4. Il privilegio dei figli
Il privilegio dei figli
I
13 agosto 2337 - La fine di questa storia (quasi)
«Sei accusato di rapimento.» Il capitano Haset Yia abbandonò la scrivania e si avvicinò all'uomo seduto al centro della stanza. «E di aver provocato una sommossa al Mercato dei Fiori.»
L'uomo, sui trent'anni alto e robusto, sollevò appena la testa per guardarla. Silenzio. L'unico suono che riempiva la stanza in penombra era il ronzare asmatico di una specie di ventilatore tecnomagico che in teoria avrebbe dovuto muovere un po' l'aria rovente, in pratica si limitava a esasperare il capitano con un rumore lagnoso. La magia era l'anima del Mediterraneo, dicevano, ma ad Almiressa evidentemente il mondo era un'altra cosa, e tutto ciò che aveva a che fare con la magia tendeva a consumarsi in fretta. Soprattutto nelle strutture designate alla gestione dell'ordine pubblico.
«Ci sono dei testimoni a mio favore, signora, se non sbaglio.» Finalmente si degnava di parlare.
«Sì» ammise lei. Tornò alla scrivania e scartabellò nel caos di documenti, traendone fuori un foglio e sollevandolo fino quasi a toccarlo col naso, finché una delle sue guardie, quella nuova carina della quale scordava sempre il nome, le passò i suoi occhiali. «Ecco. Tredici testimoni affermano che il qui presente Dara Najjar si trovava altrove quando venivano compiuti i crimini di cui è accusato.»
«Questo dovrebbe bastare a scagionarmi, no?»
«Temo di no. Di questi tredici, quattro lavorano in un bordello, sei sono mendicanti del Mercato dei Fiori, due sono bambini che parlano solo urdu e poi c'è quel calzolaio egizio che ha una certa età. Il mio superiore a capo dell'indagine non li considera molto attendibili.»
«E le persone che mi accusano sono attendibili, invece?»
Haset rimase in silenzio, irritata dall'esasperante cordialità dell'uomo (e un po' anche dal dubbio che quel tipo potesse avere ragione.)
«Basterebbe che almeno tu spiegassi il coinvolgimento di...» Tornò a cercare aiuto nelle sue carte. «Un "tizio lentigginoso con gli occhiali", una "donna dall'aria assassina" e un "bambino con un... Pelapatate a vapore in mano"? Che razza di testimonianza è questa? Insomma, l'uomo che ti accusa, il signor Gilles Minet, un commerciante francese, sostiene che hai rapito il suo servitore aiutato da questi tre. Non vorresti parlarmene?»
Se era spaventato, lo nascondeva bene. La guardava con inespressiva cortesia e un'aria di generale noncuranza. Pareva non fosse consapevole di avere i capelli spettinati, la camicia logora, una gonna che a malapena salvaguardava la sua dignità e un taglio sullo zigomo sinistro.
«Vorrei parlargliene, signora, ma il fatto è che il rapimento non è mai avvenuto.»
«Senti, io non ce l'ho con te. Dico davvero. Ma se non ti spieghi, io non posso aiutarti.»
«Non ti sto chiedendo di aiutarmi.»
«Sembri molto tranquillo. Come pensi di uscire da questa situazione?»
Prima che potesse risponderle, una delle sue guardie, quello carino con i capelli tinti di blu del quale scordava sempre il nome, fece il suo ingresso nella stanza e la chiamò da parte.
«Dobbiamo liberarlo.»
«Dobbiamo? C'è un'indagine in corso!» ribatté lei. «Per quale motivo lo liberiamo?»
Lui fece un mezzo sorriso rassegnato.
«Astrid.»
Il capitano Haset Yia sputò la peggior imprecazione dei suoi trentasei anni di vita.
«Quella donna pensa di avere in mano tutta la città!»
«Temo che ce l'abbia per davvero, capitano. L'imputazione di rapimento cade, e per quanto riguarda la sommossa al Mercato dei Fiori, è attribuita a ignoti e verrà archiviata.»
«Non è possibile! Tu hai un'idea del casino che c'è stato ieri mattina al Mercato dei Fiori?»
II
12 agosto - Il giorno della sommossa
Neshi – diciannove anni, soldato della Guardia Cittadina di Almiressa, primo giorno di servizio – guardava lo spiazzo del Mercato dei Fiori impazzito di fronte ai suoi occhi e si ripeteva mentalmente: come, come, come diavolo è potuto accadere?
«Togliti da lì,!» gli urlò Ayana, il suo capo. Una mano robusta gli atterrò sulla schiena, strattonandolo forte. Appena in tempo per spostarlo dalla traiettoria di lancio di un...
