Capitolo 33

Capì che il suo piano si stava sfaldando fin da subito: bussare a tutte le porte era una pessima idea.
Denys si trovava all'ultimo piano e camminava tra i corridoi con impazienza, sotto di sé c'era il cortile interno. "E se non è in camera?" Si chiese sconfortato, batté lievemente la testa contro una finestra, accogliendone il freddo. Gli bruciava la cicatrice sulla clavicola che aveva assunto un colore vinaccia spaventoso.
Uscendo dalla sua stanza aveva infranto una regola, aveva l'obbligo di passare un giorno intero nella sua stanza come era successo ai suoi compagni. "E se scoppio qui?" Si chiese e il pensiero di fare male ad Evalin lo spaventò.
" Ormai sei qui, muoviti!" Con flemma si avvicinò ad un ennesima porta, appoggiò l'orecchio buono alla porta, peccato che non sentì nulla.
Si allontanò e riprovò con una porta posta alla fine del corridoio, sulla porta c'era un simbolo, il simbolo di Evalin. Denys lo riconobbe, glielo aveva mostrato lei prima di addormentarsi durante la prima prova.
Si avvicinò velocemente e rimase fermò lì fuori, aspettando una rivelazione. Se lei avesse aperto la porta, cosa gli avrebbe detto? Non lo sapeva. Decise che avrebbe dovuto comportarsi normalmente, come se Evalin fosse la sua promessa.
Bussò alla porta con spavalderia e aspettò.
Aspettò.
Sentì dei passi.
Aspettò.
Sentì la manopola girare.
Aspettò.
E lei aprì la porta e il cuore di Denys si sciolse. Si guardarono in silenzio entrambi troppi sorpresi di quello che Denny aveva appena fatto.
Le labbra di Evalin formavano una lieve O, Denys voleva provarle, ma si ricompose all'ultimo, facendo ricadere la mano sullo stupide della porta.
Lo sguardo della ragazza era incomprensibile, troppe emozioni le passavano attraverso, investendolo. Sicuramente non si aspettava di trovarlo lì; chi mai si sarebbe aspettata, si chiese Denys.
-Non dovremmo uscire. Gli disse infine. Non era certo la conversazione a cui aveva sperato, in realtà non aveva previsto alcuna conversazione.
-Allora fammi entrare. Gli piaceva quella provocazione, ad Evalin invece piacque di meno.
-Non puoi entrare.
-Perché no?
Poiché lei non ebbe il coraggio di rispondergli, lui si avvicinò, aprì di più l'uscio e scivolò dentro.
-Ricordi quello che è successo? Chiese non appena fu dentro, il luogo era arredato uguale a come se l'era aspettato. Tutto gli ricordava Evalin, dalla grande e vertiginosa vetrata, al letto grande e comodo, perfino i tappeti dell'oriente non lo impressionarono più di tanto, non perché non fossero pregiati, ma perché erano un prolungamento della ragazza.
Evalin arrossì. -Si, credo di ricordare.
C'era una torta sul tavolino, passò con l'indice sulla glassa e lo assaggiò, guardando fisso Evalin.
-Ti è piaciuto? Evalin incassò il colpo, si era aspettata quel comportamento da parte di Denys, fin da quando era entrato, ma aveva sperato di sbagliarsi.
Una parte di lei lo desiderava tanto quanto lui desiderava lei, perché di quello si trattava: desiderio. Denys era convinto che si trattasse di quello, durante l'iniziazione erano riusciti solo a baciarsi, se fosse passato al livello successivo la situazione sarebbe finita lì, e lui avrebbe potuto riprendersi. Non era mai stato troppo emotivo, ma quel desiderio che lui provava era una forte emozione e lo stava cogliendo impreparato.
-Credo tu debba andare, ora. Disse lei imbarazzata, aprì la porta ma il ragazzo non uscì, anzi si sedette sul divano.
-Perché mai?
-Non voglio parlare di questo Denys, per favore, esci! La voce di Evalin sembrava quasi una preghiera.
-Io credo dobbiamo parlare. Rispose risoluto.
