Accadde quella notte

La fine dell'anno coincise con quella della mia vecchia vecchia vita, non successe in modo graduale. Accadde di botto.
A dir la verità, fui proprio io a staccare la spina. In una sola settimana avevo affittato la mia casa, venduto la macchina, e lasciato il fidanzato infedele. Sebbene non fossi un tipo da colpi di testa, chiamai la mia migliore amica per avvertirla che stavo andando da lei, quando ero già in aereoporto.
In quell'attimo, tutto mi sembrò perfettamente chiaro. Ero pronta a ricominciare da zero.

«Martina? Sono io» dissi con la voce che mi tremava, mentre mi guardavo intorno al terminale. «Sto venendo a Roma. Spero che quel posto di lavoro sia ancora mio.»
La sentii fare urlettini di gioia. «Viene anche Lucas con te?»
«No.» Rimasi in silenzio, cercando di trattenere un senso di nausea. Ero stata con Lucas per sei anni e, per quanto fossi felice di aver rotto con lui, quell'incredibile svolta nella mia vita mi sembrava ancora surreale. «L'ho lasciato.»

Lei fece un sospiro preoccupato. «Stai bene?»
«Più che bene.» Era vero. Non mi ero resa conto di quanto mi sentissi bene fino a quel momento.
«Penso sia la decisione migliore che tu abbia mai preso» mi disse, poi fece una pausa. «Sbrigati ad arrivare allora, prima che finisca l'anno vecchio!»
Mi morsi il labbro trattenendo un sorriso. «In effetti, sono già in aereoporto.»

Martina emise qualche incomprensibile suono acuto. «Vengo a prenderti così ti racconto i nostri progetti per l'ultimo dell'anno.»

***

«Se non ti metti il vestito color argento, ti uccido» gridò Anna dalla cucina. Lei era l'altro componente del magico triangolo che formavano fin dalle elementari con Martina. Anna ci aveva raggiunto per quella sera di festeggiamenti.
In camera, mi infilai uno striminzito vestito luccicante e guardai quel paio di gambe bianchissime che avrei messo in mostra. Mi odiai per il fatto che il primo pensiero fu quello di chiedermi se Lucas lo avrebbe ritenuto troppo succinto, mentre subito dopo mi resi conto di quanto quel vestito mi piacesse. Dovevo cancellare dalla mia testa tutti quei vecchi rimandi automatici a Lucas, immediatamente. Lanciai uno sguardo allo specchio dove una biondina niente male mi sorrise di rimando.


Il locale era buio e assordante, pieno di corpi che si contorcevano sulla pista da ballo, lungo i corridoi e contro il bancone del bar.
Un dj mixava la musica da un piccolo palco, Martina e Anna sembravano completamente a proprio agio. Io invece mi sentivo come se fino ad allora avessi trascorso gran parte della mia vita tra eventi tranquilli e formali; mi sembrò di essere stata catapultata dalla mia placida vita di provincia direttamente nella quintessenza della Capitale.
Era tutto così perfetto.
Mi feci strada verso il bar – le guance mi andavano a fuoco, avevo i capelli umidi e le gambe mi tremavano.

«Scusa!» gridai, cercando di attirare l'attenzione del barman. Con il locale affollato e la musica così alta da farmi vibrare le ossa, lui non mi aveva nemmeno guardato. «Ehi!» gridai, battendo una mano sul bancone .
«Scommetto che sta facendo di tutto per ignorati, vero?»
Sbattei le palpebre rivolgendo lo sguardo in alto – e ancora più in alto – verso l'uomo schiacciato vicino a me contro il bancone affollato. Era alto quasi quanto una sequoia e lo vidi fare un cenno eloquente al barman.
«Non urlare mai a un barman, dolcezza. Piero lo odia.»

La mia solita fortuna voleva che incontrassi un uomo bellissimo proprio qualche giorno dopo aver giurato di non volere avere più niente a che fare con gli uomini. Cambiai appoggio, in imbarazzo, e lui seguì i miei movimenti. Aveva i lineamenti del viso definiti, la mandibola affilata e gli zigomi scolpiti. Lo sguardo in controluce era intenso, aveva sopracciglia nere e, quando le sue labbra si allargarono in un sorriso, una profonda fossetta comparve sulla guancia sinistra.