«Un pollo? Vivo?» gridò, guardando la sua superiore che roteava la spada infilata nel fodero, cercando di evitare di fare troppo male a quelli che non erano criminali, ma semplici acquirenti del Mercato dei Fiori. Solo che all'improvviso si erano trasformati in una mandria impazzita che urlava e lanciava polli.
Una ragazzina che stringeva al petto un cestino gli si parò davanti, i grandi occhi scuri colmi di spavento. Neshi le fece cenno di avvicinarsi, per proteggerla da disastro. Quella infilò una mano nel cestino e ne tirò fuori una manciata di polvere rossa che gli lanciò in faccia, prima di sparire. Lo stupore durò meno di un secondo, subito sostituito da un bruciore insopportabile.
«Ma perché ce l'hanno con noi?» gemette, strusciandosi le mani polverose sugli occhi, e ottenendo solo di peggiorare la situazione. «Li stiamo proteggendo!»
«Sì, ma da cosa?» Ayana gli posò una mano sul braccio. «In teoria c'era una rissa al Mercato dei Fiori. Ma quando siamo arrivati qui, siamo diventati il bersaglio... Abbassati!»
Lui obbedì e qualcosa gli passò a un soffio dalla testa. Ringraziò tutti gli dei in rapida successione e preferì non chiedere ad Ayana cosa avesse rischiato di cozzare contro il suo cranio.
«Neshi, dobbiamo andarcene da qui! Torniamo alla nostra postazione in via dei Nastri! Fanno apposta per distrarci, stanno di sicuro nascondendo... Oh, merda, attento!»
Questa volta non fu abbastanza rapido. La cosa che gli arrivò in piena faccia era appiccicosa e pesante. Crollò a terra con un lamento, mentre Ayana un po' imprecava, un po' rideva.
Quando si riprese, intontito e ancora mezzo impiastricciato di resti di frutta secca grondante miele (l'avevano atterrato con una torta. Una cosa da non raccontare), la situazione si era calmata. C'erano guardie ovunque e si poteva andare in giro senza rischiare assalti di generi alimentari animati o meno. Un europeo vestito di rosso e carico di gioielli sbraitava contro il capitano Haset Yia. Una donna e un giovane biondi e benvestiti annuivano e gesticolavano. Il capitano tentava di calmarli mentre alcune guardie raccoglievano testimonianze.
Al tramonto Neshi era ancora in caserma, a ripetere la sua versione della storia, mentre Ayana gli forniva costantemente rimedi per gli occhi che continuavano a bruciare.
«Come mai questo caso sembra la cosa più importante del mondo? Non si sa nemmeno se qualcuno sia stato davvero rapito!» chiese ad Ayana, quando ebbero un attimo di respiro.
«Perché c'è un ricco imprenditore francese che accusa un cittadino di aver rapito il suo servitore» borbottò lei, slacciandosi un paio di cinture dalla complicata imbracatura di cuoio che proteggeva il petto dei poliziotti di Almiressa.
«E da quando in qua ci piacciono così tanto gli europei?»
«Da quando fanno affari con la compagnia di trasporti del governatore. Ah, comunque è appena arrivata la notizia che l'hanno preso al Molo Ovest.»
«Il presunto rapito o il presunto colpevole?»
«Il colpevole. Si chiama Dara Najjar. È quel siriano che abita su una nave, insieme a uno scienziato, un tipo solitaro con i capelli rossi. Li conosci di sicuro: un paio di volte hanno riparato il sistema di illuminazione della caserma.»
«Credo di aver capito chi sono. Mi erano sembrati così gentili. Insomma, allora è confermato che il casino al Mercato dei Fiori è stato messo su per farlo scappare da via dei Nastri?»
«Sembrano tutti piuttosto sicuri di sì, ma lui non ha ancora confessato niente. Pare si fosse nascosto alla Mensa dei Poveri, prima.»
III
12 agosto - La mattina della Mensa dei Poveri
Bouchra era abituata a trovarsi Dara fuori dalla porta: veniva per riparare utensili o pezzi della struttura precaria che ospitava il rifugio dei più poveri di Almiressa. In genere veniva di buon'ora, accompagnato da una delle tre persone con cui viveva a bordo di una nave: Mirick, lo scienziato con i capelli rossi, Adi, la donna muta ed efficiente, e Aurel, un bambino cortese e intelligente. Su di loro e su cosa li tenesse insieme se ne dicevano tante. Dara si riferiva agli altri tre come alla sua famiglia, indignandosi se qualcuno provava a mettere in dubbio quella definizione.
Certo, non era mai arrivato all'alba, affannato, accompagnato da uno sconosciuto. E in mutande.
«Oh, per l'amore di quel che è buono e giusto, perché sei in queste condizioni e che succede?»
«Bouchra, ti prego: possiamo rimanere un po' qui? Ci inseguono.»
