4-Il dolore maggiore consiste nel perdere fiducia nel prossimo. [R]


"Il dolore maggiore consiste nel perdere fiducia nel prossimo."


IV

Si lasciò andare in una risata scrosciante, portando la mano sulla bocca nel tentativo di attutirne il suono. L'altra mano era appoggiata sulla pancia, mentre la risata aumentava di intensità. Tessa ne aveva sentite di baggianate in vita sua, ma questa era sicuramente la più fantasiosa.

Voltò lo sguardo verso Anne, che la osservava sbalordita, e le rivolse  un'espressione compassionevole. "Perché una ragazza così intelligente deve perdersi in un bicchiere d'acqua?" Non poteva credere davvero a una simile stronzata, no? Certo, quello che era successo qualche minuto prima non era neanche lontanamente paragonabile alla normalità, ma ogni cosa ha una spiegazione logica.

Che fosse stata sottoposta a un esperimento scientifico? Magari contro la sua volontà, rapita da qualche mese e sottoposta a un esperimento prodotto da una mente malsana, come quello di uno scienziato pazzo. Le avrà iniettato sangue di animale - - e ciò spiegherebbe i suoi lunghi artigli e le zanne - , magari un animale carnivoro che bramasse carne umana. Era riuscita a fuggire, magari uccidendo anche il suo stesso creatore, e loro se l'erano trovata casualmente tra i piedi. Una spiegazione logica, non trovate?

«Perdonami, ma non puoi davvero pensare che possa prenderti sul serio.» continuò a ridacchiare, non smise nemmeno quando Anne le lanciò uno sguardo duro, nero. «Non riesci proprio a fidarti, eh? Dovevo immaginarlo.» sospirò distogliendo lo sguardo.

Tessa fu colta dalla collera. Stava esagerando, stava mentendo. Stese la mano verso di lei, ma questa si mosse velocemente... era un pugnale quello che aveva tra le mani?

«Anne? Cosa stai facendo?» aveva il respiro in gola, mentre lei avanzava con passo lento impugnando il sottile pugnale, piccolo e appuntito.
«Ormai sai troppo su questa storia, devo eliminarti!» esclamò lanciandosi verso Tessa che riuscì a scansarla per un pelo.

Faceva sul serio, faceva maledettamente sul serio. Il pigiama di cotone era completamente zuppo di sudore e su una delle pantofole rosa c'era una macchiolina nera.
Il cuore di Tessa minacciava di uscire dal suo petto, le mani iniziavano a tremare sia per il freddo che per la paura, le gambe erano le uniche che avevano ancora la forza di collaborare.

Sopravvivere, dovevo sopravvivere.

Si lasciò scappare un sorriso rassegnato, dandosi ripetutamente dell'idiota per non essersi fidata della sua sensazione. Pensava fossero amiche e soltanto per questo motivo non potesse ucciderla? Si sentiva ferita, ma in qualche modo compiaciuta. La sua teoria, anche se a malincuore, era risultata vera. Non puoi fidarti di nessuno, chiunque può tradirti.

Anne la prese per i capelli tirandoli verso l'alto: un dolore acuto la colpì sulla nuca, gli occhi erano sbarrati dalla paura.
Era finita. Anne era troppo veloce e troppo forte. La lanciò sul pavimento premendole il pugnale contro la gola... e si fermò contemplandola per un paio di secondi con aria di sufficienza.

«Come pensavo... non ci riesci.» mormorò lasciando la presa e mettendo via l'arma.
Tessa tirò un sospiro di sollievo toccandosi il punto su cui la lama le aveva toccato la gola. Era ancora viva, ma non sapeva spiegarsene il motivo. Non l'avrebbe uccisa?

La ragazza, che si era alzata, le rivolgeva le spalle, intenta a osservare un punto imprecisato della stanza per riflettere, mentre il pugnale, che poco prima si trovava sulla sua gola, era deposto  nella fodera. Osservò oltre le sue spalle la porta socchiusa e una sensazione di felicità la invase. Doveva essere veloce.

Si alzò dal pavimento cercando l'appoggio delle sue gambe, che non volevano collaborare. "Su andiamo, un ultimo sforzo." pensò provando ad alzarsi. Anne si trovava ancora di spalle quando uscì dalla porta e probabilmente adesso si era resa conto della sua assenza, ma lei non smise di correre.

Voleva tornare a casa e dormire nel suo letto. Voleva restare da sola, a pensare.

Quando arrivò davanti al portone di uscita si fermò osservandosi l'ambiente circostante. Una voce la fece sobbalzare.

«Se avessi voluto ucciderti l'avrei fatto molto prima... sai che non potrei mai farlo.»  la voce di Anne riempì il silenzio e furono le ultime parole che sentì prima di chiudersi la porta dietro le spalle.

*

Aria, desiderava dell'aria.

Percepiva l'acqua fin dentro le ossa, sentiva come si mischiava con il sangue e penetrava fin dentro al cuore.

La morte si faceva spazio in modo lento e straziante e il suo primo pensiero volò verso di lei. Al suo sorriso, ai suoi occhi blu come quell'oceano che presto sarebbe diventato la sua tomba.

"Non posso morire", si diceva, disperato.

Cercò di salire a galla aiutandosi con la forza dei piedi e delle mani, ma qualcuno lo tratteneva per le gambe portandolo sempre più in profondità. Osservò il suo compagno venire trascinato verso il fondale da un essere che non avrebbe dovuto nemmeno esistere. Umano nella parte superiore del corpo, pesce dalla vita in giù.

Una sirena?