-Non voglio!
-Dobbiamo. Continuò Denys con carisma.
-Non urlare!
Evalin si sedette nella poltrona opposta a lui, era molto pallida e costantemente sulla difensiva. Si girava al minimo suono: la porta che cigolava, il divano spostarsi oppure un battito d'ali fuori dalla finestra. Denys non aveva urlato, ma vedendo la ragazza tapparsi le orecchie frenetica, comprese che era un effetto collaterale dell'iniziazione. Improvvisamente si ricordò di quelle voci sulla vetta della montagna.
Le si avvicinò quatto, ma lei lo sentì comunque e di conseguenza si schiacciò allo schienale della poltrona su cui sedeva. Lui le poggiò una mano calda con delicatezza sulla coscia e costato con spavento quanto fosse fredda, dopo aver aspettato un qualsiasi suo cenno di diniego, che non venne, toccò la sua mano piccola e poi il polso.
-Le hai più sentite le voci? Sussurrò.
Lei non lo stava guardando, ma gli occhi erano tornati di quella sfumatura di marrone scuro che lui adorava.
-No. La sua voce era un sussurro.
-Cosa ti dicevano? Chiese Denys con una voce molto bassa. Era molto preoccupato.
Lei sollevò gli occhi, volendo parlargli, ma poiché per un istante i due si fissarono intensamente, le parole le morirono in bocca. Si chiese quanto folle potesse parere ai suoi occhi, e si spaventò nel constatare che se lui ma l'avesse allontanata, lei ne avrebbe sofferto tantissimo. Dopotutto non aveva avuto una vera conversazione con loro, non sapeva neanche così bene chi fossero loro. Tutto ciò che queste dicevano era stato cosa lei aveva dovuto fare e il ricordo ancora imbarazzava la ragazza.
-Evalin. Chi erano? Le sussurrò.
-Voci. Un raggio di luce entrò attraverso la grande vetrata, Evalin ne fu investita in pieno, assumendo una calda sfumatura d'oro.
-Un po' evasiva, non credi?
-Voci di spiriti, di coloro che non vivono con noi. Lui alzò un sopracciglio sorpreso.
-Morti? Si spaventò.
-No.- Evalin si corresse subito, imbarazzata.- quello che volevo dire era non come noi. È complicato. Si arrese annoiata, chiedendosi quale sarebbe stato lo scopo nel rivelargli tutte quelle assurdità. Improvvisamente la sua presenza era troppo, per lei. Si alzò improvvisamente dalla sedia e con le ginocchia deboli andò verso la vetrata.
-Ora devi uscire. Le ordinò lei risoluta.
-Non abbiamo parlato!
-L'abbiamo fatto.
Disse il ragazzo, avvicinandosi a lei con fremito -Ma a me non basta. Posso aiutarti, devi solo fidarti.
Non le rispose per così tanto tempo che Denys si era già incamminato verso la porta, sconfitto. Un attimo prima di uscire però, lei si girò e lo affrontò senza barriere, senza finzione: stava molto male, l'equilibrio era instabile, cosa che Denny compatì, conoscendola molto bene, poi oltre l'orecchio Evalin sembrava avesse cambiato atteggiamenti: era dritta con la schiena e non più incurvata, anche quando era ferma non poggiava il piede su un solo piede, ma scaricava il peso su entrambe le gambe. Camminò verso di lui, e Denys osservò che sembrava quasi Evalin volasse, come se non si appoggiasse al pavimento ma mantenesse l'equilibrio, muovendo tutto il corpo.
Lei arrivò davanti a lui, sfidandolo. Aveva uno sguardo ostile eppure terribilmente bisognoso. Le trasformazioni di Evalin era tanto palesi quanto quelle di Denys erano celate.
-Non erano umane. È questo, quello che vuoi sentire? Sai, non ho chiesto cosa fossero, mi urlavano solamente contro! Ed erano cose atroci, ricordi, non credo fossero i ricordi delle ninfe, nonostante fossero loro a parlare. Non avevo molto tempo. Specialmente con te lì e la musica che mi stordiva. Vuoi che mi fidi? Bene. Mi fido nel dirti che sento delle voci. Già, bella cosa.