«Chi vi insegue?»
«Cacciatori di taglie pagati da uno stronzo» rispose lui, accasciandosi su una panca del grande refettorio. «Cazzo, sono due ore che corriamo, e non riusciamo a perderli! Sono gente di qui: conoscono la città quanto me e prevedono tutto quel che faccio per staccarmeli.»
«Per favore, abbassa la voce. Ci sono dieci persone che dormono nella stanza accanto.» Si accorse che l'altro, un giovane biondo e magrolino, con addosso una stratificazione di vestiti ben poco adatti al clima locale, era rimasto in piedi. «Puoi sederti dove vuoi, sai. Ci sono ventiquattro panche. E anche delle sedie. Va bene anche il pavimento, se ti piace di più.»
Lui obbedì, piazzandosi in un angolino in punta di panca, accanto a Dara.
«Perché vi inseguono?» domandò Bouchra. «La taglia è su di lui o su di te?»
«Su tutti e due, a questo punto. E poi ci sono le guardie. Sostengono che l'ho rapito.»
«Dara, io mi sono sempre fidata di te, ma devo proprio chiedertelo: mi giuri che non stai facendo niente di male?» gli disse lei, sedendoglisi di fronte. Aveva imparato a far leva sulla morale (un po' peculiare, in verità) di quell'uomo e sapeva che su certe cose non mentiva.
«Te lo giuro.»
«Potrei chiedere a qualcuno dei nostri ospiti di creare un po' di innocua confusione al Mercato dei Fiori, in modo da attirare lì la polizia. Così avreste via libera.»
«Sarebbe perfetto.»
Bouchra sparì nei magazzini, dove recuperò una caraffa di succo di melograno, una manciata di datteri e una gonna arancione.
«Vediamo di darti una parvenza di decoro. Che fine hanno fatto i tuoi pantaloni?»
«Sono saltato giù da una finestra, sono rotolato su un mucchio di ferraglia e li ho distrutti. Mi impicciavano a correre, così me li sono tolti. Il pudore ora è l'ultimo dei miei problemi.»
«Il pudore è sempre l'ultimo dei tuoi problemi. Non ho altro della tua taglia. Prendiamo quel che la gente ci regala, lo sai.» Gli lanciò la gonna arancione, che lui guardò con ammirevole tranquillità. «Nessun problema.» Se la mise senza battere ciglio. «Senti, dobbiamo aspettare tanto? Perché non sono molto tranquillo, non vorrei portare guai a questo posto, e...»
«Che la misericordia di Allah mi dia la forza di arrivare in fondo alla giornata» sospirò lei. «E di sopportare la visione di te in gonna. Non ti agitare e abbi un po' di pazienza: ti ho detto che la mia idea può funzionare. Mentre aspettiamo, raccontatemi cos'è successo. Da che finestra siete saltati?»
«Bouchra, io te lo dico, ma tu promettimi di non farmi una ramanzina delle tue, eh?»
Lei tamburellò le dita sul tavolo e cercò di comunicargli la sua disapprovazione tramite un'occhiata.
«Era per caso la finestra di un bordello?»
IV
11 agosto - La notte dell'assedio alla Casa delle Perle
«Tu sei uno scriteriato senza un minimo di cervello!» Raramente Ellissa era stata così infuriata con un amico. «Come ti è venuto in mente di entrare qui? Non lo sai che è un posto delicato? Devo proteggere i miei ragazzi e le mie ragazze, oltre che la privacy dei miei clienti!»
Lui annuì. Seduto sul divanetto fucsia, con la testa tra le mani, era decisamente molto diverso dall'uomo rilassato e gentile che frequentava abitualmente la Casa delle Perle, il cliente preferito di tutte e tutti, comprensivo e premuroso. Le dispiaceva vederlo in preda all'agitazione e non avrebbe voluto urlargli contro in quel modo. Certo, magari lui avrebbe potuto pensarci due volte, prima di portare nel suo bordello un tizio inseguito dalla polizia e dalla feccia di Almiressa...
«Se ci rimettono i miei impiegati o i miei clienti, giuro che me la paghi!» esplose di nuovo, continuando a girare per la stanza, agitando le lunghe maniche di velo della sua veste rossa.
«Non credo che lo cercheranno qui.»
«Invece sì, perché è con te. Sei più conosciuto di quel che credi. Tu e i tuoi amici attirate l'attenzione. E ad Almiressa trovi sempre chi è disposto a pugnalarti alle spalle, se può guadagnarci.»
