Capitolo 1





Il profumo della pioggia appena scesa mi invade le narici. Di solito adoro il freddo ed il bagnato ma, questa mattina, tutto ha un sapore così diverso. Immagino che vi starete chiedendo il perché. Ho la netta sensazione che da questo momento la mia vita cambierà. Il mio mondo, tutto ciò che ho costruito, e in cui ho creduto, verrà cambiato nel giro di pochi secondi.
Uno schiocco di dita e tanti saluti.

Mi giro a pancia sotto, con la faccia schiacciata contro il cuscino, e provo a trattenere il respiro.

Ma se morissi così?

Sveglia, Olivia! Non essere ancora più patetica del normale.
Sbuffo, poi mi giro a guardare il grande quadrante sul comodino: non mi sono mai svegliata prima dell'alba. Conto i minuti che passano insieme alla lancetta e, quando capisco che tanto non posso tornare indietro nel tempo, decido di alzarmi e farmi una doccia gelida. Magari in qualche modo riuscirà a calmare i miei nervi tesi.

«Olivia Anderson! Sei pronta o devo salire a controllare? Il taxi sarà qui a momenti!» grida mia madre dal piano di sotto.

È così agitata per il nostro trasferimento.

Da poco ha finalmente conosciuto un uomo che, dopo mio padre, è riuscito a renderla felice. Quindi, da oggi, ci trasferiremo a casa sua. Cosa succederà ora? Che fine farò? Mi osservo allo specchio ancora appeso al muro e, avvicinandomi un po', studio le mie enormi occhiaie: quasi non mi riconosco.

Mi passo un dito sotto gli occhi e poi, scrollando le spalle, mi avvicino alla porta della camera aprendola quel che basta per farmi sentire. «Sono pronta, devo solo sistemare alcune cose!» le rispondo, alzando un po' la voce in modo che mi senta.
Giuro, sono contenta per lei, però odio l'idea di dover abbandonare la scuola proprio a metà del semestre. L'ho scongiurata di aspettare almeno la fine dell'anno, ma niente. Non ha voluto sentir ragioni. E così siamo arrivati al motivo del mio malessere: una città nuova, una casa nuova, delle persone nuove. Non mi sono mai piaciuti i cambiamenti. Un'altra delle tante cose che ho ereditato da mio padre. Mi concedo ancora un momento seduta sulla cassapanca vicino alla finestra. Scosto la tendina bianca ed osservo la casetta per uccelli, che avevo costruito a cinque anni, adagiata sul ramoscello più alto dell'albero. Beh, non era stata creata da me sola. Mia nonna e mio nonno mi avevano aiutata a procurarmi tutto il necessario. Addirittura avevano girato un centinaio di falegnamerie e negozi di bricolage per trovare i colori adatti e gli utensili giusti. Poi, con l'aiuto di mamma e papà, era stata assemblata, pezzo dopo pezzo. Mi ricordo che c'è stato un periodo da bambina in cui passavo ogni momento libero della giornata inginocchiata davanti a questa finestra, speranzosa che qualche uccellino entrasse nella stanza. Per mesi non è accaduto. Poi, mi sono svegliata una mattina sentendo cinguettare, e loro erano là: almeno tre passerotti pasciuti e colorati svolazzavano e facevano a turno per entrare canticchiando. Uno dei giorni più belli della mia vita che, oggi, mi stanno strappando via.

Una volta messa la mia ultima maglia in valigia, è arrivato il momento di chiuderla. Tirare quella dannata cerniera significa perdere. Ogni cosa racchiusa qui dentro non sarà mai abbastanza.

Inizia un nuovo capitolo: pagina bianca.

Sospiro pensando a quello che sto abbandonando. Dovrò lasciare tutti i miei amici e, soprattutto, i miei nonni, a cui sono estremamente legata; mi mancheranno da morire. Ho ancora alcune loro foto attaccate all'armadio e, mentre le stacco una ad una, sento una fitta tremenda. Vorrei che venissero con me. Come posso anche solo pensare di andarmene e di lasciarli qui da soli? Io e mia madre siamo tutto ciò che gli resta, gli unici parenti ancora in vita. Non posso immaginare la mia vita senza i nonni. A loro devo tutto, più di quello che possono immaginare.
Poi il telefono vibra, è un messaggio di Ellie:

'Sei già partita?'