Il barman si avvicinò, poi guardò l'uomo di fianco a me, in attesa. L'affascinante sconosciuto alzò appena la voce, ma era così profonda che risuonò senza sforzo: «Quello che vuole la signorina. Sta aspettando già da un po', vero?»
Si girò verso di me rivolgendomi un sorriso che mi provocò un'intensa, sopita sensazione di calore nella pancia.
«Un Multiplo Orgasmo!» Le parole mi esplosero in testa e sentii le vene colmarsi di adrenalina. Volevo sprofondare dalla vergogna.

Lui sorrise, distendendo sul bancone, proprio tra noi due, la mano più bella che avessi mai visto.
Lo guardai più da vicino. Il suo sguardo era cordiale. «Non sembri una di Roma» disse con un sorriso che si affievoliva appena, ma con gli occhi sempre allegri.
«Nemmeno tu.»
«Touché. Sono nato a Londra, poi sei anni fa mi sono trasferito qui.»
«Io sono qui da cinque giorni» ammisi.
Era da così tanto tempo che non guardavo un altro uomo. Di sicuro Lucas era esperto di queste situazioni, io invece mi ero dimenticata come si flirtrava.

Il mio sconosciuto piegò la testa, scrutandomi. «Sei molto dolce. Non sembri una che frequenta spesso questo tipo di luoghi.»
Aveva ragione, ma era così evidente? «Non sono proprio sicura di come prenderla.»
«Prendilo come un complimento. Tu sei la cosa più intrigante in questo posto.»
Si schiarì la gola e rivolse lo sguardo verso Piero, che stava tornando con il mio Multiplo Orgasmo.
«Stai dicendo sul serio? Mi hai appena conosciuto.»
«E ho già una voglia matta di divorarti.» Le parole gli uscirono lentamente, quasi come un sussurro, ma risuonarono nella mia testa come il fragore dei piatti. Era evidente che fosse abituato a quel tipo di approccio – avanzare proposte indecenti senza problemi – e nonostante io invece non lo fossi, quando mi guardò in quel modo sentii che ero pronta a seguirlo ovunque.
Barcollai leggermente di fronte a lui, era come se fossi stata colpita in una volta sola da tutti i cocktail che giravano in quel locale. Lui mi afferrò il gomito, e mi sorrise.
«Tranquilla, dolcezza.»

In un battito di ciglia, ripresi coscienza e i miei pensieri si fecero lentamente più nitidi. «Okay, quando mi sorridi in quel modo, mi viene voglia di saltarti addosso. È da un po' che non vengo trattata come si deve da un uomo.»
Feci un profondo respiro, incrociando il suo sorriso divertito. «Ma non sono mai stata con uno sconosciuto incontrato in un locale, e sono qui con le mie amiche per festeggiare l'ultimo dell'anno, quindi» dissi, prendendo il cocktail «questo è quello che farò stasera.»
Lui fece un lento cenno col capo e il suo sorriso si fece più luminoso, come se avesse appena accettato una sfida. «Okay.»
«Ci vediamo dopo, allora.»
«Chi lo sa.»

Martina e Anna saltellavano intorno a me, cantando a squarciagola, anche loro perse in mezzo alla massa di corpi sudati che ci circondavano.
«Sono felice che tu sia qui!» urlò Martina, cercando di sovrastare la musica.
Ero sul punto di risponderle, gridandole da ubriaca una dichiarazione d'amicizia, quando proprio dietro di lei, nascosto nel buio vicino alla pista da ballo, intravidi il mio sconosciuto. Ci guardammo, e nessuno dei due distolse lo sguardo. Sentii ogni centimetro della mia pelle prendere fuoco, scavando un buco nel mio petto e anche più in fondo. Lui sollevò il bicchiere, bevve un sorso e sorrise. Chiusi gli occhi.

Volevo ballare con lui.

Mi abbandonai al ritmo della musica e al ricordo della sua mano sul gomito,vedi suoi occhi neri e di quella parola 'divorare'.
Aprii gli occhi e lui non c'era più. Dovevo darmi una rinfrescata. Uscii dalla pista da ballo e seguii le indicazioni che portavano al secondo piano, dove una balconata sovrastava l'intero locale. Attraverso un corridoio stretto raggiunsi il bagno. Mi diedi una sistemata.