Dara non rispose, limitandosi a lanciare un'occhiata ansiosa all'altro, che se ne stava muto e rigido su una poltrona, premendosi debolmente un panno imbevuto di infuso medicinale su un brutto taglio al labbro. Doveva avere una ventina d'anni. Aveva la pelle bianchissima, arrossata dal sole di Almiressa. I capelli erano biondi, gli occhi verdi. Indossava camicia, calzoni neri, gilet scuro e stivali: abbigliamento pessimo per l'estate della costa nordafricana.
«Adrien, giusto?» gli chiese Ellissa, addolcendo il tono. «Di dove sei?»
«Marsiglia.»
«Vedi di tirarti su, eh? Te la caverai.»
«Mi riprenderanno, invece. Lo so. Non sarei dovuto fuggire. Forse dovrei tornare indietro, chiedere scusa...»
Qualcuno bussò alla porta. Ellissa uscì a sentire cosa succedeva e si trovò davanti Silvano nel panico.
«C'è un branco di gentaglia qui fuori. Sono almeno in otto, armati. Dicono che stiamo dando rifugio a due tizi su cui c'è una bella taglia. Abbiamo serrato le porte, ma temo che non basti.»
«Oh, merda! Dobbiamo trovare un modo per far scappare quei due.»
«Ehi, aspetta. Stiamo davvero dando rifugio a due fuggitivi? E perché?»
«Perché uno dei due è Dara, e ha delle buone giustificazioni per questo casino. Sta aiutando qualcuno, e non possiamo lasciare che li prendano.»
Silvano annuì, più per una sua predilezione nei confronti di Dara che per la motivazione altruistica, probabilmente.
«Se solo avessimo un modo per disperdere questi balordi...»
«Aspetta.» Ellisa sorrise. «Abbiamo ben tre membri delle forze dell'ordine al piano di sopra. Possiamo invocare un loro intervento. Dirò loro di fingere di aver appena perquisito l'edificio e di non aver trovato nulla.»
«Dici che lo faranno?»
«Spero che di tre, perlomeno uno si riveli migliore della media delle guardie di questa città. Altrimenti c'è sempre il ricatto.»
Mezz'ora dopo il gruppetto davanti alla porta della Casa delle Perle era stato disperso, e Dara e Adrien erano fuggiti dalla finestra.
«Si può sapere perché Dara e quel tizio hanno alle costole mezza città?» domandò Silvano, riempiendo di rum per la terza volta il bicchiere di Ellissa.
«Perché quando Dara incontra qualche caso disperato, smette di ragionare.»
V
11 agosto - La sera della fuga
Adrien era abbastanza abituato all'umiliazione, ma quando accadeva in mezzo a una folla di sconosciuti, e senza averla meritata, era un po' più difficile da sopportare.
Camminava pigiato tra il signor Minet e sua moglie, mentre alle sue spalle Pierre, il loro segretario, blaterava cose di poco conto. All'improvviso c'era stato un movimento di gente e lui si era ritrovato da solo, in mezzo al caos colorato e rumoroso di una piazza sconosciuta, in quella città sconclusionata. Non era durata molto, quella sensazione esaltante di essere solo e libero. Dalla folla era emersa l'inconfondibile manica rossa adornata d'oro di Gilles Minet. La mano rude del suo padrone gli si era chiusa attorno al polso. L'odioso segretario l'aveva bloccato con una stretta ferrea sulle spalle. Addirittura la signora Minet aveva tirato fuori la ridicola pistola che suo marito le aveva regalato, e ora gliela puntava contro, felice di poterla sfoggiare per qualsiasi occasione in cui era perfettamente inutile.
«Dove pensavi di fuggire?» aveva ringhiato Minet, stringendo forte fino a fare male.
«Sei un bimbo piccolo che si perde nella folla?» Ci si era messa anche la signora, agitando l'arma in maniera che sarebbe stata quasi comica, in un altro momento (e provocando un certo batticuore ad Adrien, che ne conosceva le scarse capacità con qualsiasi cosa più complessa di un cucchiaino.)
«Non volevo fuggire, è solo che...» aveva risposto, e forse avrebbe aggiunto qualcos'altro, se la mano di Gilles, carica di pesanti gioielli, non fosse scattata a colpirlo sulla bocca.
«La tua incompetenza si sta rivelando deleteria, in questo viaggio! Già devo occuparmi di un affare complicato. Se almeno avessi un servo con un cervello funzionante...»
Adrien aveva serrato gli occhi per non vedere le facce degli sconosciuti attorno a lui.
«Modera i toni e chiedigli scusa.»
Riaprì gli occhi: ad aver parlato era un uomo molto alto e grosso. Minet si voltò come una furia, pronto a tuonare contro lo sconosciuto che si era permesso di rivolgerglisi così – in un francese perfetto, tra l'altro.
«Tu chi sei e cosa vuoi?»
«Voglio farti presente la tua immensa maleducazione e informarti che andrò da quel poliziotto laggiù, denunciandoti per aver aggredito una persona.»
