, la donna chiese a Clay qualche particolare in più sulla faccenda.
«Gliel'ho detto», fece Clay. «Si fanno vivi soprattutto dopo il tramonto, ma a volte anche prima. Rovesciano tutto quello che posso, fanno ballare i letti e i pavimenti...»
«Parlano?» chiese la donna mentre si guardava intorno.
Sembrava all'erta, notò Clay. Fissava le abitazioni come se fossero qualcosa di vivo, pronto a saltarle addosso.
«'a' voglia», fece Clay e poi chiese: «È una cosa brutta? Il fatto che parlano, dico.»
L'anziana non rispose subito. Stava pensando che i tywyll non blateravano e che i djinn lo facevano solo nella mente dello sventurato che prendevano di mira.
«E siete tutti a sentirli o solo alcuni di voi?» chiese la donna.
«Li sentono pure i morti, tanto è il casino che fanno», disse Clay.
La donna si fermò e per la prima volta da quando si erano incamminati guardò Clay. «Mi porti a casa sua.»
Sorpreso, Clay rispose: «Sta più avanti, sulla Via Maestra.»
Svoltarono sulla Via Maestra e Clay si fermò dinanzi a una baracca con una finestra sfasciata. Cocci di vetro erano sparsi sulla veranda. Qualche dente aguzzo era rimasto stoicamente aggrappato all'intelaiatura, ma poca roba. Clay guardò all'interno di quell'occhio cieco e il buio che vide non gli piacque per nulla. Sembrava più nero di un cielo senza stelle. Più nero del buco del culo del Caprone Infernale e del...
L'anziana aveva messo piede sulla veranda. Clay non riuscì a fermarla. La vide posare una mano sul pomello e spalancare la porta, che si aprì con un gemito da far rizzare i peli dietro la nuca. Il sangue del tramonto si rifletteva sulle assi di legno e sul vetro dell'unica finestra sopravvissuta. Il Sole era un coagulo di sangue, un occhio infernale, un...
L'anziana entrò. Il buio incipiente la inghiottì. Clay avrebbe voluto raggiungerla, ma non aveva il coraggio. Rimase lì, nel mezzo della via polverosa, paralizzato dalla paura. Ricordava ancora quando era fuggito, portandosi dietro Rhoda e il ragazzo nel bel mezzo della notte. La scena gli si presentò come un incubo e gli mozzò le ginocchia.
Udì un ringhio basso e cupo, come quello di un cane rabbioso. I peli dietro la nuca gli si rizzarono come aculei di porcospino. Vide poi qualcosa avvampare per un secondo o due, un bagliore simile ai resti di una grossa brace colpiti da un alito di vento. Non aveva mai visto un fenomeno del genere prima di allora. Stava per urlare all'anziana di venir via, quando la vide uscire con quel suo passo traballante. La donna chiuse la porta, mise piede sulla Via Maestra e guardò Clay.
«Possiamo andare», disse e si avviò, lasciandolo imbambolato.
Clay occhieggiò la casa e ancora una volta si stupì di quanto un ambiente caldo e familiare potesse trasformarsi, rapidamente, in qualcosa di estraneo e spaventoso. Raggiunse la donna e, mentre andavano verso il cimitero, le chiese: «Allora?»
«Adesso mi andrebbe proprio un po' di quello stufato», fece la donna.
Quell'uscita spiazzò Clay, che non riuscì a dire nulla per tutto il tempo. Quando arrivarono al cimitero, il fuoco ballava sotto il pentolone e un odorino familiare si spandeva nell'aria. Arrivò sino a Clay, che sentì lo stomaco gorgogliare. Rhoda fece accomodare l'anziana. Riempì poi una ciotola, attingendo dal calderone fumante con un mestolo di legno, e la diede alla donna insieme a un cucchiaio. La donna sorbì lo stufato, chiuse gli occhi e levò il viso al cielo. Un sorriso le si disegnò sul volto solcato dalle rughe.