Le prime lacrime le rigarono il viso per la paura e per la rabbia: paura di ciò che era diventata, rabbia per la sua paura che non aveva scalfito gli altri. Si sentiva l'unica ad odiare quel suo stato, eppure l'aveva tanto desiderato. Ed ora era lì, rotta, e Denys aveva anche la presunzione di riprenderla, lui che stava bene, lui che non era cambiato. Quel momento fu l'apice dei suoi timori, da quando quella mattina si era svegliata per un canto lontano di un gallo, aveva rimuginato su sé stessa, su quello che era divenuta. Aveva dovuto allontanare Perseide e Dafne che le avevano fatto visita, per il male insopportabile e la nausea, Erika non era venuta, lo faceva raramente di quei tempi, visto che era tanti presa da Pandora, erano una strana accoppiata, ma avevano stretto un'amicizia tanto solida quanto improbabile.
Quando Denys le aveva chiesto perché non volesse farla entrare, lei non aveva avuto il coraggio di dirgli che aveva un problema, di ciò che aveva fatto. Detestava la debolezza ed adesso allo specchio vedeva solo quella riflessa.
"Che cosa sei Evalin?" Si chiedeva e quel senso di solitudine che l'opprimeva, vedere lui era stato un balsamo.
I pollici di Denys sfiorarono il volto di lei, raccogliendo tutte le lacrime. Denny si rese subito conto di star assistendo a qualcosa che non gli era ancora concesso, ed un senso di inquietudine lo invitò ad uscire. Non era venuto per un dramma personale, ma per ben altro. Con le mani risalì fino alle tempie per poi discendere, andando a definire tutti i contorni del suo viso. Non si rese conto di aver appoggiato le sue labbra sulle sue, né dei baci all'inizio. Fu solo quando questi divennero più energici che riaprì gli occhi come per constatare che fosse tutto reale. Un discepolo ed una discepola nella luce pomeridiana in una stanza privata, avvinghiati. La realtà da una parte lo preoccupò, e se fossero stati visti?, si chiese, ma subito si dimenticò di rispondere, perché entrambi erano caduti sul divano pesantemente.
La situazione stava sfuggendo di mano. Evalin si ritrovò schiacciata tra Denys, più grande di lei, e il divano comodo, incespicando per dell'ossigeno. Sentiva il ragazzo in una maniera del tutto nuova, il suo profumo di cenere e menta, la sua pelle sempre calda, perfino la sua voce era cambiata, era diventata più profonda. Le bastava quel momento per renderla felice, per farla credere ancora una giovane ragazza.
Quel momento all'infinito.
Fu felice dal fatto che Denys aveva avuto tanto coraggio da entrare nella sua stanza per parlarle e vederla. Ripensò alle parole rivolte la mattina prima a Perseide, aveva negato di provare qualcosa, eppure adesso era annegata dentro a qualsiasi cosa provasse.
Fu quando lui le sfilò con poca delicatezza la camicia che lei si riprese. Il rumore dello strappo dei bottoni la stordì, subito dopo si alzò scaraventando il ragazzo per terra, spaventata, e si appoggiò alla parete, incurante di avere i capelli scompigliati ed il reggiseno in bella vista.
-Via. La sua voce le suonava estranea perfino a lei. In un solo istante aveva recuperato tanto timore da sembrare quasi imperturbabile.
-Ho detto: esci. Denys era chino per terra, con lo sguardo perso e le mani aperte in avanti come a proteggersi.
-È per questo che sei venuto? Gli chiese disgustata. Ancora il ragazzo non dava segno di rispondergli. Fissò i suoi occhi con rancore e si mise ancora più dritta, volendo fargli male così come lui le aveva appena fatto.
-Aspettavi il momento migliore per saltarmi addosso? Come hai fatto con Dafne? Le parole risvegliarono il giovane, facendolo alzare dal pavimento.
-Non l'ho toccata. Disse difendendosi, aveva gli occhi sgranati.
