7-Senso di vita
"Senso di vita."
*
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto
ad ogni gradino.
Anche così è stato breve
il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più
mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella
che si vede.
Ho sceso milioni di scale
dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene
tanto offuscate,
erano le tue.
*
VII
Tessa in quel momento aveva bisogno di un assoluto riposo, secondo anche quanto prescritto dal dottore, ma non tutti aveva ben compreso il concetto. Volse lo sguardo verso Elizabeth distesa sul suo divano sopra ad un beato Aaron, che a occhi socchiusi, si lasciava accarezzare. Per sua somma sfortuna non erano gli unici presenti in quella, che doveva essere, una tranquilla giornata; colse con l'occhio destro la figura di Anne che correva quasi agitata per l'abitazione seguita da un appiccicoso Gabriel.
Era però divertente osservare come la sua amica cercasse in tutti i modi di scrollarsi di dosso il ragazzo, ma questi le rimaneva costantemente incollato diventando la sua ombra. Doveva essere alquanto frustrante.
La visione di George, ex- compagno di banco al liceo, insieme alla combriccola mentre sgranocchiavano una bustina di patatina e sorseggiavano comodamente una cola nella sua cucina sporcando il suo preziosissimo tappeto, la fece un po' innervosire.
Nessuno riuscì a frenare le sue grida, ma al termine del suo discorso ispirò lentamente. Riposo, solo riposo.
Anne tentava di attirare la sua attenzione implorandola con lo sguardo di salvarla da quella situazione disastrosa dove era stata coinvolta.
«Tessa?» la richiamò non provando a nascondere il suo tono disperato. Tessa però decise di farla soffrire un po', e si limitò a sorridere sventolando la mano verso di lei a mo di saluto.
Sentì la parola "traditrice" fuoriuscire dalle labbra della sua migliore amica, dopo che quest'ultima venisse trascinata dal appiccicoso Gabriel. Tessa sorrise e si strofinò le dita sulla tempia provando ad alleviare un po' il suo mal di testa.
Non era ancora riuscita a ristabilirsi pianamente, e ciò spiegherebbe perché talvolta veniva colta da piccoli capogiri non riuscendo a restare in piedi nemmeno per due minuti. Da quel giorno però Anne non le aveva più raccontato delle sirene, e di come sia riuscita a liberarsi di quella pazza-rossa omicida.
Tessa moriva dalla curiosità di sapere, di conoscere e apprendere quella che era la realtà dei fatti, soprattutto una realtà molto più forte, cruda e viva. Per questo aveva invitato Anne a casa sua quella giornata, ma per chissà quale scherzo del destino? In teoria possiamo dire che la sua finalità era quella di ottenere risposte, ma in pratica non poteva essere appuntata.
Elizabeth e tutta la combriccola si erano presentati da lei senza preavviso lasciandola spiazzata. E tutti i suoi progetti crollarono miseramente.
«Tessa si è rotto il bicchiere.» pronunciò George ridacchiando.
E Tessa maledì quel giorno in cui aveva avuto la pazza idea di uscire con quei rompicoglioni.
*
Era ormai calato il sole quando sentì la porta chiudersi emettendo un suono fastidioso, e in quel momento non poté che sospirare. Certe volete rimpiangeva le sue giornate solitarie, passate a maggiore patatine sul divano e guardare Grey's Anatomy nel suo soggiorno dimenticandosi del mondo esterno e di tutti i problemi che questo comportava.
«Forse sarebbe meglio che vada anche io. Si è fatto tardi e ho promesso alla mamma che sarei tornata almeno per l'ora di cena.» pronunciò Anne raccogliendo le poche cose che portava sempre con se, e che adesso si trovavano sparpagliate nella stanza. Fissò l'orologio che segnava le sette e mezza di sera. Si, c'era ancora tempo.
«Anne che faremo d'ora in poi?» era una domanda che si ripeteva ripetutamente nella sua mente, ma fin ora non aveva ancora trovato una risposta adeguata. Anne si sistemò la borsa sulla spalla e si fermò a guardarla quasi per compassione. In realtà nemmeno lei sapeva dare una risposta a quella domanda, ma l'unica cosa che sapeva con certezza era che le loro vite sarebbero cambiate irrimediabilmente.
«Hanno trovato i corpi di alcuni marinai. Il telegiornale ha annunciato la notizia tre giorni fa.» Tessa sbiancò e rimase come paralizzata. Hanno ritrovato i corpi? Quindi...
«Sono morti Tessa, tutti morti.»
Al termine di quelle parole Tessa cadde sul pavimento, ormai le gambe non riuscivano più a reggerla e si lasciò andare ad un grido disperato. L'ho perso, l'ho perso... si ripeteva come un mantra non riuscendo più a trovare la forza di parlare, ma non ce n'era affatto bisogno il suo viso rispecchiava esattamente il suo stato d'animo.