Ellie è la mia migliore amica, una delle cose più belle che mi siano mai capitate in quasi diciotto anni di vita.

Le rispondo subito un: 'Non ancora. Mi mancherai' e metto il telefonino nella borsa, finendo di preparare il tutto. Avrei tanto voluto che oggi fosse qui, anzi che potesse partire direttamente con me. Ma tutto ciò non è stato possibile, e forse è meglio così. Non credo che ce l'avrei fatta a salutarla e, tanto meno, a sopportare le lacrime di sua mamma.

Mezz'ora dopo sentiamo il taxi suonare più volte: è ora di andare.
Prendo le mie valigie e borsoni vari e aiuto mamma a caricare

tutto nel bagagliaio.

Mi concedo ancora uno sguardo veloce verso casa nostra. Fisso con attenzione le travi del tetto, il piccolo cortile che mi ha procurato tante ferite alle ginocchia. Sorrido perché mi sentivo una vera dura da piccola. Ora dov'è finita tutta quella sicurezza?
Se n'è andata, insieme a mio padre, tanti anni fa.

Il tragitto in taxi è lunghissimo, mia madre non fa altro che guardarsi allo specchio, truccarsi e fare dei respiri profondi.
Le prendo una mano e le sorrido dolcemente. «Andrà tutto bene mamma, sei perfetta.»

Lei mi sorride e mi abbraccia forte. «Ti voglio bene Liv. Vedrai, saremo felici con James, è un uomo fantastico.» Distoglie un momento lo sguardo dallo specchietto per osservarmi. Sono già venti minuti che si trucca e continua a non vedersi: la sua pelle è ancora bianca, i suoi occhi marroni sono privi di trucco, così come le sue piccole ciglia castane. Ci somigliamo molto noi, entrambe abbiamo un fisico nella norma e dei lunghi capelli color cioccolato.

Ah, e siamo entrambe negate in amore. Dopo qualche attimo di silenzio occupato a studiarci a vicenda, le sue labbra si socchiudono: «Anche suo figlio è una persona perbene, vedrai, andrete subito d'accordo.»

Mi accarezza una guancia mettendomi dietro l'orecchio un ciuffo ribelle della coda alta.

Giusto, mi ero dimenticata che James ha un figlio, un ragazzo della mia età che da cosa ho capito non è mai in casa.

Oh sì, andremo proprio d'accordo.

Trattengo una risata ironica e mi infilo le cuffie sulle orecchie. Una melodia mi culla lentamente fino a farmi addormentare...

«Papà, papà!» corro velocemente verso di lui.

Il mio eroe. «Un giorno ci sposeremo» "prometto solennemente".
Faccio una giravolta per rendere ufficiale la promessa. Poi ripeto di nuovo la cantilena «prometto solennemente che ci sposeremo», con una gamba alzata e gli occhi chiusi.

Tanto per essere sicura.

Gli corro incontro abbracciandolo e poi gli accarezzo i capelli fini. Papà dice sempre che sono un piccolo terremoto fastidioso, per cui gli infilo un dito nell'orecchio, perché so che gli dà fastidio.

«Dai Livvy! Smettila!»

Sorrido cattiva, mentre gli guardo la barba di nuovo da fare.

«Quando sarò grande ti sposerò» dichiaro decisa.

Lo guardo seriamente, perché il mio giuramento è vero.

«Non dire sciocchezze, tesoro.»

Mi appoggia a terra e mette le mani in tasca, sicuramente per cercare le sue stupide chiavi della macchina.

«È già ora di andare?» mi lamento mettendo il broncio.

Lo sento sospirare mentre mi aiuta ad infilare la giacca.

Perché non sembra triste?

Io voglio piangere, perché il tempo è finito e vorrei averne ancora.
«Andiamo, ti devo portare da tua madre.»

Mi accompagna in macchina e mi posa sul seggiolino, legandomi stretta. Poi, guida senza più parlare.

Non ha risposto. Non mi vuole sposare.

Perché?

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