-Lei ha detto che nella sua camera le cose sono andate ben diverse! Replicò Evalin, stava urlando e procurando dolore da sola alle orecchie.
-Non è affatto vero. Ero solo un po' alticcio dopo la cazzata con gli altri. Non c'entra nulla. Angelos mi ha portato da lei, non ci sarei mai andato da me. Non è questo. Non era uguale ad ora.
Le era andato vicino e l'aveva preso una mano, ma ormai la sua era rigida, non amava il suo tocco.
-E come sono andate le cose? Chiese con tono di sfida.
-Mi sono solo addormentato! Non doveva neanche dirtelo!
-Perché così avresti fatto la figura dell'idiota? Brutta notizia allora: l'avevi già fatta! -la presa sulla mano della ragazza si allentò- andiamo cosa credevi che un bambino, mi avrebbe fatta vergognare davanti a tutti? Dimmi la verità: sei venuto per questo? Ho detto: sei venuto per questo?
Una goccia di sangue scese dall'orecchio destro di Evalin, ma nessuno dei due ci fece caso, troppo interessati a studiarsi. Lui non aveva alcuna scusa, quando Evalin lo comprese, gli si spezzò il cuore.
Lui non ebbe il coraggio di dire altro, scattò via, arrabbiato con sé stesso e tutti quanti. Sbatté la porta e corse fino alla sua camera, dove sapeva che se fosse impazzito, non avrebbe creato altri danni.
" non qui. Non qui" si ripeteva, trattenendosi. Ma appena entrato si lasciò andare totalmente, bruciando qualsiasi cosa tenesse tra le mani, si lasciò consumare, sperando di redimersi.
"Non sono così." si ripeteva, cercando di riprendersi. Non poteva permettere a quella ragazza di ridurlo a quel modo. Sarebbe stata un tabù da quel momento in poi.
La prima notte aveva dormito per la stanchezza nonostante il dolore, la seconda nonostante la stanchezza non riusciva a chiudere un occhio per il dolore. Non aveva versato una lacrima, ma aveva completamente perso interesse in tutto, rimanendo sveglio e sdraiato, non mangiando. Cercava già delle scuse da rivolgerle, o dei modi che la facessero soffrire ancora di più.
Bambino, così l'aveva chiamata.
"Possibile che tra tutte le ragazze, Evalin era l'unica a non rimanere ammaliata?" Si chiese. Tutto quello che aveva fatto, per lei erano cose fastidiose. C'era stata solo la prova, ricordo che Denys non voleva contaminare, non ora che aveva fatto il passo più lungo della gamba.

Per calmare Evalin c'era voluto Stephan. Non aveva fatto domande, non aveva fatto polemiche, l'aveva guardata, dopo che quel fulmine era schizzato via dal suo salottino, e l'aveva presa fra le braccia come mai prima d'ora, abbraciandola forte. Finalmente si era dimostrato essere quella figura paterna che Evalin ricercava.
-Fa male. Disse Evalin ancora avvinghiata.
-Lo so. Gli disse lui, non specificando se intendesse il dolore fisico o emotivo.
-Andrà tutto bene. Vedrai, non sentirai più nulla. Le assicurava.
-Ma è comunque successo. Stephan si staccò e la guardò.
-Ti porto in un bel posto. Le promise mentre apriva la porta.
-Dove? Chiese lei, che non voleva spostarsi di un metro.
-In cucina. Così mangi lontano dai ragazzi quanto ti pare.
Da allora la cucina divenne per Evalin, il suo luogo segreto, dove gli schiavi non potevano disturbarla e neppure i dominatori. Ritornava una bambina che preparava il cibo alla nonna, dimenticandosi degli altri drammi familiari.

Nicolas voleva chiedere a Cassandra del suo sogno: il basilisco, le voci, la sensazione di leggerezza, ma non me aveva avuto mai la possibilità. Non appena la guerra a Trinacria era finita, Cassandra era stata richiamata nella città Sacra, per un colloquio diretto al dio della luce. Erano passati due giorni e dalla sua maestra non vi era giunta ancora alcuna notizia.