«Se mi parli di nuovo con quel tono, chiunque tu sia, giuro che ti sparo!»
«Libero di provare a spararmi, in una piazza piena di gente.»
Minet squadrò lo sconosciuto con la sua abituale aria arrogante.
«Davvero la marmaglia da porto come te mi dà degli ordini? Ritira quel che hai detto, prima che... Ah.» Fece una specie di sogghigno soddisfatto, quel genere di verso che Adrien gli aveva sentito emettere ogni volta che prendeva coscienza di una debolezza dei suoi partner commerciali. «Capisco.» Avanzò verso lo sconosciuto e indicò una delle mani dell'uomo, anche se non si arrischò a toccarlo. «Questi non li puoi nascondere» disse Minet, indicando i tatuaggi sul dorso. Adrien all'improvviso capì. D'istinto lo sguardo gli scese sulle proprie mani: c'erano gli stessi simboli, dei cerchi concentrici. Un segno che la legge di vari stati europei imponeva a coloro che erano condannati ai lavori forzati.
«Ho sempre pensato che fosse una buona idea» disse la signora Minet. «La legge vi segna come persone pericolose. In questo modo la gente perbene sa con chi ha a che fare.»
«Fatemi indovinare» disse l'uomo. «Quel ragazzo si è indebitato con voi e un giudice l'ha condannato a lavorare per voi fino a che non avrà ripagato quel che vi deve.»
«La conosci bene la procedura, eh?» disse Pierre.
«La conosco bene, sì.» L'uomo spostò lo sguardo su Adrien. «In ogni caso, ad Almiressa non puoi picchiare un uomo senza subirne le conseguenze, anche se è condannato a servirti.»
«Gilles, posso sparare a questa persona noiosa?» domandò la signora Minet. «Ci sta facendo la morale. La trovo una cosa seccante, soprattutto da parte di uno che probabilmente è un criminale che è qui solo perché è scappato dai suoi padroni!»
«Non sono scappato» rispose l'uomo, tranquillo. «Ho estinto il mio debito. Però...»
Lo sconosciuto guardò Adrien e poi lanciò un'occhiata alla sua sinistra, come per invitarlo a guardare. Adrien si accorse che accanto all'uomo c'era un tizio con i capelli rossi e gli occhiali, che impugnava una cosa piena di ingranaggi e lucine, puntata contro Minet. Dietro di lui c'era una donna alta, che si rigirava un pugnale tra le dita con aria apparentemente distratta. Non sembrava malintenzionata, ma faceva paura lo stesso. Insieme a lei c'era un bambino che stringeva tra le mani un altro affare misterioso e minaccioso.
«Sapete una cosa?» disse lo sconosciuto. «Se avessi avuto l'occasione giusta, se per esempio mi fossi trovato in una città straniera e piena di opportunità, sarei scappato.»
Adrien riconosceva i suggerimenti dal Cielo, quando ne sentiva uno. Ebbe circa un millesimo di secondo per decidere. Sferrò una gomitata a Pierre, evitò la signora Minet e cominciò a correre.
Si voltò indietro solo un istante, giusto il tempo di vedere i quattro stranieri che si frapponevano tra lui e Minet, per proteggere la sua fuga. Continuò a correre e correre, zigzagando tra la gente, euforico e terrorizzato, maledicendosi per il suo coraggio, maledicendosi per la sua paura.
Poi all'improvviso si accorse che qualcuno correva con lui.
«Forza!» gli intimò l'altro. «Dobbiamo trovare un rifugio! Qualcuno ci aiuterà.»
«Ma chi vuoi che ci aiuti?»
VI
13 agosto - La fine di questa storia (per davvero)
Seduto sulla panca scomoda della cella, ascoltava i passi concitati fuori dalla sua porta, chiedendosi chi avrebbe visto, una volta aperta. Di sicuro non si aspettava lei in persona.
«Ti regalerò un libro interessante. La legge per evaderla. L'ha scritto una mia amica, una ladra londinese. È fondamentale, se vuoi sopravvivere ad Almiressa facendo l'eroe ed evitando l'arresto.»
«Ciao, Astrid.»
La donna gli si piazzò davanti, alta, formosa, profumata, involta in un eccentrico abito viola e ricoperta di nastri e gale. Si appoggiava a un bastone di legno bianco con fregi d'argento con la mano sinistra, mentre con la destra reggeva un parasole di pizzo candido. Chi la vedeva per la prima volta stentava a credere che fosse una delle persone più ricche del mondo. Una mercante che controllava una quantità spaventosa di traffici, legali e meno legali. L'ennesima persona per cui Dara aveva lavorato e che poteva annoverare tra le sue conoscenze significative.