Una volta uscita fuori finii dritta contro un uomo grande come un armadio. Eravamo stati vicini al bar, ma non così vicini. Non con il mio viso contro la sua gola, non circondata dal suo profumo.
«Ciao, dolcezza.»
«Ciao, sconosciuto.»
«Ti guardavo ballare... »
«Ti ho visto.» Riuscivo a malapena a respirare.
«Perché non sei venuto a ballare con me?»
«Perché ho pensato che preferissi essere guardata.»
«Mi hai immaginato mentre mi eccitavo?»
Sbattei le palpebre.
«Oh!» ansimai. «Tu eri... ?»
Lui allungò una mano, prese la mia e la premette con fermezza in corrispondenza della sua erezione, che già cresceva contro il mio palmo. Senza pensarci, avvolsi le dita intorno.

Lui mi studiò, con gli occhi che gli sorridevano ancora. Le sue labbra invece erano immobili, mentre rifletteva.
«Vieni a casa con me.»
Stavolta mi misi a ridere.
«No!»
«Vieni in macchina allora.»
«No. Non sperare che io esca da questo locale con te.»
Lui si chinò dandomi un leggero, delicato bacio sulla spalla, poi mi disse: «Ho voglia di toccarti.»

Non potevo fingere che non lo desiderassi anche io. Il buio era illuminato da luci intermittenti e la musica era così alta che sembrava deviare il battito del mio cuore. Che male c'era, in fondo, a passare una sola notte sfrenata? Lo condussi oltre i bagni, lungo il corridoio stretto, fino a un piccolo angolo abbandonato che sovrastava la postazione dj. Ci trovammo come intrappolati, appartati dietro un angolo ma non del tutto nascosti. A parte il muro che costituiva il retro del locale, lo spazio intorno a noi era aperto e solo un vetro all'altezza della vita permetteva che non cadessimo sulla pista da ballo sottostante.
«Okay. Ora puoi toccarmi.»
Mi allungai, avvolsi la mano intorno al suo collo, e lo tirai a me. Lui mi assecondò e si abbassò, sorridendo prima che le nostre labbra si incontrassero. Fu un bacio perfetto, delicato e intenso allo stesso tempo. Lo sentii ansimare leggermente quando aprii la bocca per lasciarlo entrare, e quella vibrazione mi mandò a fuoco.

«Sai di zucchero. Come ti chiami?» mi chiese.
«Niente nomi.»
Gli presi la mano e la appoggiai sul mio fianco. L'idea di concedermi a quell'uomo in quell'angolo buio mi spaventava un po', ma non abbastanza da farmi cambiare idea.
Mi voltò, premendomi sul bordo della ringhiera di vetro in modo che potessi guardare dalla balconata la massa dei corpi vorticosi sottostanti. Le luci pulsanti proiettate da travi di ferro che si estendevano lungo il locale, proprio di fronte a me, illuminavano la pista di sotto mentre il nostro angolo lì sopra rimaneva praticamente all'oscuro. Del fumo cominciò a diffondersi da alcuni fori sulla pista da ballo, ricoprendo fino alle spalle le persone che ballavano.

Lui solleticò con le dita il bordo del vestito, poi sollevò accarezzandomi le mutandine, il fondoschiena e in mezzo alle gambe, dove il mio desiderio per lui si faceva sentire di più.
«Sei completamente bagnata, dolcezza. Cos'è che ti piace? L'idea che lo stiamo facendo qui? O pensare a me che ti osservo ballare mentre immagini di scoparmi?»
Non dissi niente, avevo troppa paura di quello che avrei potuto rispondere, ma ansimai quando fece scivolare un lungo dito dentro di me. La mia mente si offuscò mentre pensavo a quello che avrei dovuto fare, e alla noiosa me di prima. La prevedibile me che faceva sempre tutto quello che gli altri si aspettavano da lei. Volevo sentirmi incosciente, sfrenata, e giovane. Per la prima volta nella mia vita volevo vivere solo per me stessa.

Lo sconosciuto ritrasse la mano e io sentii una leggera sensazione di freddo dov'erano prima le sue calde dita. Frugò nella tasca e tirò fuori un piccolo involucro. Un preservativo. A me non era mai venuto in mente di portarmene dietro uno in qualche locale.
Mi voltò e girammo su noi stessi. Mi spinse contro il muro e si chinò a baciarmi, prima dolcemente, poi con più intensità e desiderio. Quando mi sentii sul punto di non riuscire più a respirare, lui si staccò e mi baciò la mandibola, l'orecchio, il collo, lì dove il mio cuore batteva forte. Il vestito mi era scivolato lungo le cosce, ma lui ne aveva afferrato il bordo, sollevandolo lentamente.