«È proprio buono», disse aprendo gli occhi.
Rhoda sorrise soddisfatta.
Consumarono la cena in un clima disteso che mancava da parecchio. Merito della nuova arrivata. Aveva portato con sé un pizzico di speranza. A un certo punto della serata, senza sapere come fosse accaduto, Clay la ritrovò circondata da marmocchi. Stavano tutti lì, seduti a gambe incrociate, che la ascoltavano con occhi grandi e colmi di stupore. La donna raccontò loro di Aramundi, della Reggia dorata, della Torre di Guardia e di altre meraviglie che distavano parecchie leghe da lì. I piccoli non fiatavano. Se la donna si azzittiva per più di tre secondi, qualcuno di loro si azzardava a stimolarle la parlata, e così lei attaccava a raccontare dell'altro.
«Incredibile», fece Rhoda. «Sembra che abbia una specie di fluido magico.»
«Forse è così», disse Clay.
Rhoda gli posò la testa sulla spalla e lui la strinse a sé.
«Com'è andata in città?» Clay le raccontò. «Secondo te che vuol dire?»
Clay rispose con un'alzata di spalle. «È una tipa strana.»
«A me piace», disse Rhoda. «E piace anche ai bambini.»
D'un tratto l'anziana richiamò l'attenzione di Rhoda, che si staccò da Clay e la raggiunse. Parlottarono e poi Rhoda tornò da Clay. Aveva un'espressione poco convinta.
«Dice che ha bisogno di alcune cose», riferì a Clay.
«Tipo?»
«Acqua, una radice di non so cosa – aconito, mi pare – e della menta.»
«E a che cavolo le servono?»
Rhoda scrollò le spalle e Clay inarcò un sopracciglio. Guardò l'anziana che aveva accalappiato i bambini. C'era anche il suo ragazzo, tra loro. Era in prima fila e aveva un'espressione estasiata, come se l'anziana gli stesse svelando tutta una serie di meraviglie che non aveva idea esistessero. E magari era così.
«Dobbiamo chiedere alla signora Malcolm», fece Clay. «È lei quella che si intende di 'ste robe.»
Rhoda annuì e subito partì alla carica. Clay la vide parlottare con la signora Malcolm, che stava con la sua famiglia intorno a uno dei tanti fuochi da bivacco accesi in quell'accampamento improvvisato, e andare poi dall'anziana. Quando tornò da Clay, disse: «Vado al pozzo a prendere l'acqua.»
«Lascia, faccio io», disse Clay e si incamminò.
Mentre andava, ripensò al ringhio basso e cupo e a quel bagliore che... adesso che ci rifletteva, a mente fredda, gli era parso salire dal pavimento. Come se sotto le assi di legno si nascondesse l'inferno. Cercò di allontanare quel freddo che lo invadeva mentre tirava su il secchio con l'acqua, lo separava dalla corda e tornava indietro.
Quando arrivò al cimitero, scoprì che la signora Malcolm aveva recuperato la radice e la menta. Sentì il marito, Carl, che parlava di quel che era successo quando aveva messo piede in casa.
«... e poi ho sentito il pavimento tremare e ho visto qualcosa che si accendeva sotto le assi, tipo i resti di un fuoco acceso...»
Clay rabbrividì, passò oltre il capannello di persone riunite intorno a Carl e raggiunse Rhoda che stava nei pressi del pentolone, assieme all'anziana. Sotto il pentolone ballava un fuoco.
«Getti l'acqua nel pentolone», disse l'anziana.
Clay eseguì. Quando l'acqua si scaldò, l'anziana fece a pezzetti la radice e la mise dentro. Poi gettò le foglie di menta.
«A che serve?» chiese Clay.
«È una pozione», fece l'anziana.
«Come quella che s'è portata dietro?»
«Questa è più potente.»