«Dara Najjar, tuttofare di Almiressa e vecchio amico» gli disse lei, chiudendo l'ombrellino con un gesto elegante e appendendolo allo stringivita bianco. «Era qualche tempo che non facevo affari con te e il tuo equipaggio. Avrei preferito incontrarti sulla tua nave e non in una prigione.»
Nonostante il sorriso, gli occhi azzurri restavano indecifrabili dietro la veletta bianca appesa a un cappellino in equilibrio sui boccoli biondi.
«Spero di non averti causato troppi guai, Astrid.»
La bella bocca di lei prese una piega acida. Gli cacciò le dita sotto la camicia e ne trasse fuori la catenina con la croce che portava sempre. Gli prese una mano e lo obbligò a stringere la croce.
«Ora ringrazia Dio in tutte le lingue che sai, Dara. Mi pare che siano almeno sei. Comincia.»
Ogni traccia di amichevolezza era sparita dal viso altero di Astrid. Gli occhi azzurri erano più taglienti delle sue parole. Dara serrò la croce tra le dita e tacque.
«Hai fatto? Bene. Adesso ringrazia me. Scegli la lingua che preferisci: una basterà.»
«Grazie.»
«Hai idea del casino che ho dovuto fare, per insabbiare tutto? Sono potente, ricca e tengo in pugno gran parte della polizia, ma non mi va di spendere tempo e risorse solo perché tu perdi la lucidità di fronte al primo derelitto che ti trovi davanti!»
«Mi dispiace.»
«Lo spero bene.»
«Non ti avremmo disturbata se non fossimo stati davvero nella merda. Ci sappiamo muovere in città, ma stavolta la situazione era diversa. Il padrone del ragazzo aveva messo una taglia su di lui, dopo avermi denunciato alla polizia. Nel giro di due ore la peggior gente di Almiressa ci inseguiva.»
«Sai com'è Almiressa. C'è sempre qualcuno che spera di guadagnare sulla sofferenza degli altri.»
«Tutto il mondo è così.»
«Esistono le forze dell'ordine. In teoria, dovrebbero tenere ordinato il mondo. O la città.»
«Andiamo, Astrid: quando mai le forze dell'ordine servono a qualcosa? Quelle di Almiressa vincono il premio come guardie più corrotte del Mediterraneo!»
«No, non esagerare. Non hai mai provato a corrompere quelle di Smirne.»
«Hai capito cosa voglio dire.»
Lei sospirò e prese ad avvolgere un boccolo attorno a un dito rivestito di pizzo bianco.
«Ho capito, sì. Il mondo è malato e pieno di gente cattiva. Feccia da porto in cerca di soldi facili, o padroni crudeli che abusano dei loro servi. E allora, amico mio, cosa dovremmo fare?»
«Sperare che le brave persone si alzino in piedi e facciano qualcosa.»
«Oh, Dara, altro che alzarsi in piedi e fare qualcosa! Tu hai buttato all'aria mezza città per aiutare uno sconosciuto. Sei delizioso!» Fece una risatina, che comunque non bastò a dissipare del tutto l'aria gelida che la donna aveva portato nella stanza. «Ma che bella gonna...»
«I miei pantaloni si sono distrutti durante la fuga.»
«E questo?» Astrid gli toccò con poca delicatezza il taglio sullo zigomo sinistro rigonfio.
«Uno dei cacciatori di taglie mi ha bloccato a due passi dalla Casa delle Perle. Sai quanto faccio schifo a lottare. Per fortuna Adrien è stato rapido e gli ha tirato addosso un arcolaio a vapore.»
«Ricapitolando: fuga in Piazza delle Candele, rifugio nel bordello di Ellissa, corsa fino alla Mensa dei Poveri, dove immagino che quella povera donna di Bouchra vi avrà nascosto, e poi...»
«Volevamo tornare alla nostra nave. Ma Mirick, Adi e Aurel ci hanno fermati a due passi dal Molo Ovest. Ci hanno detto che erano tutti lì ad aspettarci, tagliagole e poliziotti. Rischiavamo grosso anche solo ad avvicinarci alla nave.»
«Per fortuna la tua famiglia ha un po' di buonsenso. Insomma, a questo punto avete deciso di disturbare me.»
«Sì. Ma prima dovevamo calmare la situazione. Così mi sono fatto arrestare, in modo da tranquillizzare per un po' il padrone di Adrien. Le guardie hanno avvertito Gilles Minet, che ha messo buoni i cacciatori di taglie. Era sicuro che la polizia mi avrebbe fatto confessare dove si trovasse Adrien, quindi non aveva più bisogno di loro. Non credo nemmeno che gli importi molto di Adrien: era una questione di puntiglio.»