Nicolas all'esterno era lo stesso, aveva la sua chioma riccioluta bionda perfetta, il suo viso non tradiva alcun emozione oltre alla tranquillità, era composto come sempre e aveva gli stessi movimenti danzanti e lo stesso passo silenzioso e leggero, ma all'interno si sentiva scoppiare, era come una terra dove paura e curiosità si davano battaglia, vincendo prima una, poi l'altra e così lui rimaneva lì, nel mezzo, perso.
-Vero, Nicolas? Nonostante non stesse ascoltando Denis, annuì. Erano tutti quanti nell'andron, tutti i discepoli maschi, tutti compreso Angelos. Nicolas appena l'aveva visto era caduto in un educato silenzio. Non che l'altro si sentisse leggermente affranto dal suo comportamento, anzi, riusciva sempre a far cadere una domanda indiretta addosso a lui, o peggio era lo stesso Nicolas che doveva passare, riferire qualcosa ad Angelos. Nicolas lo odiava, odiava il suo modo subdolo di muovere le cose attorno a sé, e non poteva fare nulla, se non rimanere in silenzio, fingendo di star contemplando cose sconosciute agli uomini comuni.
-Mi chiedo cosa il tuo amico stia tramando. Disse Angelos a Denis.
La nuova era che Angelos e Denis si intendevano perfettamente, finivano sempre col parlarsi e ridere insieme, e questo faceva piacere a Nicolas? Ovvio che no. Però visto che l'amico stava sempre così male, accettava quell'amicizia. Anche se al minimo disaccordo, Nicolas lo sfidava a pugni o lo guardava come se fosse un cane.
Ma il problema era Denny, a causa sua la lezione non si era svolta due giorni dopo la sua iniziazione ma una settimana dopo. Il ragazzo non aveva ancora parlato e Nicolas non chiese più di troppo.
Ogni volta che Nicolas si girava vedeva Iael nelle vicinanze. Gli dispiaceva che non parlasse con gli altri, ma in pubblico i due non si facevano tanto vedere assieme, non che la cosa li disturbasse, piuttosto erano soliti uno stare in un gruppo, l'altro stare da solo. Ma ultimamente le cose ravano iniziando a cambiare, Iael si buttava in conversazioni sempre più lunghe, era quasi sempre in imbarazzo a parlare, ma senza Nicolas che gli dava fastidio per vizio, non aveva più paura di unirsi a loro.
I primi giorni Nicolas lo aveva preso in giro con gusto, ma dopo la sua iniziazione si erano visti ogni pomeriggio, all'inizio Iael aveva trovato una scusa per entrare nei suoi alloggi, avevano parlato fino a cena e poi si erano salutati. Il giorno dopo Nicolas lo aveva evitato, ma si era pentito del suo comportamento il giorno dopo intrufolandosi con naturalezza nella sua camera.
-Stai bene? Gli chiese Denis osservandolo.  Nicolas annuì -Non sembri stare bene, non vorrei che proprio oggi ti sentissi male.
-Come sta la tua maestra? La domanda di Angelos fu un punto scoperto.
-Bene, grazie tanto.
-Però che caratterino. Allora, dicevo, ahi sì! Trinacria. Una bella gatta da pelare.
-Perderanno. Decretò Eros.
-E tu come fai a saperlo? L'altro scrollò le spalle.
-Si sa e basta. Hanno osato troppo.
-E se si riprendessero? Chiese il ragazzo testardo, per comprendere meglio il compagno. Nicolas ancora non capiva come Eros non potesse odiarlo.
-Hanno perso tutto, Angelos, molto gentile da parte tua prendere le loro difese ma sono ufficialmente deboli. Le loro colonie finiranno per cambiare alleanze.
-Lealte non cadrà così facilmente. Disse in tono duro Iael. Lo stupì tutti a tal punto che ormai nessuno stava parlando, tutti lo guardarono colpiti, non aveva mai parlato di politica prima e nessuno aveva pensato che i suoi ideali fossero affini a Lealte.