Quell'ultima affermazione mise in ansia Clay. Se aveva bisogno di qualcosa di più potente, voleva dire che il demone che aveva pizzicato in casa sua era un figlio di puttana peggiore del previsto.
«Direi che è pronta», fece l'anziana. Si rivolse a Rhoda. «Ti spiace versarne un po' in una ciotola?»
Rhoda usò il mestolo, quindi porse alla donna la ciotola con dentro quella brodaglia. L'odore di menta era bello forte. Tenendo il recipiente con due mani, l'anziana mormorò qualcosa in un dialetto che Clay non riconobbe e che non era quello dei mulatti. Poi bevve d'un sorso.
«Ma che fa?» urlò la signora Malcolm. «È impazzita?»
Rhoda e Clay la guardarono senza capire. L'anziana posò in terra la ciotola e, guardando negli occhi la signora Malcolm, disse: «È l'unico modo che conosco. Buttate il resto di quell'intruglio e non fatelo toccare ai cani. Ne ho visti un paio in giro.» Si rivolse quindi a Clay: «Le spiace accompagnarmi di nuovo a casa sua?»
Clay la aiutò ad alzarsi e si stupì quando la donna gli pigliò un braccio. Si avviarono con Clay che rivolse un'occhiata stranita a Rhoda e poi alla signora Malcolm, che era a bocca spalancata. Senza capirci granché, accompagnò l'anziana lungo la strada che portava alla Via Maestra.
«Se dovessi svenire», fece l'anziana, «mi porti comunque dentro casa.»
«Perché dovrebbe svenire?»
L'anziana parve inciampare. Provò a tenersi al braccio di Clay, ma le dita mancarono la presa. Cadde in ginocchio e poi gattoni. Clay si inginocchiò.
«Che ha? Si sente male?»
«Mi porti in casa», fece la donna.
«Vado a chiamare Doc.»
Una mano magra saettò e afferrò il polso di Clay, che stava rialzandosi. Le dita nodose strinsero con quanta forza avevano.
«Mi porti in casa», ripeté la donna.
Il tono non lasciava scampo.
«La prego. Non ho fatto tutta questa strada per niente», aggiunse poi.
Dopo un attimo di indecisione, Clay la prese in braccio.
«Presto», mormorò la donna.
Clay pestò la Via Maestra e salì sulla veranda di casa, quindi aprì la porta con un calcio. Entrò nel buio, anche se gli tremavano le ginocchia.
«Mi metta a terra», fece la donna.
Clay si inginocchiò e la adagiò in terra con estrema delicatezza. «E adesso?»
«Vada via.»
«Che?»
«Esca e si allontani.»
Clay non si mosse. Non poteva vedere il volto della donna nel buio, ma sentiva la sofferenza nella sua voce. Qualcosa lo toccò, facendolo sobbalzare. Si rilassò quando capì che era l'anziana. Gli aveva serrato le dita intorno al braccio.
«Mi ascolti, questi non sono comuni demoni. La mia pozione non gli farebbe neanche il solletico. L'unico modo è abbandonare il piano fisico per raggiungerli in quello metafisico.»
«Nel senso...?» fece Clay, anche se stava cominciando a capire.
«Devo diventare puro spirito e affrontarli sullo stesso piano. Diventerò una specie di ferro traente e la mia energia li attirerà qui, perciò deve andarsene.»
«Che era quella roba che ha bevuto?»
Le dita della donna persero vigore e si afflosciarono. Clay sentì il tonfo che fece la mano quando si schiantò sul pavimento. Poi un chiarore invase la stanza. Proveniva da sotto le assi del pavimento. Clay vide tra gli interstizi il pulsante bagliore di quello che pareva un gigantesco braciere stipato sotto le assi. Era come se qualcuno con un mantice ci soffiasse sopra aria. Piccoli sbuffi di fumo si levarono assieme all'odore di zolfo.