«Ho capito il tipo. Proprio quelli che ti fanno perdere la testa. Ricchi, snob, crudeli senza motivo e convinti di dominare il mondo. E mentre tu facevi il martire in galera, i tuoi amici hanno smosso mezza città per contattarmi. E io, che sono una signora magnanima, mi sono prestata alla corruzione per farti scagionare. Hai un grosso debito con me, Dara. Non potevi lasciar perdere? Non puoi liberare tutti gli schiavi del mondo! Pensa se decidessi che devo andare a liberare ogni donna che...»
«L'ho aiutato perché era la cosa giusta da fare. Certo, il fatto di sapere cosa stava passando mi ha dato una spinta in più...» Astrid fece un sospiro e andò a sederglisi accanto. Storse un po' il naso e si scostò di un palmo. «Sì, Astrid. Non sono pulito. Non ho avuto molto tempo per l'igiene, in questi giorni.»
«Come ti è venuto in mente di suggerirgli di scappare?»
«Ha attirato la mia attenzione perché ho notato i segni sulle sue mani. Ho capito che era condannato a servire quell'uomo orribile. Poi ho visto Minet che lo maltrattava e non sono riuscito...»
«Non sei riuscito a lasciar perdere. Già. È più forte di te.»
«Devi continuare a rinfacciarmi la mia avventatezza?»
«Sì. Mi hai scomodata, e ora ti becchi tutta la mia solenne disapprovazione.»
Lui annuì. Non aveva le forze per ribattere. Mezz'ora di conversazione con Astrid era stata più estenuante che due giorni di fuga e una notte in prigione.
«E non fare quella faccia depressa!» sbuffò lei. «Visto che stavolta te la sei cavata, goditi la vittoria. Hai liberato quel ragazzo e hai dimostrato la tua teoria.»
«La mia teoria?»
«Le brave persone a volte fanno qualcosa. Tu sei uno che non guadagnerebbe mai sulla sofferenza altrui. Tu e i tuoi amici siete generosi, e la gente di Almiressa lo sa.»
«Infatti avevamo mezza città che ci inseguiva. La gente di Almiressa ci ha venduti senza problemi al padrone di Adrien e ha cercato di catturarci per intascare la taglia.»
«Ma l'altra mezza città vi ha salvato il culo.» Si fermò per un istante a fissarlo, seria, con lo sguardo che comunicava rabbia quieta e una punta di disprezzo. «Non ti facevo così ingrato. Sempre a denunciare le ingiustizie, sempre a pensare solo agli uomini cattivi.»
«Io non ho detto...»
«Ascoltami bene. Quando sei potente come me, puoi comprarti tutti quelli che vuoi. Quando sei generoso come te, puoi solo sperare che di tutti quelli che hai aiutato, qualcuno se lo ricordi. Di solito se ne ricorda uno su dieci. A volte uno fa la differenza. Pensa a quanti hanno deciso di darti una mano. Ellissa, Bouchra, tutti quelli che hanno agitato il Mercato dei Fiori. Persino il capitano Haset Yia era dalla tua parte. Tenetevela buona: è un raro caso di poliziotto onesto. E poi... Io.»
Dara abbassò la testa, sentendosi invadere da un misto di senso di colpa e gratitudine nei confronti dell'universo. Astrid si avvicinò per dargli un bacio – proprio sotto l'occhio sinistro.
«Vieni, andiamo a casa. Partite subito, state via qualche mese. Fate dimenticare questo episodio. Date al padrone di Adrien il tempo di rassegnarsi. Poi potrete tornare. Siete stati adottati da Almiressa e avete il privilegio dei suoi figli. Troverete sempre accoglienza, qui.»
Quando finalmente poté salire a bordo della Nour, gravato da una marea di pensieri confusi e dalla stanchezza che alla fine si faceva sentire prepotente, fu accolto da Adi, rilassata e sorridente come se gli ultimi tre giorni non fossero mai avvenuti.
Il tuo amico Adrien è simpatico, gli comunicò telepaticamente la donna, conducendolo sottocoperta. Stavamo pensando di fare un cambio: lasciarti qui e prendere lui al tuo posto.
«Grazie, Adi. Molto carina.»
Ora vai a lavarti. Ne hai bisogno.
«Scusa se due giorni a correre per la città non ti lasciano esattamente pulito, eh.»
Prese la strada per la sua cabina, ma la voce di Adi gli rimbalzò tra i pensieri, insolitamente dolce.
Hai fatto una cosa buona. Sono fiera di averti aiutato.
Si voltò a sorriderle.
Dalla sala comandi emerse Mirick, seguito da Adrien, con la sua solita aria smarrita, ma un po' più tranquillo.
«Partiamo subito» disse Mirick. «Non preoccuparti, Adrien: a breve sarai completamente fuori pericolo. Avrai tutto il tempo che vorrai per riposarti e decidere cosa fare della tua vita.»
