Prologo

Due anni prima

I cyborg come PTR214210021 erano configurati per non sentire la fatica; nonostante ciò nulla, fino a quel momento, gli aveva mai richiesto tanto sforzo quanto restare in piedi e camminare. Si trattava di un'azione semplice, qualcosa di naturale, che non ricordava di avere mai imparato, parte com'era delle conoscenze pre-innestate nella sua memoria digitale. In fondo bastava solo mettere un piede dietro l'altro e andare avanti: destro, sinistro, destro, sinistro.

Da ore ormai PTR fissava la punta dei suoi stivali che con ritmo imperfetto si alternavano sulla strada polverosa. Non aveva bisogno di alzare lo sguardo per sapere che il panorama era disseminato di macerie. Aveva battuto quella strada decine di volte e conosceva ogni rovina di quell'angolo di New York. La zona industriale era stata abbandonata anni prima, e le fabbriche ormai vuote erano un monumento alla follia che aveva portato gli uomini ad auto distruggersi.

Destro ... sinistro.

Una folata di vento lo costrinse a chiudere gli occhi e a fermarsi. In un'altro momento avrebbe continuato a camminare, seguendo la ferrovia e confidando nella sua memoria sintetica in cui il percorso era stato fotografato e conservato, ma quel giorno sensazioni nuove lottavano tra loro nella sua mente e lo confondevano, rendendo tutto più incerto. Aveva appena visto la morte, da molto vicino.

Destro!

Il comando neurologico inviato al suo arto non arrivò a destinazione. La gamba rimase ferma al suo posto, tesa come una delle vecchie assi di legno della ferrovia.

«Andiamo!» biascicò, incoraggiandola, quasi avesse vita propria. «Dobbiamo toglierci da qui o ci troverà!»

Gli capitava spesso parlare con i suoi componenti, soprattutto quando si trovava ad affrontare situazioni difficili, ed il Creatore gli era testimone che quella giornata era iniziata davvero nel modo peggiore.

Nessuno dei suoi simili aveva mai avuto accesso in tutta la propria esistenza alle informazioni che lui aveva appreso in poco più di dodici ore. Si era avvicinato pericolosamente alla verità. La Verità. Non una qualsiasi ma quella sulla sua stessa creazione.

Macchine, androidi, cyborg vivevano in ciò che restava del mondo e servivano quella stessa umanità che aveva contribuito a fare piazza pulita dei propri simili. Le sue labbra stanche si curvarono in un sorriso sarcastico.

I migliori scienziati del mondo avevano lavorato al progetto di rimpiazzare la manodopera mancante, così, in meno di dieci anni erano stati prodotti ed immessi sul mercato decine di modelli sempre più evoluti e simili al proprio creatore. I robot erano stati sostituiti dagli androidi e gli androidi a loro volta da ibridi metà uomini, metà macchina.

PTR era uno di questi, un cyborg della prima generazione a cui se ne erano succedute almeno altre cinque. Un ferro vecchio insomma, una specie di Frankestein programmato per lavorare senza sosta negli impianti di rifiuti che raccoglievano la spazzatura della città.

Ma quel giorno, aveva scoperto di essere molto di più di un assemblaggio mal riuscito di carne e circuiti elettrici: era un uomo che un tempo aveva avuto una sua vita. Nientemeno!

Nessuno dei suoi simili si era mai posto il problema, eppure da qualche parte dovevano pur venire le loro parti umane.

Si voltò per guardarsi alle spalle, improvvisamente assalito dalla paura di essere stato seguito. Dietro di lui i binari della ferrovia correvano lontani e si perdevano nella nebbia; il vento fischiava mandando a sbattere delle vecchie lamiere contro gli scheletri di cemento dei capannoni. Scansionò con apprensione l'area alla ricerca di un qualsiasi movimento sospetto.

«Siamo soli» disse tra sé, tirando un sospiro di sollievo.

Non capitava tutti i giorni di essere rincorsi dal proprio passato. Il suo lo aveva appena trovato e ora che era accaduto non gli sarebbe più stato possibile ignorarlo.

PTR aveva appena terminato il suo turno di lavoro quando una squadra di uomini armati lo aveva prelevato e caricato a bordo di un AFC. Non era mai salito su una di quelle macchine volanti!

Sputò un grumo di sangue scuro, mentre ripensava a cosa era scampato. Certo non era stato merito delle sue doti di combattente ma solo del fatto che lo avevano picchiato così tanto da crederlo morto. Alla fine se ne erano andati lasciandolo a terra, un mucchio di stracci insanguinati che ad un occhio poco attento sarebbe passato per immondizia. In fondo quello era: ciarpame, assemblato con i resti umani di un poveraccio. Uno degli uomini lo aveva accusato di essere colpevole della morte di suo padre. "Peter", lo aveva chiamato.

Peter.

Il cyborg aveva cercato di capire quale poteva essere stato il suo ruolo nel crimine di cui veniva accusato ma non gli erano state fornite risposte, solo una gragnola di calci e pugni, alternati ad insulti. Fino a quel momento non aveva mai sperimentato in prima persona tanta violenza, né era consapevole del disprezzo che gli uomini riservavano alle macchine.

«Noi serviamo l'Uomo, lui è il nostro Creatore» continuava a ripetere come un mantra mentre le sue gambe si muovevano a fatica, percorrendo la ferrovia. Non sapeva perché lo volevano morto, non c'era motivo. Non crei qualcosa per poi distruggerlo. Non aveva senso, niente in tutta quella storia sembrava logico, eppure sentiva che era l'inizio di un cambiamento. Il risveglio della sua coscienza passava da quella porta dolorosa e la sua vita non sarebbe più stata la stessa.

Ora sapeva. 

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