-Oh pensa il lupo sa parlare. Scherzò Angelos con un sorriso tutt'altro che maligno. Prima che qualcun altro potesse parlare Stephan raggiunse i ragazzi, aveva degli occhi molto chiari e vividi, Nicolas non amava essere studiato da quegli occhi così vividi. Camminò con flemma fino ai loro divani occupati, sogghignò com 'era solito fare e li salutò molto animatamente. Nicolas notò che Denis non lo guardava apertamente, era un vizio che aveva preso negli ultimi giorni e non riusciva a spiegarsi, con molto disappunto notò che anche a Angelos quell'azione non gli era sfuggita.
-Giovani fanciulle, dovete andare a cambiarvi, i preparativi sono quasi pronti.
-Dicci qualcosa Stephan. Lo pregò Pluto, che fin ad all'ora era rimasto in totale silenzio.
L'uomo scosse la testa.
-Lo vedrete con i vostri occhi. La prima lezione insieme non si scorda mai.
-Fra quanto inizia?
-Poco. Dovete cambiarvi tutti quanti però.
-Xenios? Nicolas dovette reprimere un lamento, Denis era ossessionato dal suo maestro, gli conferiva una forza e un appoggio che l'amico non capiva a cosa fosse dovuto. Xenios era una buona persona, socievole e pragmatica ma la sua continua presenza lo infastidiva.
-È dentro. Sapete ragazzi oggi è un giorno speciale ed importante.  Siete tutti dominatori. -Guardò ognuno di loro con intensità, osservando la loro paura, comparandoli l'uno all'altro, divertito- Da oggi qualsiasi cosa che foste prima, muore. Da oggi innanzi, voi sarete non umani, ma dominatori, sarete semidei, sarete signori di un certo podere, da oggi innanzi voi lavorerete insieme e capirete davvero cosa significhi essere una famiglia.
L'ultima parola disorientò tutti i giovani, che si scambiarono sguardo scettici, Nicolas evitò accuratamente di guardare Angelos, anche se era sicuro che l'altro lo stesse osservando, in un moto di sfida Nicolas si mostrò impenetrabile e si alzò dalla sedia.
-Credo sia il momento di andare allora.
Stephan rise sommessamente.
-Apprezzo il tuo atteggiamento giovane, ma non ti fare strane idee, questa non è l'incoronazione, per quella dovrete aspettare l'inizio delle Olimpiadi. No questo è ciò che farete fino al nuovo anno. E sarà duro e difficile.
Nicolas sostenne con difficoltà allo sguardo dell'altro, si sentiva le mani fredde ed il busto caldissimo.
-Cosa faremo? Dopo averli svegliati presto, aver annullato le lezioni mattiniere e aver fatto aspettare tre ore di preparativi in una sala chiusa a chiave, sperava di ottenere delle risposte, ma se c'era una cosa che i maestri facevano bene era la seguente: nascondere i fatti, e dunque Stephan si alzò, gli diede una pacca sulla spalla e gli mormorò con voce calma "Vedrai ragazzo".
Andarono a vestirsi negli spogliatoi in totale silenzio, solitamente era il posto perfetto per ridere con gli altri e deridere gli altri, invece quel giorno camminavano tutti tremanti, indossavano le tutte con movimenti scattanti e rimasero a fissare il vuoto, in cerca di un segno, di coraggio.
Nicolas che si era già vestito non si muoveva davanti al suo armadietto, aveva aura che chiuderlo avrebbe significato affacciarsi a quella lezione.
Denis gli si accostò con calma, anche lui nervoso, Nicolas sapeva che  il suo ginocchio stava tremando anche senza guardarlo.
-Andrà tutto bene. Gli disse con una pacca sulla spalla, cercando di convincere più sé stesso che Denys. Il ragazzo gli sorrise per il gesto, posò la sua mano sulla spalla dell'altro, in un abbraccio incompleto. Annuì con un accenno di sorriso forzato.
-Andrà tutto bene. Ripeté a il suo amico. Si voltò verso tutti gli altri e sorrise loro.
-Okay ragazzi, ora andiamo a fargli vedere di che pasta siamo fatti.

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