«Grazie di tutto» mormorò Adrien, a disagio. «Grazie, Dara. Vi siete messi nei guai per me.»
«Avrai modo di ripagarci. Adi ti troverà sicuramente qualcosa di antipatico da fare, a bordo.»
In quel momento Aurel spuntò da una delle cabine: sotto il ciuffo di riccioli scuri, gli occhi grandi e seri del bambino erano puntati sul nuovo arrivato a bordo. Gli fece cenno di seguirlo e lo accompagnò al posto che gli era stato preparato sulla piccola nave.
Dara rimase solo con Mirick.
«Tu» sospirò l'altro, passandosi una mano tra le ciocche rosse. «Tu finisci sempre per farti male nei modi più creativi.»
«Scusami. Ma non è andata così male, dai.»
«Certo. Due giorni di fuga e una notte in prigione. Ma poteva andare peggio.» Gli si avvicinò e passò le dita sul viso di Dara, per controllare i danni. «A parte questo zigomo malridotto, c'è altro che ti devo curare?»
«Qualche livido, forse. Sto bene.»
«Riusciremo un giorno ad aiutare le persone senza rischiare le nostre vite, soprattutto la tua? No, vero? Ormai dovrei saperlo che gli equilibri di questa famiglia si basano sulla scienza e sui salvataggi temerari e improbabili.»
«Grazie per avermi...»
«Supportato nel tuo piano impulsivo e pieno di falle evidenti?»
«E dai...»
Finalmente l'aria accigliata di Mirick si sciolse in qualcos'altro.
«So che te la sai cavare. Mi fido di te come di nessun altro, ma... Non puoi impedirmi di essere molto angosciato, quando ti butti in quel modo in mezzo al pericolo.» Sollevò di nuovo la mano e tornò a posarla sul viso di Dara, ma stavolta era uno dei suoi timidi gesti di affetto. «Riposati e cerca di stare bene.»
VII
14 dicembre - Dopo la fine di questa storia
Adi guarda il profilo conosciuto della città che li ha presi come figli. Nella notte, Almiressa che si avvicina è una sicurezza fatta di luci e di sagome familiari.
Astrid ha mandato notizie: nessuno quasi ricorda più quei due giorni di follia a metà agosto. Le uniche che forse lo rammentano sono Ellissa e Bouchra, ma tanto sarà facile farsi perdonare da entrambe. Possono tornare senza problemi.
Adi vuole bene ad Astrid, anche se a volte le fa paura tutto quel potere nelle mani di una persona sola. Astrid è affidabile e ha un certo senso etico, ma resta sempre una ricca e scaltra mercante che cammina costantemente sull'orlo tra legale e criminale. Ma a volte hanno bisogno di lei, per combinare qualcosa di buono. Per esempio, rivoltare un'intera città per aiutare un uomo disperato.
Adrien è stato quattro mesi con loro, una presenza gentile con un senso dell'umorismo sorprendentemente arguto. Sono emersi particolari della sua storia che li hanno convinti ancora di più di aver fatto bene a farlo fuggire. L'hanno visto riacquistare sicurezza e serenità e se ne sono presi un po' il merito. Adi sostiene che sia giusto essere orgogliosi, quando si è bravi in qualcosa.
Si sono fermati a Siracusa per costruire un sistema di riscaldamento per una locanda sul mare e Adrien è rimasto lì con Caterina, una delle figlie dei locandieri. Per Adi è una cosa seria – e lei ha un certo occhio per queste faccende. Quando passeranno di nuovo da Siracusa sapranno di avere un amico, lì.
La Nour attracca. Almiressa, la madre, li saluta con le sue luci insonni e irriverenti, e Adi si sente bene, euforica e carica di memorie piacevoli di questi mesi di viaggio, e allo stesso tempo nostalgica di casa, una casa che ora è proprio lì davanti agli occhi.
La nave si muove dolcemente, rispondendo ai comandi di Mirick. Aurel sta dormendo. Dara invece è da qualche parte sul ponte della nave. Adi non lo vede ma sa che c'è: ne riconosce il rumore dei movimenti un po' pesanti, e le sembra di intuire l'aria di allegria pensosa che si porta sempre dietro.
Pensi di poter aspettare qualche mese, prima di ricominciare a combinare casini?, gli chiede. Vorrei godermi un po' la città.
La risposta è un tocco leggero sulla spalla, e una risata ancora più leggera.
«Ci proverò. Tu aiutami, però.»
Certo che ti aiuterò. Tutti ti aiuteranno, Dara. È la città che ci aiuta.
«E ci incasina.»
A volte. Ma è un posto a modo suo, lo sai. I suoi figli peggiori sono i suoi preferiti. Non c'è niente di cui avere paura.
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