«Può arrivare qualcuno» mi ricordò, concedendomi un'ultima via d'uscita, nonostante mi avesse abbassato le mutandine quasi da poterle sfilare.
Non mi importava. Nemmeno un po'.
«Non mi importa.»
Mi sollevò una gamba e l'allargò, esponendo la mia pelle nuda all'aria, poi mi avvolse il ginocchio intorno al suo fianco, e in quel momento ringraziai i miei tacchi alti dieci centimetri. Allungai una mano e gli slacciai i jeans, poi gli abbassai i boxer sul davanti, quanto bastava per liberarlo, e avvolsi la mano intorno alla sua erezione, accostandola a dove ero umida.
«Lasciami fare, dolcezza.»
Aveva i pantaloni slacciati ancora sui fianchi. Da dietro poteva sembrare che stessimo ballando, o forse che ci stessimo solo baciando. Poi quando lo sentii pulsare nel mio palmo, mi resi conto di quello che stava accadendo e ne fui sconvolta. Stava per prendermi, proprio lì, sopra la folla sottostante.

Poi lui era dentro di me, proprio lì in quel posto caotico dalle luci intense con la musica che pulsava forte intorno a noi, e le persone ignare che ci passavano accanto a soli cinque metri di distanza. Eppure, il mio mondo si era ristretto al punto in cui lui era dentro di me, dove ogni sua spinta si strofinava contro il mio clitoride, dove la pelle calda dei suoi fianchi premeva sulle mie cosce.
Non c'erano più parole, solo piccole spinte che diventavano sempre più veloci e potenti. Lo spazio fra di noi si era riempito di gemiti leggeri, avidi e imploranti. Sentii i suoi denti premere sul mio collo e io mi aggrappai alle sue spalle per paura di cadere oltre il bordo o da qualche altra parte, non sulla pista da ballo ma in un mondo in cui avrei potuto continuamente essere esposta e godere nel sentirmi osservata da tutti – soprattutto da quest'uomo.

«Sei bellissima.»
Tirò indietro la testa, guardando in basso e accelerando appena. «Non riesco a smettere di guardare la tua pelle perfetta e il punto in cui mi sto muovendo, dentro di te.»

Io lo vedevo in controluce, intravedevo solo la sua sagoma. Quando abbassai lo sguardo non riuscii a vedere niente, se non ombre scure che mi suggerivano soltanto i movimenti: lui dentro di me, poi di nuovo fuori. Rigido e scivoloso, si spingeva sempre più a fondo.
Mi sollevò anche l'altra gamba, avvolgendole entrambe intorno alla sua vita. Poi, durante quelli che furono istanti perfetti, avvolti dal buio, iniziò a muoversi davvero, con foga e pieno di desiderio. Si lasciò andare ai gemiti più piacevoli che avessi mai sentito e nessuno di noi si chiese cosa sarebbe successo se qualcuno fosse capitato di sopra nei pressi di quel nostro piccolo angolo della balconata. Mi bastò pensare a quello – a dove eravamo, a cosa stavamo facendo, e alla possibilità che qualcuno potesse vedere quell'uomo prendermi con tanta passione – per sentirmi persa. Appoggiai la testa al muro e lo sentii...
Lo sentii crescere dentro di me così tanto, che una fitta acuta mi corse lungo la schiena e poi fuoriuscì attraverso il mio sesso, esplodendo così forte da farmi urlare, senza preoccuparmi del fatto che qualcuno potesse sentirmi. Non dovetti neanche aprire gli occhi per sapere che mi stava guardando mentre mi dissolvevo.

Il movimento dei suoi fianchi si fece più brusco e irregolare, poi venne anche lui con un gemito profondo, conficcando le dita nei miei fianchi.
Potrebbe farmi male, pensai. E poi: spero che mi faccia male.
Avrei voluto un ricordo di quella notte e di quella me, per distinguere meglio la nuova vita che ero determinata a iniziare da quella vecchia.

Lo sentii pulsare dentro di me – come una scossa di assestamento – e io avrei voluto che rimanesse affondato così nel mio corpo in eterno.
La sua mano larga mi accarezzò la gamba dalla caviglia fino al fianco, poi con un leggero lamento si ritrasse, rimettendomi a terra.

Non mi ero nemmeno mai immaginata di fare niente di così folle. Un largo sorriso mi attraversò il volto, mentre le mie gambe tremanti quasi non mi ressero.
Era stato perfetto. Era stato tutto perfetto, ma doveva finire, ora. Nessun nome, nessun legame. Nessun rimorso.


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