Abbassò lo sguardo verso l'essere che gli teneva fermi i piedi. Era anch'esso una sirena, per metà umana e per metà pesce. I lunghi capelli rossi le ricadevano all'indietro trasportati dalla violenza dell'acqua; aveva due profondi occhi verdi e un volto di uno strano colorito, grigiastro. Le labbra erano incurvate in un sorriso maligno e tra di esse si intravedevano delle vere e proprie zanne. Le mani erano scheletriche. Delle lunghe unghie si conficcarono nel suo interno coscia.

Cercò di divincolarsi, ma la presa era troppo forte. Non poteva farcela. Il suo ultimo pensiero prima di sprofondare nell'oscurità tornò a lei, al rimpianto della promessa mancata.

Quando riprese conoscenza, udì delle voci, però non riusciva a comprendere bene cosa dicessero perché parlavano tutti velocemente e in modo agitato.

«Potrebbe essere morto.» disse una voce che sembrava appartenere ad una donna.

«Ciò non toglie che non potevo lasciarlo lì ad annegare.» disse un'altra voce.

«La nostra priorità era uccidere la sirena e non salvare l'umano. È solo perché hai voluto fare l'eroe che lei è scappata.»

«Sempre la solita egoista. Ricordati che noi facciamo questo lavoro per salvare la razza umana, non per sacrificarla!» esclamò la voce.

«Basta, ragazzi, credo che si sia svegliato.» disse un'altra voce. Doveva essere una ragazzina.

Aprì gli occhi abituandosi lentamente alla luce abbagliante. Iniziò a mettere a fuoco le immagini osservando una ragazzina dai capelli neri raccolti in due treccine, con delle piccole lentiggini a vivacizzare il piccolo viso. Aveva due occhi verdi e un corpo troppo formoso per una ragazza della sua età.

«Ti senti bene?» domandò la ragazzina squadrandolo in viso.

«Sì.» rispose coprendosi il viso per un colpo di tosse. Sputò molta acqua.

Sentiva il sapore salato fin dentro alla gola che gli bruciava terribilmente, mentre i polmoni dolevano per mancanza d'aria. Dove era finito? Perché era ancora vivo? E perché si trovava su una nave con dei perfetti sconosciuti?

«Chi siete?» domandò, sollevandosi abbastanza per osservarli in viso.

«La nostra identità non deve interessarti.» disse una ragazza dai capelli biondi raccolti in una coda di cavallo. Aveva anche lei occhi verdi e un corpo molto robusto le cui forme erano caratterizzate da uno strano vestiario. Una maglietta nera di cuoio, pantaloni rigidi e aderenti e scarpe a suola piatta. Tutti portavano lo stesso abbigliamento.

«Smettila di essere così irritabile, Kim.» disse un ragazzo dai capelli biondo ramato, occhi blu scuro e un corpo slanciato. Avevano tutti e tre caratteristiche molto simili ed arrivò a pensare che potessero essere fratelli.

«Lo dici solo perché è carino.» proferì Kim scrollando la spalle, facendo però arrossire il giovane.

«Questo non c'entra assolutamente nulla!» esclamò in risposta il ragazzo. Avvampò ancora di più, stavolta per rabbia.

«Kim! Peter! Non vedete che è già confuso di suo?» li rimproverò la ragazzina, che per tutto il tempo si era preoccupata delle sue condizioni.

«Dove sono? Stavo per morire, lo so. Io... io l'ho vista. Era una sirena... o almeno credo.» balbettò il giovane, non riuscendo a credere alle sue stesse parole.

Ora gli avrebbero dato del pazzo e sicuramente l'avrebbero ributtato in mare, pensò; e invece nulla di tutto ciò accadde. Anzi, i tre si scambiarono uno sguardo preoccupato, mentre la bionda, miss Palle Costantemente Girate, proferì: «Merda!»

«Non abbiamo altra scelta, Kim. Dobbiamo portarlo con noi.» disse la ragazzina sollevandosi dalla sua posizione.

«Un momento. Portarmi dove?» chiese il giovane.

La ragazzina sospirò. «Al Campo dei Cacciatori di Sirene di New York.»

"Aspettate... che?" pensò il giovane, cercando di trovare un senso a quelle parole.

Nella sua vita ne aveva sentite di strane leggende, di esseri immaginari e di psicopatici che credevano di volare, però non poteva sopportare tutte quelle rivelazioni.

Possibile che fosse davvero impazzito? Ciò avrebbe spiegato perché pensava di aver visto un essere soprannaturale e perché quelle strambe persone gli stavano parlando di un certo Campo di Cacciatori di Sirene.

Sorrise, dopodiché scoppiò in una fragorosa risata. Kim lo osservava con un sopracciglio inarcato, le braccia incrociate sul petto. Peter invece lo guardava con gli occhi spalancati, quasi come se davvero soffrisse di una grave malattia cerebrale, mentre la ragazzina dal nome ancora sconosciuto lo scrutava impietosita.

«Ho capito. Voi non siete reali. Niente di tutto ciò è reale. Sono pazzo, non c'è altra spiegazione.» affermò il ragazzo grattandosi la testa in modo frenetico.

«Questo è impazzito veramente.» disse Kim annoiata avvicinandosi a lui. «Senti, sono ancora riluttante all'idea, però è la scelta migliore. Devi venire con noi.»

«Perché dovrei? In fondo è la mia vita. Posso fare quello che voglio e nonostante siate frutto della mia immaginazione non mi fido di voi.» disse il giovane, affrontando il viso di ghiaccio della bionda.

Kim si girò verso i presunti fratelli. «Oh, quanta pazienza.» disse, esasperata. Fu l'ultima cosa che il ragazzo sentì prima di sprofondare in un buio totale.

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