«Tessa...» pronunciò Anne quasi anch'essa sull'orlo delle lacrime. Doveva rimanere in silenzio, illuderla ancora un po' che il suo Francis era ancora vivo e si trovava in qualche parte sperduta del mondo non riuscendo più a trovare la strada di casa. Ma quanto tempo sarebbe durata? Due anni o cinque? Poi come avrebbe spiegato la sua assenza?
Sentiva di aver fatto la cosa giusta, sparagnandole un dolore ancora più doloroso. Vivere nella speranza, aspettare il suo ritorno senza vivere a pieno la sua vita. Si avvicinò verso di lei e le toccò i capelli accarezzandone la chioma scura e l'abbracciò affondando il viso sulla sua spalla mormorandole parole per calmarla.
«V-Voglio...» provò a parlare tra un singhiozzo e l'altro «Voglio vedere il suo corpo.»
Anne addolcì lo sguardo, ricacciando indietro le lacrime e annuì. «Va bene, ma abbiamo bisogno di un piano.»
*
L'ospedale di Los Angeles era distante appena una ventina di minuti da casa di Tessa. Questi era un immenso edificio perfettamente arredato con tinte di colore molto chiaro, e anche se la sua finalità era garantire le migliori cure ai cittadini offrendogli un clima sereno e tranquillo, quest'ultimo garantiva l'effetto contrario. Quella poche volte che Tessa si era fatta visitare era stata colpita da un senso di angoscia e di disagio, sia a causa della maestosità del luogo sia per il personale molto diligente e severo dell'ospedale.
L'ultima volta che Tessa passò all'ospedale era stato pochi anni fa, a causa di una slogatura al piede, e ricordava perfettamente che ogni sera due controllori vigilavano davanti alla porta non permettendo a nessuno di entrare o uscire.
«Mia madre mi darà una bella strigliata quando tornerò a casa.» Tessa rise ringraziando mentalmente l'amica.
«Come faremo ad entrare?» chiese Tessa sentendosi dentro a un film di spionaggio. Era entrata perfettamente nel ruolo. Se non fosse una questione molto delicata per lei adesso riderebbe di quella ridicola situazione.
«Non dovrei utilizzare le mie abilità come Cacciatrice contro gli umani, e se mi scoprissero finirei in guai seri.» mormorò Anne recuperando dalla felpa una piccola fionda incastonandogli all'interno una piccola freccia.
«Cosa vorresti farci con questa, vuoi ucciderli?» si allarmò la ragazza osservando la punta della freccia.
Anne si limitò a mirare verso uno dei due uomini, per poi lanciare colpendolo perfettamente dietro la nuca, mentre questi cadeva stordito sul pavimento l'altro alzò la pistola voltandosi verso la direzione della freccia, ma anche questi cadde tramortito sulla scalinata, lasciandosi andare a un profondo sonno.
Anne si allontanò dal suo nascondiglio mentre Tessa sbalordita la seguiva a ruota. «Sono vivi.»
Tessa a quella parole sembrò più tranquilla, ma non riusciva a sentirsi rilassata. Era consapevole che era stata lei a chiederlo e che Anne lo faceva per aiutarla, però non si sentiva al sicuro.
Con il respiro in gola entrò nell'abitazione. Attraversarono il lungo corridoio muovendosi soltanto grazie alla torcia del telefonino che le aiutava a non inciampare nei loro stessi piedi.
Tessa però sapeva bene come muoversi e si diresse verso il bancone bianco, come lei era solito chiamarlo, dove venivano inserite una moltitudine di cartelle dove all'interno erano specificati i nomi dei malati e le loro rispettive stanze.
«Aspetta Tessa l'Obitorio potrebbero averlo già portato lì.» disse Anne dirigendosi verso la stanza in questione, mentre la seguiva quasi come un'automa. Si fermarono davanti alla porta e il suo cuore quasi si bloccò. In quella stanza avrebbe accettato la sua effettiva morte e in quella stanza avrebbe decretato anche la sua di morte.
Anne si voltò verso di lei aspettando il permesso di aprire la porta, e lei semplicemente annuì. Però non riusciva ad entrare, le sue gambe non accennavano a nessun movimento era come paralizzata sul posto.
«Tessa?» la richiamò a se Anne, ma il suo tono non riusciva a tranquillizzarla, sembrava preoccupata. «Tessa il suo corpo non c'è. Francis non c'è.»
La ragazza si fiondò dentro la stanza e vide tre corpi, stesi sulle loro rispettive barelle, scoperti in viso. Li scrutò uno ad uno, ma non ritrovò il volto di Francis, il suo Francis, non era tra loro.
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