Qualcosa ringhiò: un verso basso e gutturale che pian piano aumentò, sino a riempire la stanza. Una risata folle, da matto in carrozzella, esplose in un punto imprecisato. Clay sobbalzò e, preso dal panico, si lanciò fuori dalla casa. Solo quando mise piede sulla Via Maestra si rese conto di averla lasciata in balia di quell'inferno. Fece un passo verso casa e la risata folle di poco prima esplose ancora, salì al cielo compatta e poi si tramutò rapidamente in un verso di collera. E non fu l'unico. Una moltitudine di voci presero a ringhiare, urlare, gorgogliare e fare altri versi. Clay si coprì le orecchie per evitare che i timpani gli esplodessero.
Le abitazioni accanto a quella di Clay tremarono. Poi esplosero i vetri delle finestre e delle forme nere, simili a drappi funebri, uscirono per fiondarono verso la casa di Clay. Entrarono dal buco nella finestra, passando nello spazio tra le assi o dal comignolo. Le grida inumane salirono e Clay cadde in ginocchio. Premeva le mani sulle orecchie con tutta la forza che aveva, ma non serviva a nulla. Quando iniziava a pensare che i timpani gli sarebbero esplosi, le moltitudini si azzittirono di colpo.
Clay, che stringeva i denti e serrava gli occhi, sentì l'eco distorto rimbombargli in testa per qualche attimo ancora, poi più nulla. Si accorse che le voci erano sparite e abbassò le mani. Si accorse anche che il bagliore infernale era svanito. Al suo posto c'era una morbida luce dorata.
Clay si alzò e, con le stesse dosi di paura e curiosità che lottavano per spodestarsi a vicenda, fece qualche passo verso casa. Salì in veranda e mise il naso in casa. Una sorta di informe nebbia dorata avvolgeva il corpo dell'anziana mulatta. Clay la vide sollevarsi come una nube e condensarsi in qualcosa di familiare. Dalla nebbia apparve il volto dell'anziana e poi via via anche il resto. Clay si ritrovò a fissare la donna che fluttuava sopra se stessa.
Cristo e Messiah, quella è la sua anima. Sto guardando l'anima di un cristiano.
La donna nella nebbia gli rivolse quel suo caldo sorriso e, semplicemente, svanì come fumo spazzato dal vento. Clay pensò di udire qualcosa, una voce che parlava, ma non ne fu sicuro. Forse era il vento.
Si chinò a prendere il corpo della donna (è caldo, pensò) e uscì. Quando arrivò al cimitero, Rhoda gli andò incontro.
«Abbiamo sentito...»
Si fermò. Non si era accorta che Clay teneva in braccio la donna.
«Buon Padre...» mormorò con una mano sulla bocca. «Allora è vero.»
Clay non sapeva a cosa si riferisse. Chiese soltanto a qualcuno di aiutarlo a seppellire la donna. Mentre i due cristiani andavano a recuperare le vanghe, Clay mise giù la donna e raccontò a tutta la città, che gli si era stretta intorno, cos'era accaduto.
«Quella radice era velenosa», disse la signora Malcolm. «Quando ho visto che beveva...»
«Avete gettato quella roba?» chiese Clay.
«A-ha.»
«Non capisco una cosa», disse Rhoda. «Perché la menta?»
«La radice è amara da far paura. Forse per addolcirla», fece la signora Malcolm.
Scrollò poi le spalle, come a dire: è l'unica spiegazione che mi venga in mente.
«Ci ha aiutati e non so manco come si chiama», disse Clay.
I due che erano andati via tornarono con le vanghe. Clay li aiutò a scavare la fossa, vi adagiò dentro il corpo dell'anziana e recitò la preghiera di reconciliazion. Gli pareva la più adatta. Tornò dagli altri e propose loro di cambiare il nome della città.
«Come vorresti chiamarla?» chiese qualcuno.
«Gratitude», fece Clay.
Furono tutti d'accordo.
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